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NUOVO MESSALE

Una traduzione impossibile nella Preghiera Eucaristica III

Nel Nuovo Messale troviamo traduzioni che suscitano perplessità. Come quella nella Preghiera Eucaristica III dove si attribuisce allo Spirito Santo un'azione che nell'originale latino è propria di Cristo. Nulla contro lo Spirito Santo, ma è opportuno chiedersi fino a che punto si possa concedere libertà al traduttore. Sorprende che un simile errore di traduzione sia passato indenne attraverso le varie fasi di controllo, ma questo è più facile se chi deve controllare la fedeltà della traduzione è la stessa istituzione che la realizza.

Ecclesia 30_11_2020

Sebbene la nuova traduzione italiana del Messale Romano diverrà obbligatoria solo dalla Pasqua 2021, in molte diocesi del Bel Paese essa è stata introdotta già a partire da questa I Domenica di Avvento. Oltre a leggere gli interessanti articoli pubblicati al riguardo (vedi gli articoli di Padre Riccardo Barile qui, qui e qui ndr.), mi sono anch’io dedicato a dare uno sguardo alla nuova traduzione. Ho trovato elementi di cui rallegrarsi, come la famosa «rugiada» della II Preghiera Eucaristica, che è traduzione fedele del testo latino.

L’attenzione di molti osservatori si è concentrata sulle variazioni intervenute nel Gloria in excelsis e nel Padre Nostro, di cui qui non mi occuperò. Il mio piccolo studio personale per prepararmi a celebrare con il “nuovo” Messale si è concentrato maggiormente su altre parti del libro liturgico, tra cui le Preghiere Eucaristiche, in cui pure sono state introdotte delle variazioni. Come spesso accade, alcune tra queste rappresentano (come accennato) delle migliorie, altre potremmo definirle neutre, mentre altre ancora suscitano perplessità.

In questa breve nota, mi soffermo soltanto su un esempio rappresentativo dell’ultimo tipo, tratto dalla nuova traduzione della III Preghiera Eucaristica. Cito innanzitutto l’originale latino:

Réspice, quæsumus, in oblatiónem Ecclésiæ tuæ
et, agnóscens Hóstiam,
cuius voluísti immolatióne placári,
concéde, ut qui Córpore et Sánguine Fílii tui refícimur,
Spíritu eius Sancto repléti,
unum corpus et unus spíritus inveniámur in Christo.
Ipse nos tibi perfíciat munus ætérnum,
ut cum eléctis tuis hereditátem cónsequi valeámus ...

Propongo ora una mia traduzione, non molto elegante, ma piuttosto fedele alla lettera del testo:

Guarda, te ne preghiamo, l’offerta della tua Chiesa
e, riconoscendo la Vittima con la cui immolazione volesti essere placato,
concedi che noi, che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio, ripieni del suo Spirito Santo, possiamo essere trovati un solo corpo ed un solo spirito in Cristo.
Egli ci perfezioni come dono votivo eterno per te,
affinché siamo capaci di conseguire l’eredità insieme con i tuoi eletti …

Dopo questa traduzione, forse un po’ troppo letterale, ma fedele al contenuto del testo, riporto il modo in cui traduceva il Messale della CEI del 1983, vale a dire la versione che abbiamo usato fino ad oggi:

Guarda con amore
e riconosci nell’offerta della tua Chiesa,
la vittima immolata per la nostra redenzione;
e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio,
dona la pienezza dello Spirito Santo
perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito,
perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti …

Questa traduzione è più scorrevole della mia, ma meno fedele. Si potrebbero fare numerose osservazioni a questa versione, dato che non solo il testo latino non è stato tradotto alla lettera o almeno con maggiore fedeltà di come si è fatto, ma si è cambiato anche, per diversi aspetti, il senso del testo originale, ossia il suo contenuto. Spiegare tali variazioni dal punto di vista teologico richiederebbe un certo spazio, che qui non abbiamo (suggerisco però al lettore di osservare bene le differenze).

Apprezziamo, nella traduzione del 1983, solo un dettaglio, ossia il fatto che il secondo paragrafo traduce l’Ipse originario latino correttamente con «Egli». Anche un lettore distratto si rende conto che il riferimento è a Cristo, nominato nel rigo precedente («perché diventiamo, in Cristo, …»). Osservando di nuovo il testo latino, si apprezza che tale Ipse si riferisce senza dubbio a Cristo e non allo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, d’altronde, nel primo dei due paragrafi citati è menzionato solo in caso ablativo semplice, come complemento di abbondanza: Spiritu eius Sancto repleti (e si noti che lo Spirito Santo è qualificato come «suo/eius», cioè di Cristo, che resta, assieme a Dio Padre, il centro di attenzione di questo testo).

È stato dunque per me motivo di notevole sorpresa rilevare che, da oggi in poi, il sacerdote celebrante, utilizzando il Messale 2020, dovrà dire non «Egli [Cristo]» bensì, secondo la nuova traduzione, «Lo Spirito Santo faccia di noi…», il che rappresenta, dal punto di vista grammaticale, una scelta immotivata, per non dire impossibile. Nulla, naturalmente, contro lo Spirito Santo! Sembra però opportuno chiedersi fino a che punto si possa concedere libertà al traduttore e inoltre in base a quali criteri egli abbia operato le proprie scelte.

Infine, sorprende anche che un simile errore di traduzione sia passato indenne attraverso le varie fasi di controllo previe all’approvazione definitiva della nuova versione. Questo, tuttavia, è più facile che accada se chi deve controllare la fedeltà della traduzione è, in ultima analisi, la stessa istituzione che la realizza.

*Professore Ordinario dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum; Professore Invitato presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino in Urbe (Angelicum)