Israele riconosce il Somaliland. Ipocrisia di chi condanna
Israele è l'unico Stato al mondo che ha riconosciuto l'indipendenza del Somaliland. Protestano Ue, Ua, Usa e Oci che chiedono il rispetto dell'integrità della Somalia. Ma non c'è alcuna integrità territoriale in Somalia.
Il 26 dicembre Israele, primo e unico fra tutti i 193 paesi membri delle Nazioni Unite, ha deciso di riconoscere il Somaliland, un territorio che ha fatto parte della Somalia dal 1960 al 1991, anno in cui i suoi abitanti hanno scelto di autoproclamarsi Stato autonomo. Le reazioni alla notizia sono state immediate, in gran parte di segno negativo, motivate ufficialmente dal fatto che il governo somalo non ha mai accettato la secessione e continua a considerare il Somaliland territorio nazionale.
L’Unione Africana, senza citare Israele, è intervenuta dicendo di «rifiutare fermamente qualsiasi iniziativa o azione che miri al riconoscimento del Somaliland come entità indipendente». L’Unione Europea, tramite il suo Servizio diplomatico, ha diffuso un comunicato in cui «ribadisce l’importanza di rispettare l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale di Somalia. Ciò è fondamentale per la pace e la stabilità dell’intera regione del Corno d’Africa». L’Unione Europea, conclude il comunicato, «incoraggia un dialogo costruttivo tra il Somaliland e il governo federale di Somalia per risolvere le annose divergenze». Gli Stati Uniti hanno dichiarato di continuare a riconoscere l’integrità territoriale della Somalia «che include il territorio del Somaliland». Per la Cina si è fatto portavoce il ministero degli esteri dicendo che «nessun paese dovrebbe incoraggiare o sostenere le forse separatiste interne di altri paesi per i propri egoistici interessi» e rivolgendo alle autorità del Somaliland l’esortazione a mettere fine alle «attività separatiste e alla collusione con forze esterne».
Un gruppo di 21 paesi, per lo più a maggioranza islamica, ha rilasciato una dichiarazione congiunta di condanna del riconoscimento del Somaliland definendolo «una violazione dell’integrità territoriale della Somalia». La dichiarazione è stata condivisa dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica che, con i suoi 57 membri, è la seconda più grande organizzazione internazionale dopo l’Onu. Tra i paesi sottoscrittori figurano Egitto, Turchia, Iran, Giordania e Arabia Saudita. Non hanno aderito all’iniziativa, tra gli altri, il Marocco, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein.
A congratularsi apertamente con Israele e il Somaliland è stato Taiwan che da tempo è in stretti rapporti con il paese africano. Con un comunicato il ministero degli esteri di Taiwan ha detto che Israele, Somaliland e Taiwan «sono tutti partner democratici che condividono i valori della democrazia, della libertà e dello stato di diritto».
L’insistenza sulla integrità territoriale da salvaguardare in effetti stride con la realtà del paese, la Somalia, che tutto il mondo sembra deciso a tutelare. Il Somaliland scelse l’indipendenza nel 1991 quando il dittatore Siad Barre era appena stato costretto all’esilio dai principali clan che, alleatisi, dal 1987 avevano combattuto contro di lui. Subito dopo la vittoria sul dittatore era però incominciata la guerra tra clan che ha lasciato il paese senza un governo fino al 2004, ha portato alla nascita del gruppo jihadista al Shabaab e di fatto ne ha determinato la frantumazione. Dopo il Somaliland, nel 1998 si era costituito come entità autonoma anche il Puntland che però nel 2012 è entrato a far parte della Repubblica federale somala, costituita quell’anno, che comprende sei stati federati, sette includendo il Somaliland.
In realtà vaste estensioni di territorio somalo sono controllate saldamente da al Shabaab, altre ne subiscono l’influenza e la stessa capitale Mogadiscio è costantemente sotto la minaccia di attentati. Dal 2004, quando si è formato il primo governo cosiddetto di transizione grazie a un accordo tra i maggiori clan raggiunto centellinando cariche ministeriali e parlamentari, il paese non è mai andato alle urne: non può, con tanta parte del suo territorio fuori controllo e senza un censimento della popolazione. Le ultime elezioni risalgono addirittura al 1969, poco prima che Siad Barre prendesse il potere con un colpo di stato. Persino la costituzione, adottata nel 2013 con un ritardo di due anni dall’Assemblea costituente, benché salutata come una “conquista storica”, è stata stilata copiando, sulla base di un canovaccio fornito dall’Onu e avrebbe dovuto essere votata da un referendum popolare che non ha mai avuto luogo. Il 25 dicembre per la prima volta si sono aperti i seggi ma solo per eleggere i consiglieri della capitale, resa relativamente sicura da misure di sicurezza eccezionali. Dovrebbe essere il primo passo per il ripristino del suffragio universale, il prossimo anno, ma nessuno al momento ci crede davvero.
La Somalia è a tutti gli effetti uno Stato fallito. Non soltanto il governo somalo non controlla gran parte del proprio territorio. Esiste e può risiedere nella capitale perché difeso da forze internazionali, senza le quali Mogadiscio sarebbe ancora in mano ad al Shabaab, e perché lautamente assistito con miliardari di dollari elargiti a titolo di dono: e dire che anni fa un rapporto redatto dal Gruppo di monitoraggio sulla Somalia delle Nazioni Unite aveva rivelato che il 70% del denaro affidato al governo di Mogadiscio negli ultimi anni non era mai arrivato nelle casse dello stato: «nulla viene fatto dalle istituzioni somale – si leggeva nel rapporto – senza che qualcuno pronunci la frase "che cosa ci guadagno io?"».
Per contro, il Somaliland nel frattempo si è dato istituzioni democratiche, una costituzione, strutture statali funzionanti ed è andato al voto più di una volta. È un piccolo paese, solo circa sei milioni di abitanti, con discrete risorse naturali, incluso il petrolio. Ma soprattutto è in una posizione strategica perché si affaccia sul Golfo di Aden, al di la del quale si trova lo Yemen, il paese dal quale i terroristi islamici Houthi dal 7 ottobre 2023 hanno lanciato su Israele migliaia di missili. Poco più a nord, a Gibuti, gli Stati Uniti hanno la loro base militare. La Russia mira a stabilirne una ancora più a nord, nel Mar Rosso, a Port Sudan.
Anche l’Etiopia, che non ha accesso al mare, lo scorso anno ha trattato con il Somaliland la creazione di un porto sulle sue coste, provocando la reazione risentita del governo somalo. Per un momento si è temuto lo scoppio di una guerra tra i due paesi. «La Somalia appartiene ai somali – aveva giurato il presidente Hassan Sheikh Mohamud – proteggeremo ogni centimetro della nostra sacra terra». Il riconoscimento del Somaliland da parte di Israele – ha dichiarato Mohamud il 28 dicembre, parlando al parlamento riunito in sessione d’emergenza – è «un deliberato attacco alla nostra sovranità ed è una minaccia alla sicurezza e alla stabilità del mondo».

