Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ANNIVERSARI

Il Titanic, che sfidò l'ira del Cielo

Simbolo prometeico dei fasti della Belle Epoque che incarnava la fede assoluta nel progresso tecnologico, calò a picco miseramente.

Attualità 18_04_2012
L'affondamento del Titanic

 

In occasione del primo centenario dell'affondamento del famoso vascello da crociera, riproponiamo alla lettura l'articolo La maledizione del Titanic, comparso sul fascicolo del mensile Studi Cattolici, diretto a Milano da Cesare Cavalleri, del gennaio 2000.

 

Nella mitologia greca i Titani cercarono di sfidare gli dèi e ne furono precipitati negli abissi. E’ solo una delle tante singolari coincidenze che segnano la vicenda della nave più famosa della storia. Non fu la prima né l’ultima nave che affondò con gravi perdite di vite umane, ma questa è rimasta nell’immaginario collettivo in modo speciale.

Agatha Christie diceva che due coincidenze fanno un indizio e due indizi una prova; qualcuno è più esplicito: un incontro è un caso, due una coincidenza, tre un complotto. Dietro l’affondamento del Titanic e la morte di 1522 persone, tuttavia, non c’è alcun complotto; solo un’impressionante serie di coincidenze che ne hanno fatto davvero una nave maledetta dagli dèi. Una nave che, va detto, fece di tutto per attirare su di sé la collera divina. Ed è forse per questo suo simbolismo prometeico, in un’epoca in cui gli uomini erano così orgogliosi della loro scienza da ritenere di poter sfidare Dio e fare a meno di Lui, che la tragedia del Titanic si è impressa per sempre nelle menti di tutti.

Costituiva, quella nave, il punto più alto di una Belle Epoque che aveva celebrato i suoi fasti nell’Expo Universale di Parigi del 1900, tutta all’insegna dell’elettricità, la potenza del fulmine carpita dall’uomo agli dèi. Subito dopo il perdersi del Titanic nell’abisso, scoppiò la più immane guerra che il mondo avesse mai visto, detta appunto Grande Guerra, in cui la scienza mostrò per la prima volta il suo aspetto demoniaco; e il secolo ventesimo, quello del progresso (diceva Victor Hugo: «Il diciannovesimo secolo è grande, ma il ventesimo sarà felice»), divenne il più sanguinoso e terrificante dell’intera storia umana. Il Titanic, che incarnava la fede assoluta nel progresso tecnologico, non terminò nemmeno il suo primo viaggio.

Fiore all’occhiello dell’impero britannico, il più esteso della storia, era la nave più lussuosa di tutti i tempi. Aveva due sorelle, la Olympic e la Gigantic, ma era la più grande. Alta come un palazzo di ventisei piani, con un motore di quindici metri d’altezza, fumaioli lunghi venti metri e così ampi da poter farci passare due locomotive. Quella nave smisurata fu denominata l’inaffondabile e varata il 31 maggio 1911. L’arredamento era in stile Luigi XIV. Luigi XV, Luigi XVI e Impero. Porcellane, argenteria, menu faraonici. Inoltre, un’intera armata di serventi per ogni situazione, dai ragazzi d’ascensore ai musicisti. L’inaffondabile poteva continuare a navigare anche con quattro di quei suoi famosi compartimenti stagni, di cui andava fiera, allagati. Peccato che l’iceberg ne abbia sventrati cinque. La tecnologia dell’epoca, poi, non teneva nel giusto conto il fatto che il freddo rende l’acciaio più friabile e che l’eccessiva lunghezza del Titanic, oltre a impedire una virata veloce, lo rendeva fragile al centro (infatti, si spezzò in due). Si aggiunsero i noti errori umani, come l’insufficiente numero di scialuppe. Ma a che servivano, in una nave per definizione inaffondabile?

Poi, gli accadimenti premonitori. Il giorno del varo un supporto della chiglia si staccò e uccise un operaio. Pochi giorni dopo, un altro operaio cadde in mare e annegò. Il giorno della partenza per il viaggio inaugurale, il 10 aprile 1912, i giganteschi ormeggi che trattenevano la nave al molo rischiarono di trascinare una nave americana, che si salvò a stento. Qualche ora dopo, un furioso incendio scoppiò nella riserva di carbone. Ci vollero tre giorni a domarlo. Il fuoco indebolì la struttura in quel punto, cosa che permise all’iceberg di sventrare anche il quinto compartimento stagno. Il 15 aprile, a mezzanotte e venticinque, il disastro. L’Inghilterra era stata paralizzata da un grande sciopero di minatori nel gennaio e la White Star Line (la compagnia proprietaria del Titanic) voleva assolutamente che la prima nave a partire fosse una delle sue. Per questo reclutò gran parte dell’equipaggio appena qualche ora prima della partenza. Pochissimi marinai avevano messo piede sul Titanic, e la nave non aveva effettuato alcuna prova in mare. Gli  ufficiali sapevano perfettamente che la zona da attraversare era infestata da iceberg. Alle 23.40 la vedetta scorge l’iceberg fatale. La nave vira ma è troppo tardi: in dieci secondi, cento metri di chiglia sono sventrati. La responsabilità è del presidente della White Star Line: ha costretto il capitano a procedere ad alta velocità nella zona pericolosa, ha intasato la radio di bordo con i suoi messaggi augurali, ha deciso di non prendere in considerazione gli avvertimenti delle altre navi. Voleva per il Titanic il Nastro Azzurro, il record di velocità, e l’aveva spinto a nord, sulla rotta più breve: le azioni della compagnia sarebbero andate alle stelle.

Fu arrestato, allo sbarco, per ordine del Presidente americano in persona, ma nel processo riuscì a cavarsela. Diversi miliardari annegarono: J.J. Astor, proprietario della catena di hotel Waldorf Astoria: il re del cuoio B. Guggenheim, la cui famiglia aveva messo in ginocchio il Messico; C. Hays, re delle ferrovie canadesi, e J. Tayer, re di quelle statunitensi; I. Strauss, padrone della catena di grande distribuzione Macy’s; G. Widener, re delle tramvie americane: W. T. Stead, proprietario del Pall Mall Gazette; W. H. Parr, boss della rete elettrica americana. Tutto il loro denaro non servì a niente, mentre oscuri poveracci si salvarono. Qualcuno di loro cercò vanamente di comprarsi un posto in scialuppa. Qualcun altro morì con grande dignità. Come Stead, spiritista fervente, che i medium avevano avvisato: sarebbe morto in un naufragio. Si cimentava anche nei racconti, e ne aveva scritto uno sulla Rewiew of Rewiews: la storia di una nave della White Star Line, il Majestic, comandata da un capitano di nome Edward John Smith e affondata per l’urto con un iceberg. Attese la fine in poltrona leggendo il giornale: aveva capito che era arrivata la sua ora. Qualche settimana prima un altro racconto, scritto da Mayn Glew Garnett, era apparso sul Popular Magazine: una nave lunga 250 metri colava a picco urtata da un iceberg e metà dei passeggeri moriva per l’insufficienza delle scialuppe. L’autore disse poi di averne avuto l’idea dopo essere salito sull’Olympic. Prima di lui la poetessa Celia Thaxter aveva composto una lirica su un iceberg che, spostandosi a sud, affondava una nave.

Ma la premonizione più impressionante risale al 1898, anno in cui era uscito il romanzo Futilità dello scrittore Morgan Robertson: una nave di lusso, il Titan, affondava durante il viaggio inaugurale, una notte d’aprile, per aver urtato un iceberg. La catastrofe del Titanic segnò l’inizio della fine della supremazia europea nel mondo: i contraccolpi economici della scomparsa subitanea di una mezza dozzina di grandi finanzieri non tardarono a manifestarsi e si aprì una campagna che portò alle legislazioni antitrust. Il marinaio John Priest («prete») era scampato a un rischio affondamento sull’Olympic, si salvò dal Titanic, dal Britannic (ex Gigantic), dall’Alcantara e dal Donegal, tutte navi naufragate. Dopo di che, nessuno lo volle più a bordo. Il capitano del Titanic morì cercando di salvare un bambino. I trentasei ingegneri meccanici e i cinque addetti si sacrificarono per continuare a fornire elettricità alla nave. Lo stesso fecero i membri dell’orchestra, che suonarono fino alla fine per rincuorare chi restava a bordo. Rimase anche il prete cattolico Byles, che diede l’assoluzione a tutti quelli senza scampo. Diverse scene di eroismo si videro, e altrettante di ignobile vigliaccheria. La compagnia tolse i marinai del Titanic dal libro-paga esattamente alle ore 2.30, appena affondata la nave. Il vicepresidente della White Star Line, approfittando del lasso di tempo intercorrente tra la notizia del disastro e il suo recepimento a Londra, sottoscrisse altre polizze assicurative con i Lloyds, che ricevettero una bella batosta. Ma non salvò dalla rovina la compagnia. La vedetta del Titanic fu licenziata per non aver voluto mentire in tribunale e finì suicida. Tutte le navi che avevano avuto a che fare con Titanic, in qualsiasi modo, fecero una brutta fine.