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CONTINENTE NERO

Angola, i vescovi lanciano un appello per un vero rinnovamento

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Angola, dopo 14 anni di guerra di indipendenza e 27 di guerra civile, il paese è lacerato, anche se ricchissimo di petrolio. Un presidente miliardario governa su masse in miseria. I vescovi esortano a un rinnovamento autentico.

Esteri 24_07_2025
Luanda

Tutti sanno quanto fa la Chiesa cattolica africana per aiutare chi ha bisogno, il suo immenso contributo ad alleviare i problemi di decine di milioni di persone. Tutti lo sanno perché le attività caritatevoli e assistenziali della Chiesa – ospedali, ambulatori, istituti che si prendono cura di orfani, anziani, disabili, centri di raccolta e distribuzione di generi di prima necessità – devono molto alla generosità dei fedeli. Ogni parrocchia, ogni istituto missionario africano conta sull’impegno in Italia di qualche associazione che ne sostiene le attività raccogliendo fondi.

Invece forse non si presta abbastanza attenzione e non si dà il meritato risalto all’impegno incessante che la Chiesa dedica a richiamare i governi e gli africani tutti alle loro responsabilità, a costo di reazioni avverse quando il richiamo diventa rimprovero e aperta denuncia. 

Nei giorni scorsi la Conferenza episcopale di Angola e Sao Tomé ha espresso profonda preoccupazione per il declino degli standard etici e le crescenti ingiustizie sociali in Angola. A conclusione di una riunione del Consiglio permanente svoltasi il 16 e 17 luglio a Luanda, la capitale del paese, i vescovi hanno chiesto riforme urgenti e un rinnovato impegno per un governo etico e per un sistema che garantisca processi decisionali inclusivi. Lo hanno fatto in vista del 50° anniversario dell’indipendenza dal Portogallo che verrà celebrato il prossimo novembre.

Dal 1961 gli angolani hanno combattuto per l’indipendenza del loro paese, che era una colonia del Portogallo. L’hanno ottenuta nel 1975 e subito hanno scatenato una guerra etnica per il controllo dell’apparato statale durata fino al 2002. A vincerla, sconfiggendo gli avversari Unita e Fnla, è stato l’Mpla, da sempre partito di governo con tre presidenti: Agostinho Neto, dal 1975 al 1979, Jose dos Santos, dal 1979 al 2017, e João Lourenço, tuttora in carica. La scoperta di enormi giacimenti di petrolio negli anni 90 del secolo scorso avrebbe potuto consentire al paese stremato di risollevarsi. Invece le promesse di sviluppo e giustizia sociale con le quali Mpla, Fnla e Unita avevano indotto gli angolani a prendere le armi e lottare per l’indipendenza, non sono state mantenute. Basti dire che il presidente Dos Santos è stato il presidente africano più ricco, con un patrimonio di oltre 20 miliardi, e sua figlia Isabel, che nel 2016 il padre mise a capo della Sonangol, la compagnia petrolifera nazionale, è stata la prima donna africana a diventare miliardaria, con una fortuna personale di 3,8 miliardi di dollari. Con il presidente Lourenço finora poco è cambiato nella sostanza. Questo è lo scenario che ha indotto i vescovi angolani a parlare.

«I valori della libertà – si legge nel loro documento diffuso il 18 luglio e del quale ACI Afrique riporta ampi passaggi – sono compromessi dalle restrizioni alla libertà di espressione e dalla strumentalizzazione dei media pubblici, che soffocano la pluralità e mettono a tacere le voci dissenzienti». Preoccupa, scrivono,  «la sistematica e deliberata esclusione degli angolani dai processi decisionali» che indebolisce la democrazia. I vescovi denunciano quindi un sistema di governance centralizzato, autocratico e basato sul welfare che «uccide le iniziative private e soffoca la creatività e l’intraprendenza essenziali per il progresso»; «la ricerca sfrenata di ricchezza senza criteri morali che mina la dignità nazionale e minaccia la coesione sociale». Condannano le “sconvolgenti disuguaglianze” che mortificano la dignità personale e le persistenti divisioni retaggio dei conflitti del passato che «continuano ad alimentare l’ostilità tra i cittadini».

A questo proposito osservano che, in occasione delle prossime celebrazioni, tutti i padri fondatori della nazione, anche i leader degli schieramenti sconfitti – Holden Roberto dell’Fnla e Jonas Savimbi, dell’Unita – devono essere ricordati e onorati senza sminuire nessuno perché per una vera unità tutta l’Angola deve essere «accolta nello spazio ideale della memoria collettiva e del perdono perché c’è bisogno di una profonda riconciliazione che deve fondarsi su una conversione etica in particolare dei leader del paese».

I vescovi angolani concludono auspicando un rinnovamento autentico del senso civico: «lo Stato nazionale si costruisce attraverso il lavoro onesto, la solidarietà e l’amore per la patria». Esortano soprattutto «i giovani a diventare protagonisti della vita nazionale nonostante le sfide attuali. La loro formazione equilibrata e la loro leadership creativa sono i semi dell’audacia necessaria per spezzare i cicli della disperazione e aprire percorsi di speranza». «È urgente sradicare la corruzione – sottolineano – la necessaria trasformazione dell’Angola sarà possibile solo attraverso un cambiamento morale che ripristini il rispetto per la proprietà pubblica, per gli altri e per il bene comune». Per questo incoraggiano tutti i cittadini, di ogni categoria e ceto sociale, a «dimostrare integrità in ogni ambito, dalla famiglia al mondo accademico, dai servizi pubblici alle imprese» e a impegnarsi per realizzare istituzioni che promuovano «i diritti umani, una governance trasparente, l’indipendenza della magistratura, la libertà dei media, nonché un sistema educativo e sanitario efficiente».

Altrimenti «gli sforzi individuali falliranno e il futuro rimarrà incerto».

Il lascito della guerra postcoloniale non è solo la difficoltà presente di concepirsi come nazione, superare le divisioni e perdonare. Nei 27 anni di guerra il territorio dell’Angola, strade, campi, villaggi, città, fu disseminato di milioni di mine antiuomo, si ritiene almeno 15 milioni. Decine di migliaia di angolani, almeno 90mila, sono stati uccisi o sono stati mutilati dagli ordigni. Alla fine del 2024 ancora rimanevano più di mille campi minati da bonificare.