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LA BATTAGLIA

No all’aborto nei fondi anti-Aids, l’Africa avverte Biden & Co.

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Una lettera sottoscritta da 130 leader africani e rivolta al Congresso degli USA chiede che il programma di aiuti per il soccorso contro l’Aids (Pepfar) non sia inquinato dalla promozione di pratiche contro la vita e la famiglia, aborto incluso. Un bell’esempio di resistenza.

Attualità 12_06_2023

Le pratiche di colonizzazione ideologica (su cui la Bussola ha già scritto qui) passano anche dalla strumentalizzazione della lotta all’Aids. In queste settimane il tema sta diventando caldo tra Stati Uniti e Africa e vede contrapposte sostanzialmente due visioni antropologiche.

Da un lato, c’è la visione antinatalista, che ha il suo braccio politico nel Partito Democratico americano e le sue lobby di riferimento nelle organizzazioni che promuovono e praticano l’aborto, unitamente ad altri presunti servizi di “salute riproduttiva”, come viene chiamata. Dall’altro, ci sono il combattivo movimento pro life statunitense e un variegato gruppo di leader africani - tra politici, religiosi e alcuni esponenti del mondo imprenditoriale - che insieme chiedono agli USA di Biden di rispettare i princìpi dei propri Paesi e quindi di non inserire pratiche contrarie alla vita umana nel Pepfar, acronimo che indica il Piano di emergenza del presidente degli Stati Uniti per il soccorso contro l’Aids.

Il Pepfar è stato autorizzato per la prima volta dal Congresso statunitense nel 2003. E dopo vent’anni, come scrivono in una lettera un folto gruppo di associazioni pro vita degli States, è divenuto il programma di assistenza all’estero più costoso della storia: si parla di fondi per oltre 5 miliardi di dollari all’anno, per un totale di più di 110 miliardi dal suo avvio al 2022. Oggi il Pepfar, da solo, conta per più della metà dei finanziamenti a stelle e strisce alla sanità globale, per una quota che va dal 56% al 62% del totale negli ultimi cinque anni. Una torta notevole, che fa gola ai gruppi abortisti e può divenire un mezzo per sovvertire le leggi a difesa della vita dal concepimento, in vigore nel continente africano.

Ciò equivarrebbe a pervertire il fine originario del Pepfar. Come ricostruisce il Friday Fax, quando il programma venne lanciato nel 2003, esso incoraggiava l’approccio noto come Abc, indicante nell’ordine, secondo l’acronimo inglese: l’astinenza soprattutto prematrimoniale (abstinence); la fedeltà (be faithful) e, in ultima istanza, l’uso del preservativo (condom use). L’esempio più noto di attuazione di un simile approccio è quello dell’Uganda, che si mosse con decisione su questa strada già diversi anni prima che gli USA avviassero il Pepfar, riuscendo a ridurre notevolmente il tasso di infezioni da Hiv: e vi riuscì - come hanno mostrato più ricerche, tra cui quella di Edward Green, antropologo medico all’Università di Harvard - soprattutto educando all’astinenza e alla monogamia. Ciò vale anche a ricordare che il condom, il cui uso è sempre contrario alla legge morale naturale (in quanto svilisce il significato della sessualità sfidando il disegno del Creatore), non è nemmeno così efficace come generalmente si crede, perché a causa della sua struttura porosa fallisce nell’impedire la trasmissione dell’Hiv nel 10-15% dei casi, dando una falsa sicurezza.

Ad ogni modo, oltre all’approccio Abc, il Pepfar originario «richiedeva alle organizzazioni che ricevono finanziamenti per l’Hiv/Aids di impegnarsi a non promuovere la depenalizzazione della prostituzione. Queste disposizioni, contrastate dai legislatori Democratici, sono state modificate o eliminate - aggiunge Lisa Correnti sul Friday Fax - nel corso di diversi progetti di legge di riautorizzazione da parte del Congresso». E appunto, adesso, si sta cercando di inquinare ulteriormente i contenuti del Pepfar, per favorire la diffusione dell’aborto nel mondo.

Da qui la rimostranza dei leader africani di cui sopra: si tratta di 130 firmatari, provenienti da 15 Paesi (Etiopia, Eswatini, Gambia, Ghana, Kenya, Liberia, Malawi, Namibia, Nigeria, Ruanda, Sud Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia). Nella loro lettera, datata 6 giugno 2023 e rivolta ai leader dei due rami del Congresso (compresi i presidenti delle commissioni per gli affari esteri), è espressa innanzitutto gratitudine per il ventennale aiuto statunitense che ha permesso di mitigare l’impatto dell’epidemia da Hiv, con una strategia originaria che «rispettava i nostri valori», come scrivono i firmatari. Ma adesso che è in corso la procedura per riautorizzare il Pepfar, sulla base di un piano quinquennale, i 130 rappresentanti africani avvertono: «Vogliamo esprimere le nostre preoccupazioni e i nostri sospetti circa il fatto che questo finanziamento stia sostenendo la cosiddetta pianificazione familiare e princìpi e pratiche di salute riproduttiva - aborto incluso - che violano le nostre convinzioni fondamentali riguardo alla vita, la famiglia e la religione».

La lettera chiede quindi che le organizzazioni che collaborano con il governo degli Stati Uniti per attuare i programmi del Pepfar agiscano rispettando le suddette convinzioni e quindi senza «sconfinare nella promozione di idee e pratiche divisive che non sono coerenti con quelle dell’Africa».

In un’altra lettera, anch’essa del 6 giugno, il deputato Repubblicano Chris Smith, ha fatto presente che le Ong che promuovono l’aborto hanno ricevuto complessivamente 1,34 miliardi di dollari dall’anno fiscale 2021. Tra queste organizzazioni c’è chi si difende asserendo di non usare i fondi federali per diffondere l’aborto all’estero, ma certo le ombre permangono, perché è difficile immaginare che una Ong o una qualunque realtà sia strutturata in compartimenti stagni; e comunque è chiaro che le stesse Ong abortiste beneficino almeno indirettamente dei finanziamenti americani.

Inoltre, se dovessero passare le modifiche al Pepfar approntate dall’amministrazione Biden, le cose sono destinate a peggiorare. Nella guida del 2023 si prevede infatti che i vari Paesi beneficiari del programma di aiuti collaborino tra l’altro con organizzazioni impegnate nel promuovere riforme legislative «riguardanti i diritti sessuali, riproduttivi ed economici delle donne». Tra i cosiddetti diritti sessuali e riproduttivi rientra appunto l’aborto, nonché l’ideologia gender. Perciò, è probabile che sul Pepfar la battaglia continuerà.

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