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UE

Ungheria e Polonia contro il super-Stato, ricorso respinto

La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia. I due Paesi dell’Europa centrale chiedevano di annullare il regolamento che permette all’Ue di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio europeo agli Stati membri in cui “lo Stato di diritto è minacciato”. È un passo ulteriore verso il super-Stato europeo

Esteri 17_02_2022 English Español
Corte di Giustizia dell'Ue

La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia. I due Paesi dell’Europa centrale chiedevano di annullare il regolamento che permette all’Ue di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio europeo agli Stati membri in cui “lo Stato di diritto è minacciato”. Secondo il Parlamento e il Consiglio dell’Ue, lo Stato di diritto è minacciato sia dal governo di Varsavia che da quello di Budapest. Ma le riforme interne che hanno fatto scattare questo allarme riguardano materie che sono finora state considerate di pertinenza esclusivamente nazionale. La decisione della Corte di Giustizia dell’Ue, quindi, significa che ci troviamo alle soglie di un super-Stato europeo?

La Polonia ha definito il verdetto “un attacco alla nostra sovranità”. Il ministro della Giustizia ungherese, Judit Varga, l’ha bollato come “abuso di potere” di Bruxelles. Il governo conservatore di Varsavia è nel mirino, negli ultimi anni, per la sua riforma della magistratura. L’Ungheria, invece, per la sua legge anti-pedofilia che le associazioni Lgbt considerano “discriminatoria” perché regolamenta l’educazione sessuale, soprattutto sui temi di genere. Per questi motivi, i due Paesi temono (a ragion veduta) che sia loro bloccato l’accesso al Recovery Fund, necessario per la ricostruzione post-Covid. E non solo il Recovery, ma tutti i fondi europei, d’ora in avanti, saranno subordinati a questa clausola.

I ricorsi di Ungheria e Polonia erano fondati sostanzialmente sull’assenza di una base giuridica del nuovo regolamento nei Trattati, sul superamento dei limiti delle competenze dell'Unione e sul fatto che, in questo modo, viene meno lo stesso principio della certezza del diritto. Si tratta infatti di decisioni arbitrarie, prese da una maggioranza ai danni di una minoranza di Paesi dissenzienti che in questo modo verrebbero discriminati. Per quanto riguarda la riforma della magistratura polacca, che consiste nell’istituzione di una Camera disciplinare per vagliare la competenza dei giudici ed eventualmente punirli, Varsavia è convinta che si tratti di una norma che rispetta il principio della divisione dei poteri e l’indipendenza della magistratura.

Una sentenza della Corte Suprema polacca ha poi ribadito il principio secondo cui la Costituzione polacca è la legge suprema dello Stato. Le normative europee possono acquisire priorità solo nei campi che la nazione polacca ha delegato all’Ue, ma non sulla Costituzione in sé. Varsavia è chiara, su questo punto: “Il pluralismo costituzionale – ha dichiarato il premier Morawicki al Parlamento europeo, lo scorso ottobre - significa che deve restare uno spazio per il dialogo fra noi, fra i nostri Paesi e i nostri sistemi legali. Questo dialogo avviene anche attraverso le sentenze dei tribunali”. Nella sentenza della Corte Suprema polacca non viene accettata come norma l’interpretazione che dei Trattati dà la Corte di Giustizia. “Nei Trattati Ue abbiamo delegato molte competenze, ma non tutte, all’Unione europea. Non ci sono dubbi che il diritto Ue abbia supremazia sul diritto nazionale in quelle aree (di competenza, ndr) che sono state delegate dagli Stati membri all’Ue”. Ma “se un’istituzione Ue va oltre i suoi poteri, uno Stato membro deve avere gli strumenti per reagire”, aveva ribadito Morawiecki lo scorso ottobre.

Per quanto riguarda l’Ungheria, il Parlamento e il Consiglio dell’Ue contestano la nuova norma anti-pedofilia, enfatizzando solo la parte del testo di legge (anzi, un emendamento introdotto successivamente) in cui si regola anche l’educazione sessuale nelle scuole. Come spiegavamo su queste colonne: il materiale scolastico, dall’asilo alle superiori, non deve contenere nulla che miri a cambiare genere o a promuovere l’omosessualità. Oltre agli insegnanti della scuola, solo le persone o le organizzazioni incluse in un registro ufficiale, continuamente aggiornato, possono tenere lezioni di educazione sessuale. Piaccia o meno, questa non è mai stata materia su cui l’Ue possa imporre un giudizio sulla legislazione nazionale. E nella Carta dei diritti fondamentali troviamo, all’articolo 14: «il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro [proprie] convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche». Quindi i genitori possono educare i figli solo secondo le linee guida dettate da Bruxelles e non quelle di Budapest?

È chiaro, quindi, che ci troviamo realmente alle soglie di un super-Stato europeo, se le istituzioni comunitarie si riservano il diritto di contestare la legislazione adottata dagli Stati membri, anche in materia pedagogica e religiosa. E per di più usando un mero ricatto economico (o aderisci, o niente fondi) come arma per imporsi. La sentenza che conferma questo meccanismo è una prova ulteriore che abbiamo imboccato questa strada pericolosa. Oggi se ne accorgono solo polacchi e ungheresi.