"Errori" e promesse di inchieste, intanto Israele continua con le stragi
Ieri ancora oltre cento palestinesi uccisi a freddo nei pressi dei centri di distribuzione degli aiuti. Contestazioni anche dall'interno di Israele, l'ex premier Olmert parla di «guerra di devastazione» con uccisioni indiscriminate di civili. Ma Netanyahu va avanti e lancia una nuova campagna in un'area di gaza finora risparmiata.

Ancora una strage. L’ennesima di una lunga serie. Dopo oltre 653 giorni di guerra, l’esercito israeliano continua ad uccidere a Gaza, in modo indiscriminato, persone innocenti, compresi donne e bambini. Ammazzati con freddezza e indifferenza, mentre fanno la fila per un piatto di minestra. Una persona su tre, da mesi, soffre la fame. Gli aiuti, è ormai noto, sono scarsissimi e il copione non cambia; si spara sul mucchio, su chi sa, comunque, di rischiare la vita quando giunge nei luoghi della distribuzione degli aiuti. L’esercito israeliano, attraverso il suo portavoce, nega di aver ucciso nei centri di distribuzione: «Non ci sono stati incidenti nei luoghi dove vengono smistati gli aiuti umanitari». Ma subito ammette: «I soldati hanno sparato solo colpi di avvertimento contro persone “sospette”, ma è stata avviata un’inchiesta per verificare quanto è accaduto».
Errori e promesse di inchieste. Prima, per la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, si è parlato di «un’imprecisione nel tiro»; ora, per l’uccisione, in un solo giorno di oltre 100 palestinesi, si dichiara: «È stata avviata un’inchiesta». Ben venga l’inchiesta, ma i risultati reali delle indagini vengano resi pubblici e si faccia chiarezza. Si attende ancora un chiarimento per le due donne uccise, sempre all’interno della parrocchia cattolica, nel dicembre del 2023. «Esprimo il mio profondo dolore per l’attacco dell’esercito israeliano contro la Parrocchia cattolica della Sacra Famiglia in Gaza City – ha detto ieri all’Angelus papa Leone XIV -; come sapete giovedì scorso ha causato la morte di tre cristiani e il grave ferimento di altri. Tale atto, purtroppo – ha concluso il pontefice -, si aggiunge ai continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza».
La popolazione patisce per le conseguenze della fame e della carestia, migliaia di persone soffrono di malnutrizione e perdita di memoria, situazione aggravata anche dal caldo, che in questi giorni, è particolarmente intenso. Il governo Netanyahu ha proibito anche di recarsi in spiaggia. Secondo fonti mediche, attualmente, sarebbero circa 17mila i bambini che soffrono di fame.
Alla domanda, che si pongono in tanti sul perché si continui ad ammazzare ogni giorno tanta gente innocente, risponde indirettamente l’ex primo ministro Ehud Olmert: «Quello che stiamo facendo a Gaza ora è una guerra di devastazione, uccisioni indiscriminate, illimitate, crudeli ed efferate contro civili». Parole pesanti che fanno riflettere. È forse che alcuni soldati, di qualche unità o di un intero reparto, abbiano perso il controllo e agiscano con una violenza spropositata, non rispettando più le consegne? La verità è un’altra, dietro a tutto ciò vi è un chiaro progetto politico voluto ed approvato dal primo ministro Benjamin Netanyahu.
Le immagini e i filmati delle stragi compiute a Gaza circolano su tutti i canali social. Non possono essere smentite. Immagini, che risvegliano antiche ferite, e riportano alla mente tragedie che fanno riaprire piaghe del passato. Israele, però, rischia l’isolamento; è quotidianamente messo sotto accusa dall’opinione pubblica internazionale.
Nel frattempo, nel Paese la protesta non si è mai fermata. Le contestazioni continuano in tutta la nazione e si chiedono la liberazione degli ostaggi e le dimissioni di Netanyahu. La manifestazione principale di Tel Aviv, dello scorso sabato, si è conclusa con una marcia alla sede dell'ambasciata statunitense. Vi ha partecipato anche Yehuda Cohen, padre del soldato Nimrod, tuttora ostaggio di Hamas, che ha affermato che nessun militare dovrebbe essere ferito per liberare suo figlio. «Centinaia di soldati sono morti in guerra - ha detto Cohen -. Nessuno di loro avrebbe dovuto essere ferito per riportare indietro gli ostaggi. Possiamo riportarli indietro con un accordo. Possiamo interrompere il ciclo del lutto».
Mentre avvengono stragi nella Striscia e proteste in Israele, in Cisgiordania i coloni non rinunciano ai loro progetti, impegnati in incursioni punitive contro i palestinesi. Ad Israele è sfuggito di mano il controllo della situazione e il rispetto del diritto internazionale. Sul piano militare è evidente la sua supremazia. Hamas ha subito una decimazione della sua classe dirigente, ma raccoglie consenso presso la società palestinese. Lo stato ebraico, sul piano morale, sta però subendo una pesante sconfitta. Più cercherà d’ottenere una vittoria totale, più correrà il rischio di perdere questo conflitto sul piano etico e politico. La storia insegna che in Medio Oriente la logica del più forte prevarrà sempre, senza risolvere, però, i reali problemi che continueranno a covare sotto la cenere.
Il nuovo Medio Oriente, che uscirà da questa guerra, sognato e ipotizzato da Benjamin Netanyahu, grazie al semaforo verde ottenuto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che continua a sostenerlo militarmente con l’invio di armi e nuove tecnologie, non sarà né più stabile, né tanto meno più pacificato di prima.
Violenza chiama violenza, le guerre provocano solo morte e distruzione, l’odio reciproco alimenta la vendetta e si proseguirà su questa strada per generazioni. Ma l’odio sta travolgendo anche il popolo israeliano. Lo scorso sabato, un deputato della Knesset, che era bordo della propria auto, è stato circondato da manifestanti. Si tratta del parlamentare arabo Ayman Odeh. Alcune decine di persone hanno accerchiato il mezzo, l'hanno colpito e rotto un finestrino al grido di “Morte agli arabi”.
È giunto il tempo di fermare questa inutile e assurda guerra, come ripete, da tempo, il patriarca Pizzaballa. Interrompere questa spirale di violenza che sta travolgendo i due popoli; porre fine a questa mattanza di palestinesi e fermare le aggressioni degli ebrei ultraortodossi, comprese quelle contro l’inerme comunità cristiana di Terra Santa. «Oggi più che mai, l’umanità grida e invoca la pace. È un grido che chiede responsabilità e ragione, e non dev’essere soffocato dal fragore delle armi e da parole retoriche che incitano al conflitto. Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile», aveva già detto papa Leone XIV.
Ma Israele non si ferma, non ferma la sua macchina di morte. E così, da ieri domenica, ha avviato una campagna a Deir al-Balah, una delle poche località della Striscia in cui l'esercito non aveva ancora operato con truppe di terra.