I paradisi fiscali non ci sarebbero se non ci fossero gli inferni fiscali: e l’Italia è uno di questi. I cittadini hanno il dovere di pagare le imposte, ma le istituzioni (nel caso italiano lo Stato, che continua a detenere ogni competenza in materia) hanno il corrispondente dovere di non depredare i cittadini, la società civile. E nel caso del nostro Paese senza dubbio di depredazione si deve parlare non soltanto per il prelievo fiscale che ormai si sta avvicinando al 50 per cento della produzione interna lorda, Pil, ma anche per le forme di usura che in vario modo lo caratterizzano: in primo luogo i cosiddetti acconti che, essendo vicini al 100 per cento del dovuto, si configurano come imposte sul reddito futuro, e poi penali spropositate per minimi ritardi sulle scadenze dei pagamenti (dei piccoli; quando invece a evadere o a ritardare pure di anni i pagamenti sono grandi ricchi allora si arriva non di rado a concordati con enormi sconti).
Quando dunque si richiama al dovere morale di pagare le imposte che incombe sui cittadini, sarebbe equo, opportuno e importante richiamare contemporaneamente lo Stato, e quindi il governo e il parlamento, al dovere morale di non porre sulle loro spalle un onere fiscale soffocante. Altrimenti si finisce, anche senza volerlo, di assegnare al potere politico una patente di innocenza a priori che non fa bene né a chi lo esercita né al Paese. L’attentato dello scorso 9 novembre al direttore generale di Equitalia e le lettere minatorie spedite a sedi di tale società in tutta Italia in questi ultimi giorni sono un campanello d’allarme da non trascurare. Si tratta ovviamente di un crimine e di intimidazioni assolutamente esecrabili. Ciò fermo restando, tali episodi sono però anche il sintomo, seppur estremo e patologico, di un disagio generale dell’intera società civile italiana: un disagio che sarebbe saggio non sottovalutare. In altre epoche e circostanze sarebbero stati presi altri settori della pubblica amministrazione o anche realtà private. Questa volta invece è stato spedito un pacco bomba al gran capo dei dazieri. Sarebbe il caso di tenerne conto.
L’esperienza dimostra che a un livello di pressione fiscale come quello che abbiamo in Italia l’evasione fiscale non scende comunque a livelli “fisiologici” mentre ogni ulteriore meccanismo di controllo non solo provoca ulteriori costi ma anche intralcia ulteriormente le attività produttive. In tale quadro i “blitz” di squadre di ispettori fiscali come quello dei giorni scorsi a Cortina d’Ampezzo sono in sostanza pura demagogia.
Siccome poi la storia ha ormai dimostrato in modo inoppugnabile che i prezzi scendono e restano al minimo solo all’interno di un regime di concorrenza, diventa urgente introdurre anche nel pubblico il principio di concorrenza ovunque possibile. Invece di imboccare la strada di un ulteriore accentramento, come invece questo governo sta facendo, si tratterebbe dunque al contrario di spingere l’acceleratore sul federalismo attribuendo ad ogni livello di governo sub-statuale, competenze esclusive e adeguata piena responsabilità sul lato sia della spesa e sia (al di sotto di una soglia massima uguale per tutti) sul lato del prelievo, compreso il diritto di abbassare la pressione fiscale sul proprio territorio in concorrenza con altri per attirare su di esso investimenti. Non sono cose che stanno solo sulla luna. Se ne possono trovare ampi esempi in molti altri Paesi europei.