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la guerra va avanti

Inizia l'occupazione di Gaza city, Netanyahu sempre più isolato

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Con un dispiego di almeno 130 uomini Israele ha dato il via all'occupazione di Gaza city. Operazione difficile e che ignora le dichiarazioni di condanna e gli appelli delle varie cancellerie che invitano Israele a sospendere questa assurda guerra.

Esteri 22_08_2025

Prima l’accerchiamento, poi l’occupazione. La nuova campagna dell’esercito israeliano in territorio della Striscia denominata “Carri di Gedeone II” ha preso il via. Il via libera all'invasione di Gaza City da parte dei militari con la Stella di Davide è stato impartito dal ministro della Difesa, Israel Katz. Un ordine scontato, considerato che oramai qualsiasi decisione del primo ministro Netanyahu deve essere prima “approvata” dai due ministri dell’estrema destra ultraortodossa, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che quotidianamente minacciano di abbandonare la coalizione nel caso in cui non si tenga alta la pressione su Gaza e Cisgiordania e poi messa in pratica.

E quella che si sta combattendo non è più una guerra contro il gruppo terroristico di Hamas, iniziata dopo quel tragico 7 ottobre, ma un’azione il cui obiettivo è cacciare definitivamente i palestinesi di Gaza dalla loro terra, prima concentrandoli in un’area definita “zona umanitaria”, nei dintorni di Rafah, in seguito costringendoli, per le condizioni insopportabili e disumane, ad emigrare. I palestinesi uccisi nel conflitto sono oltre 62mila, di cui 18.885 bambini, mentre 160mila sono i feriti. Un milione e novecentomila sono gli sfollati.

Per la conquista di Gaza City, un’area di 45 chilometri quadrati a nord della Striscia a soli settanta Km da Tel Aviv, l’esercito ha pronto l’ordine di richiamo di ben 60mila riservisti, che dovrebbero presentarsi entro il prossimo 2 settembre. Il capo dell’esercito ha anche precisato di voler estendere di altri 30-40 giorni il servizio per i circa 20mila riservisti attualmente presenti sul campo. Ciò porterebbe il loro numero totale a circa 130mila unità. L’operazione denominata “Carri di Gedeone II” è dunque iniziata. «Siamo determinati a concretizzare la decisione del governo di conquistare Gaza City, a meno che non venga presentata una nuova proposta che comprenda il rilascio di tutti gli ostaggi e la fine della guerra secondo i termini delineati dal primo ministro», ha dichiarato il ministro della Difesa.

Ma non sarà un’operazione facile. Gaza City, la più grande città della Striscia e la terza tra i centri palestinesi, dopo Gerusalemme Est ed Hebron, è cresciuta rapidamente dopo gli accordi di Oslo e ospita varie università, tra cui l'Università islamica. Si vocifera che Hamas, da tempo, abbia integrato le sue infrastrutture militari e sociali nella città, rendendo alquanto complesse le operazioni belliche per Israele. L’esercito ebraico ha sistematicamente preso di mira i grattacieli, ritenuti le basi che ospitano le cellule di Hamas. Circa un milione di residenti, tra cui migliaia di sfollati provenienti dal sud di Gaza, complicherà ulteriormente le operazioni militari, molti infatti si rifiuteranno di evacuare la città, anche sotto minaccia.

Un piano, quello israeliano, che ignora le dichiarazioni di condanna e gli appelli delle varie cancellerie che invitano Israele a sospendere questa assurda guerra. Dichiarazioni di condanna e appelli che innervosiscono il primo ministro, al punto che Netanyahu risponde con parole poco diplomatiche, che sfiorano anche le offese personali, come ad esempio, contro il ministro australiano Anthony Albanese, definito “un politico debole” o l’accusa a Emmanuel Macron di “fomentare l’odio antisemita”. Entrambi, infatti, hanno dichiarato di essere pronti a riconoscere lo Stato di Palestina, nella prossima assemblea delle Nazioni Unite. Ma il presidente francese non demorde, e sul suo profilo su X, mette in guardia lo Stato ebraico: «La nuova offensiva militare su Gaza, che Israele sta preparando, non può che portare ad un vero disastro per entrambi i popoli e a un conflitto permanente».

«Ciò che accade a Gaza è moralmente inaccettabile e ingiustificato. Occorre proteggere i civili, impedire punizioni collettive e lo spostamento forzato della popolazione. Si applichi la legge umanitaria. Si ponga fine a questa guerra», è l’appello congiunto del patriarca cattolico di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, e del patriarca ortodosso Teofilo III, al termine della loro recente visita nella Striscia.

Netanyahu e il suo governo proseguono, comunque, incuranti e insensibili ad ogni invito alla ragione; certi, come è accaduto sino ad oggi, che nessuno li possa fermare. O meglio, li voglia fermare. Ma il piano governativo va ben oltre Gaza, e per quanto concerne la Cisgiordania, oggi si sta semplicemente realizzando quanto, un suo predecessore, Yitzhak Rabin, firmatario degli accordi di Oslo e premio Nobel per la pace, aveva ideato, nel lontano 1994, il progetto denominato in codice “E1”, per la realizzazione di 3500 abitazioni a nord di Ma’aleh Adumim, uno dei più grandi insediamenti, ad est di Gerusalemme, in modo da collegare di fatto la più grande colonia ebraica dei Territori Occupati (30 mila abitanti) alla città santa, ma di fatto, separando in due la Cisgiordania. Viene così interrotta la continuità territoriale della Palestina, ma questa è la logica di tutti gli insediamenti già realizzati per ostacolare e sabotare il progetto “Due popoli due stati”. Ad annunciare la realizzazione del piano, tenuto nel cassetto, è stato il ministro di estrema destra Bezalel Smotrich. «Lo Stato palestinese sta scomparendo, non con slogan, ma con i fatti. Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni casa è un altro chiodo nella bara di questa pericolosa idea», ha dichiarato il ministro.

Nel frattempo, Hamas chiama a raccolta tutto il popolo palestinese per fermare questo progetto col quale si vuole realizzare la Grande Gerusalemme. Verrebbero deportate dieci comunità beduine, la maggiore risiede nel villaggio di Khan al-Ahmar, sulla strada che collega Gerusalemme a Gerico. In questo modo verrebbe interdetto ai residenti della Cisgiordania, in particolare di Ramallah, Betlemme e Gerusalemme Est di poter costruire case per i palestinesi. Un duro colpo anche per il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, che dal 2005, di fatto sta assecondando tutto quello che Israele chiede. Infatti, nella zona “C”, aree della Cisgiordania sotto il controllo israeliano, gli insediamenti ebraici sono aumentati e i palestinesi cacciati nel silenzio più totale del presidente della Palestina. Con questo nuovo insediamento si contribuisce al naufragio del progetto dei due Stati, calpestando ulteriormente quello che resta della dignità di un popolo più debole, quello palestinese.