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Trump "arresta" Obama per finta. Ed anche il Russiagate era falso

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Un video spopola in rete: Obama arrestato (realizzato con intelligenza artificiale). Si tratta del commento goliardico alle rivelazioni sul Russiagate, l'indagine su Trump e il Cremlino del 2016 che Obama ha usato come arma.

Esteri 23_07_2025
Barack Obama (La Presse)

In un video assistiamo, attoniti, all’arresto dell’ex presidente Barack Obama. Ad assistere alla scena, nella Casa Bianca, è un divertito presidente Donald Trump. Nella scena successiva, vediamo Obama in carcere, con la caratteristica tuta arancione dei prigionieri. Ovviamente è l’intelligenza artificiale che ha prodotto il video. Nessun presidente o ex presidente è stato davvero arrestato. La musica sullo sfondo, Ymca, ormai l’inno di Donald Trump, ci fa capire subito che non va preso sul serio, che è una goliardata. Ma è uno scherzo che giunge a commento di un rapporto molto grave su un episodio importante della fine-amministrazione Obama: come è nato il Russiagate, l’indagine, condotta dal procuratore speciale Mueller, per cercare di dimostrare una collusione fra Trump, allora solo candidato, e il regime di Putin.

La comunità dell’intelligence di allora era giunta alla conclusione che non vi fosse stata alcuna interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016. Un mese dopo le elezioni (ad amministrazione Obama ancora in carica) il Presidential Daily Brief preparato l’8 dicembre con informazioni provenienti da tutti i dipartimenti e le agenzie interessati (Dipartimento di Stato, Dipartimento della Sicurezza Interna, Cia, Fbi, Nsa) si giungeva alla conclusione che «attori russi e criminali non abbiano influenzato i recenti risultati elettorali statunitensi conducendo attività informatiche dannose contro le infrastrutture elettorali». Ma il giorno successivo, Obama convocò tutti i vertici responsabili della sicurezza, cioè il Segretario di Stato John Kerry, la Consigliera per la Sicurezza Nazionale Susan Rice, la procuratrice generale Loretta Lynch il Direttore dell’Intelligence Nazionale James Clapper e quello della Cia, John Brennan. Chiese loro di rifare il lavoro e diede loro uno spunto decisivo per trarre le conclusioni. Di fatto si doveva dimostrare un’interferenza russa.

Che il lavoro dell’intelligence fosse manovrato lo si deduce dalle dichiarazioni alla stampa di allora. Fin dai giorni immediatamente successivi alla riunione indetta da Obama, infatti, i principali quotidiani americani davano la notizia delle ingerenze russe. E questo quando la nuova indagine di intelligence non era ancora incominciata. Quando uscì il nuovo rapporto dell’intelligence, il 6 gennaio 2017, le conclusioni erano diametralmente opposte rispetto a quelle tratte appena un mese prima. In un mese venivano contraddetti sei mesi di lavoro.

Gran parte delle nuove conclusioni derivavano dal Rapporto Steele, cioè l’indagine condotta dall’ex agente segreto britannico Christopher Steele, secondo cui esisteva una fitta rete di legami, connessioni e ricatti fra Trump e il Cremlino. Steele, che era stato ingaggiato a mo’ di investigatore dalla campagna di Hillary Clinton nel 2016, condizionò l’indagine dell’Fbi che, a sua volta, condizionò il lavoro delle agenzie di intelligence fra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, ad elezione di Trump appena avvenuto. Il Rapporto Steele, però, si rivelò una bufala. Dal 2017 al 2021 il Russiagate finì in nulla, ma ebbe l’effetto di delegittimare alla radice la prima amministrazione Trump.

Questa storia è emersa dalle carte desecretate dall’attuale direttrice della National Intelligence, Tulsi Gabbard. La conclusione che ne trae è chiara: si è trattato di un episodio grave di manipolazione politica dell’intelligence. Che Obama usasse le agenzie del governo per colpire i suoi nemici non era una novità neanche allora. Nel 2010 aveva già usato l’Irs (l’agenzia delle entrate americana) per condurre una vera e propria persecuzione fiscale ai danni dei membri del movimento Tea Party, il primo movimento popolare conservatore e libertario che si opponeva alla sua amministrazione. Ma nel 2016 aveva puntato, non ai militanti, bensì al candidato presidente, con una campagna di delegittimazione che i Democratici stanno pagando ancora oggi.

Infatti abbiamo di fronte un classico caso di contrappasso. Ora è Trump che sta usando le agenzie di governo in modo politico, per colpire politici e istituzioni a lui ostili. Nel 2016 non ci pensava neppure, oggi lo fa, sfidando la divisione dei poteri. Nella prima amministrazione, Trump non poteva essere accusato di fiancheggiamento con la Russia di Putin, visto il record di sanzioni contro il Cremlino e le armi date all’Ucraina. Oggi, se Trump apre a Putin e ha già litigato sia con Zelensky che con i governi della Nato, lo si deve soprattutto al Russiagate. Anche nella famosa lite con il presidente ucraino alla Casa Bianca, Trump continuava a far riferimento alla “bufala Russia, Russia, Russia”, sentendosi accomunato con Putin nel sentirsi vittima di un processo di delegittimazione.