Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
ALLARME IN EUROPA

Balcani sull'orlo di una nuova esplosione di violenza

Nei Balcani la situazione è grave e nessuno, in Ue, se ne sta seriamente occupando. La Germania ha imprudentemente promosso la candidatura del Kosovo al Consiglio d'Europa, provocando la dura reazione della Serbia. In Bosnia, le tre componenti (musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi) non si accordano sulla legge elettorale. 

Esteri 13_05_2022
Kurti (premier del Kosovo) con Scholz (cancelliere tedesco)

I Balcani sono in ebollizione, grave che verso questi Paesi, in gran parte prossimi alla entrata a pieno titolo nell’Ue, le istituzioni europee prestino poca attenzione e lascino mano libera ad azzardate manovre destabilizzanti. Le relazioni tra Croazia, Serbia e Bosnia Erzegovina, all’interno della Bosnia e Erzegovina tra le minoranze e tra Serbia, Kosovo, Albania e Consiglio di Europa sono sull’orlo del precipizio.

Gli accordi internazionali che hanno stabilizzato la regione negli ultimi decenni sono esauriti, urge un piglio politico intelligente per aggiornarli e trovare nuove intese, ma la ‘politica’ è assente a Bruxelles ed il rischio cresce. Gli ‘Accordi di Bruxelles’ (prettamente amministrativo), sottoscritti da Serbia e Kosovo nel 2013, sotto gli auspici della Ue, non hanno più alcun valore ed invece di lavorare per una nuova intesa, l’Europa latita e lascia soffiare sul fuoco ai briganti e avventurieri. Le tensioni sempre più accese tra Serbia e Kosovo, già fortemente aggravatesi dall’inizio dell’anno con le accuse rivolte dal Presidente serbo Aleksander Vučić  al governo di Pristina di mettere in atto una “sistematica pulizia etnica” verso i serbi e, di rimando le accuse kosovare verso Belgrado di destabilizzare la regione.

Ovviamente il rifiuto della Serbia di imporre sanzioni alla Russia ed invece la scelta del Kosovo di adeguarsi alle richieste europee, è stato l’ennesimo detonatore di una situazione mai adeguatamente risolta, dopo l’autoproclamazione dell’indipendenza del Kosovo nel 2008, il riconoscimento da parte di un centinaio di Stati nazionali, il rifiuto di tale riconoscimento del Consiglio di sicurezza Onu e della Serbia. Nelle ultime settimane, il governo socialista tedesco è entrato in campo come un elefante nella cristalleria e promosso ufficialmente, lo scorso 5 maggio, il riconoscimento del Kosovo come Paese membro del Consiglio d'Europa. La Serbia legatissima per ragioni storiche, religiose e culturali alla Russia ed in difficoltà dopo le parole di Putin che recentemente ha paragonato il diritto all'indipendenza del Kosovo a quello delle repubbliche autoproclamatesi di Donetsk e Luhansk, è oggettivamente in difficoltà. Vučić è sotto pressione ma non è per nulla disposto a sottomettersi ai voleri europei e, lo ha fatto ben capire proprio in questi giorni in visita a Bruxelles dove, dopo aver apprezzato l’opportunità di ampliare le collaborazioni economiche,nell’ambito della ‘Open Balcan Initiative’ (un'area di libero scambio),  ha chiarito ai suoi interlocutori istituzionali di Albania e Nord Macedonia, che la Serbia continuerà a lottare in ogni sede per evitare ogni riconoscimento del Kosovo.

Il Kosovo che,  dopo l’endorsment tedesco, ha presentato il 12 maggio, la propria candidatura ufficiale al CoE, ha ricevuto l’appoggio del Primo Ministro socialista albanese Edi Rama che, nel perseguire l’idea della ‘Grande Albania’ (unione dei due paesi), ha visitato nel carcere dell’Aja, l’”eroico” ex presidente kosovaro Hashim Thaçi, già capo delle milizie UCK, e accusato di crimini contro l’umanità nel conflitto con la Jugoslavia del 1998-1999.  Oggi, 13 maggio, si riunisce di urgenza del Consiglio di sicurezza nazionale della Repubblica di Serbia, su premesse minacciose:  Pristina ha violato “brutalmente” una serie di accordi, i promotori delle decisioni kosovare vogliono l’instabilità regionale. Il 20 maggio il Presidente  del Consiglio europeo  Charles Michel sarà a Belgrado, aspettiamoci ulteriori disastri.

La situazione non è migliore in Bosnia Erzegovina, dove le tensioni tra le tre etnie (serba, croata e musulmana) che si spartiscono equamente territorio e struttura di governo sono alle stelle. La riforma elettorale, in vista delle prossime elezioni che si dovrebbero tenere in ottobre non è completata e non non si è trovato sinora alcun accordo, le sanzioni alla Russia sono bloccate per il veto della rappresentanza serba, mentre croati e serbi denunciano discriminazioni subite da parte musulmana. La Croazia ha già chiesto un summit europeo specifico sul tema ed il suo presidente Zoran Milanović, il mese scorso ha accusato “alcune elites bosniache, ma non i serbi” di discriminare la minoranza croata. I leader religiosi sono molto allarmati dalla situazione di tensione nel Paese. “I bosniaci hanno motivo di preoccuparsi per il futuro della Bosnia-Erzegovina e per la loro sopravvivenza”, ha dichiarato il mese scorso il capo della Comunità islamica della Bosnia-Erzegovina, Husein Kavazović. "Negli ultimi 30 anni, più della metà dei cattolici, cioè dei croati, è scomparsa, più precisamente circa il 54,6%", si legge nel documento dei vescovi cattolici pubblicato i giorni scorsi.

Negli ultimi giorni la situazione si è aggravata, ancora una volta a causa della Germania socialista che ha spinto l’Alto rappresentante della Comunità Internazionale in Bosnia Erzegovina, non ufficialmente nominato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, come previsto invece dagli “Accordi di Dayton” del 1995, Christian Schmidt, a presentare una sua relazione , molto benevola verso i musulmani, al Consiglio di sicurezza dell'11 maggio. Un relazione che Cina e Russia hanno respinto perché “cancella la politica approvata dalla comunità internazionale per il passaggio di tutti i poteri alle autorità legalmente elette della Bosnia-Erzegovina, a favore del controllo manuale dei processi bosniaci da parte di Bruxelles, Washington e alcune capitali europee". Servirebbe un sussulto di intelligente politica da parte di Bruxelles, proprio quel che manca oggi.