Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Aiuti ripresi a Gaza, mire israeliane sulla Cisgiordania

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Governo ed esercito israeliano respingono le accuse sulla fame a Gaza, ma intanto proseguono nel piano di spingere i palestinesi ad emigrare. E il voto della Knesset rafforza il progetto di annessione della Cisgiordania.

Esteri 28_07_2025

Finalmente, dopo cinque mesi di blocco totale, 120 camion di aiuti umanitari hanno varcato i confini del valico di Rafat e sono entrati nella Striscia di Gaza. Gli oltre due milioni degli attuali abitanti della Striscia, stremati dalla fame, sopravvivono a stento minacciati dalla carestia. Secondo le Nazioni Unite, sarebbero oltre 470mila coloro che ne sono esposti gravemente.

Ma per l’esercito israeliano le cose non stanno così. «A Gaza non si muore di fame. Si tratta di una falsa campagna promossa da Hamas», questo, infatti, è il messaggio che si legge sulla pagina ufficiale dell'Idf. La nota prosegue affermando che la responsabilità della distribuzione del cibo è delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie internazionali. «Sono loro a garantire l'efficienza della fornitura degli aiuti e ad assicurare che questi non raggiungano Hamas», conclude la nota. Sempre sul canale social, l’esercito ha dichiarato di aver effettuato un lancio di beni di prima necessità, nell'ambito degli sforzi in corso per consentire e facilitare l'ingresso di tali aiuti. Il lancio ha provocato, però, il ferimento di undici persone che sono state colpite da un contenitore di viveri mentre si trovavano sotto una tenda. Per tutta la giornata di ieri e fino a nuove disposizioni, è stato attuato un cessate il fuoco umanitario in molti centri della Striscia e nella parte settentrionale di Gaza, per consentire la distribuzione degli aiuti.

Mentre anche i bambini vagano da una zona all’altra, sotto il caldo torrido di questi giorni, alla ricerca di qualche briciola di pane, i più deboli soccombono e la maggioranza non ha più la forza di muoversi e sosta sotto le tende in attesa della morte. Sono migliaia i bambini ormai sottoalimentati. Su 56.440 bimbi di età inferiore ai cinque anni, sottoposti a controlli sanitari, nelle città di Khan Younis, Deir al-Balah e Gaza City, durante le prime due settimane di luglio, 5mila sono stati trovati affetti da grave malnutrizione. È quanto emerge da un rapporto diffuso dalle Nazioni Unite e reso pubblico lo scorso giovedì. La gente sopravvive con un solo pasto al giorno e, in alcuni casi, c’è chi passa giorni interi senza toccare cibo. Le case sono completamente distrutte e manca l’acqua potabile e la luce.

Statisticamente dieci bambini al giorno perdono un arto e vengono sottoposti ad amputazioni, privati del futuro, della loro infanzia e dei loro sogni. Come nel caso di Osama, un bambino di appena dodici anni. È scampato alla morte per ben due volte. Da quasi due anni vaga da un territorio all’altro con la famiglia. Ogni volta che si sposta perde qualche familiare. All’inizio di questo orrendo conflitto viveva a casa con i nonni, insieme alla madre e alle sorelle. Un attacco dell’aviazione israeliana colpisce in pieno la sua abitazione uccidendo tutti. Si salva solo lui. Inizia un nuovo “viaggio”; va a vivere con il papà che, prima della guerra, faceva l’infermiere e con sette zii paterni in una scuola trasformata in un rifugio. Spera di poter sopravvivere a questo inferno. Ma il suo sogno viene nuovamente infranto: un nuovo attacco israeliano ammazza sia il papà che gli zii. Lui si salva; viene ricoverato all’ospedale Al-Aqsa a Deir Al Balah dove gli viene amputata una gamba. Ora non ha più nessuno e dovrà affrontare il trauma in completa solitudine. L’unico ricordo che ha della sua famiglia è un cellulare del papà, e così, quando può accedere alla rete chiama gli amici di suo padre, che aveva studiato a Messina, in cerca di aiuto.

Nel frattempo, il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu, nega quanto sta accadendo a Gaza e prosegue nel suo piano, studiato a tavolino, e ben definito: costringere chi sopravvive alle bombe e alla fame ad abbandonare l’enclave musulmana e scegliere un’altra terra dove poter sopravvivere. Un piano che il governo Netanyahu ha definito «emigrazione volontaria».
Ma non tutti gli israeliani la pensano come il primo ministro. Il leader dell'opposizione, Yair Lapid, ha recentemente dichiarato: «Israele non riuscirà mai convincere il mondo della correttezza della nostra guerra contro il terrorismo finché saremo guidati da un governo estremista con ministri che festeggiano il sangue e la morte di civili».

Intanto con un’iniziativa, non tanto a sorpresa, la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato una mozione non vincolante a favore dell'annessione della Cisgiordania, un gesto simbolico che ha avuto l’effetto di ricompattare la coalizione di governo di destra non allineata a Netanyahu. Una risposta indiretta al presidente francese Emmanuel Macron che ha deciso, per il prossimo settembre, che la Francia, nel corso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riconoscerà lo Stato di Palestina.
Con la risoluzione, approvata dalla Knesset, 71 voti favorevoli e 13 contrari, il parlamento ha deliberato che la Cisgiordania è una parte inseparabile della Terra d’Israele, la patria storica, culturale e spirituale del popolo ebraico. E ciò discende per diritto naturale e storico su tutti i territori della Terra d’Israele. «Questa è la nostra terra. Questa è la nostra casa, che appartiene al popolo d’Israele», ha dichiarato il presidente della Knesset, Amir Ohana, dopo il voto.

Il vicepresidente dell'Autorità palestinese, Hussein al-Sheikh, ha definito il voto di annessione una «pericolosa escalation che minaccia le prospettive di pace, stabilità e la soluzione a due stati».

Non solo la Francia. Trentacinque ex-ambasciatori della Repubblica italiana hanno inviato una lettera aperta al primo ministro Giorgia Meloni nella quale evidenziano che ci sono momenti nella storia in cui non sono più possibili ambiguità, né collocazioni intermedie. Questo momento è giunto per Gaza. Chiedono, tra l’altro, di sospendere ogni rapporto e cooperazione, di qualunque natura, nel settore militare e della difesa con Israele e l’immediato riconoscimento nazionale dello Stato di Palestina.

Nel frattempo, protetti dalle decisioni governative, i coloni, diventano giorno dopo giorno, sempre più invadenti e pericolosi. Un gruppo di ebrei ultraortodossi ha preso d'assalto la tomba di Giuseppe, nel villaggio di Balata, a est di Nablus, nella Cisgiordania occupata. L’azione, ripresa con i cellulari, mostra i coloni vicini al sepolcro di Giuseppe. Bloccati dalle forze di sicurezza dell'Autorità palestinese sono stati consegnati ai soldati israeliani. Nella città di Biddya, a ovest di Salfit, le forze israeliane hanno lanciato un’incursione e perquisito numerose abitazioni palestinesi, sfondando porte e causando danni. Un altro attacco è stato segnalato a Jenin.

Ma la sfida israeliana ai palestinesi della Cisgiordania e, in generale, al mondo musulmano, è ormai evidente.  Lo sceicco Mohammad Hussein, Gran Muftì di Gerusalemme e della Palestina, è stato tratto in arresto dalle forze di polizia israeliane, dopo il suo sermone pronunciato lo scorso venerdì all’interno della moschea di Al- Aqsa. Dopo averlo trattenuto per diverse ore è stato poi liberato. Secondo le accuse mosse dalle forze di sicurezza israeliane il gran muftì aveva criticato la politica israeliana perpetrata dal governo che ha l’obiettivo di affamare i palestinesi di Gaza.