Coloni all'assalto di Taybeh, lo sconcerto dei leader cristiani
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È il secondo attacco in pochi giorni nel villaggio vicino a Ramallah. Non un episodio isolato ma un vero e proprio sistema di intimidazione per i capi delle Chiese di Gerusalemme, che chiedono chiarezza al governo israeliano.

Ancora un attacco contro i cristiani da parte degli ebrei ultraortodossi. L’assalto è avvenuto, per la seconda volta, nel giro di pochi giorni, nel villaggio di Taybeh, vicino a Ramallah. Ormai i coloni non hanno più alcun limite: mettono tutto a ferro e fuoco. Sono diventati i nuovi Attila della Terra Santa. Attaccano moschee, chiese, civili, donne e bambini. Danno fuoco alle sterpaglie per distruggere gli uliveti e i ricoveri degli animali; incendiano le automobili parcheggiate lungo le strade. Ma non solo, sparano, ammazzano e fanno razzie senza che nessuno li fermi.
Forti del fatto che non vi è chi ostacoli la loro avanzata, hanno realizzato un distaccamento all’estremità orientale di Taybeh in un’area agricola di ben 17.000 dunum (1.700 ettari), base di sostentamento per tante famiglie del villaggio palestinese. Una zona con migliaia di ulivi, allevamenti di pollame e greggi di pecore, oltre a vasti campi coltivati. I contadini, purtroppo, sono sempre più contrastati nelle loro attività, minacciati durante il raccolto, costretti ad abbandonare le coltivazioni. Una situazione ormai fuori controllo, determinatasi, con la compiacenza del governo di estrema destra guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu.
Quello che sta accadendo a Taybeh, è «un atto inequivocabile di intimidazione diretto contro una comunità pacifica e fedele, radicata nella terra di Cristo», affermano i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme. Ma i coloni diventano di giorno in giorno sempre più pericolosi e minacciosi, sotto la copertura dell’indifferenza e dell’impunità della politica israeliana. «Non si tratta di episodi isolati, ma di un modello sistematico di intimidazione e abusi che mette in pericolo la vita quotidiana e la coesistenza pacifica nella Terra Santa», sottolineano i capi delle Chiese cristiane. E aggiungono: «Siamo gravemente turbati dal clima di impunità prevalente, che mina lo Stato di diritto e mette a rischio la coesistenza pacifica nella terra della Risurrezione. La mancanza di responsabilità non solo minaccia le comunità cristiane, ma indebolisce anche le basi morali e legali che sostengono la pace e la giustizia per tutti».
Ma i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme sono sconcertati e amareggiati per le dichiarazioni ufficiali della polizia israeliana che liquidano la questione ai soli danni alla proprietà, omettendo il contesto più ampio delle intimidazioni e degli abusi sistematici. Queste omissioni distorcono la verità e non affrontano le violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, compresi il diritto alla libertà religiosa e la protezione del patrimonio culturale.
Ma cosa domandano al governo i capi delle Chiese della Terra Santa? «Chiediamo al governo israeliano di agire con chiarezza morale e impegno; affidare alla giustizia, senza indugio, i responsabili di questi crimini; assicurare una protezione efficace e coerente alla popolazione di Taybeh e a tutte le comunità vulnerabili e, infine, rispettare gli obblighi di diritto internazionale e garantire l'uguaglianza di fronte alla legge».
Non si sono però registrati né arresti, né modifiche nelle azioni atte ad impedire le incursioni dei coloni da parte della polizia israeliana. Nell’ormai logora risposta ufficiale, a cui ci hanno abituato le autorità, si afferma di aver aperto un'indagine sull'accaduto. Indagine che non si sa se e quando si concluderà.
Ma la situazione in Cisgiordania è motivo di preoccupazione per molte cancellerie estere. Il Regno Unito, dopo la Francia, è pronto a riconoscere lo Stato palestinese, il prossimo mese di settembre, a meno che Israele non ponga fine alla guerra di Gaza e non s’impegni per la pace in Cisgiordania. La decisione, resa nota dal primo ministro Keir Starmer al suo gabinetto e all’opinione pubblica inglese, è stata prontamente condannata da Benjamin Netanyahu, che ha dichiarato che la mossa premia il mostruoso terrorismo di Hamas. Per Netanyahu riconoscere la Palestina significa premiare il gruppo terroristico di Hamas, secondo l’equazione che tutti i palestinesi sono terroristi o legati a gruppi sovversivi.
Il presidente del governo italiano, Giorgia Meloni, ha dichiarato recentemente che il riconoscimento dello Stato della Palestina è prematuro. «I tempi non sono maturi, il riconoscimento deve essere un punto d’arrivo, non di partenza». Al presidente Meloni risponde la Segreteria di Stato Vaticana, nella persona del cardinale Pietro Parolin, che si è dichiarato a favore della decisione di riconoscimento presa dalla Francia. Del resto, la Chiesa l’aveva da sempre sostenuto: «Per noi quella è la soluzione, cioè il riconoscimento dei due Stati che vivono vicini l’uno all’altro, in autonomia e sicurezza».
Gaza, nel frattempo, precipita sempre più nel baratro della catastrofe umanitaria. Da quell’orrendo 7 ottobre, dopo 662 giorni di guerra, sono oltre 60mila i palestinesi della Striscia ammazzati dall’esercito israeliano, inclusi 1.179 richiedenti aiuti uccisi nei punti di distribuzione degli aiuti umanitari. Il numero totale dei feriti è salito a 145.870, inclusi 7.957 che cercavano di avere viveri per combattere la fame.
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