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RIAD

Trump nel Golfo, un pragmatismo che può diventare controproducente

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Il viaggio di Trump nei paesi del Golfo preceduto da polemiche. Riconoscerà la Palestina? Accetterà in regalo il nuovo aereo presidenziale dal Qatar? Trump pensa solo agli affari, ma ogni azione ha conseguenze politiche.

Esteri 15_05_2025
Trump e il principe saudita Mohammed Bin Salman (La Presse)

Il viaggio nel Golfo di Donald Trump è stato preceduto da furiose polemiche e caos mediatico, come sempre tutto quel che riguarda il presidente repubblicano. Un po’ è voluto da lui stesso, come strategia pre-negoziale. Un po’ è montato dall’opposizione, politica e mediatica. Fatto sta che, ancor prima di metter piede sull’ormai vecchio aereo presidenziale Air Force One per recarsi a Riad, prima tappa del viaggio di Stato, si diceva che: Trump fosse pronto a riconoscere la Palestina, che fosse intenzionato a ricevere un nuovo Air Force One dal Qatar e che avesse ormai rotto con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La prima voce è stata smentita e, salvo sorprese, dovrebbe essere falsa. La seconda è invece stata confermata dal presidente stesso. La terza è una mezza verità, nel senso che solo il tempo ci dirà se il rapporto fra Usa e Israele rimarrà solido o si gelerà come ai tempi di Biden e Obama.

Lo scopo del tour di Trump, in ogni caso, non riguarda Gaza o la questione mediorientale nel suo insieme. Riguarda, esclusivamente, la creazione di uno spazio economico integrato fra gli Usa e i paesi del Golfo, dunque Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Compito non facile, perché il Qatar e l’Arabia Saudita si contendono l’egemonia del mondo sunnita. Era stata proprio la prima amministrazione Trump, d’accordo con Riad, a isolare economicamente e diplomaticamente il Qatar, partner dell’Iran, sponsor principale dei Fratelli Musulmani e artefice di una politica di penetrazione culturale islamista in tutto il mondo, Europa e Usa compresi. Si era dunque venuta a creare una situazione delicata, con il Qatar che ospita la principale base militare statunitense nella regione, ma al tempo stesso era messo sotto embargo per volontà degli Usa. Il disgelo era arrivato solo nel corso degli anni, ma la tensione non si è mai risolta.

Assieme a Trump, in Arabia Saudita, sono arrivati anche grandi imprenditori statunitensi, fra cui Elon Musk e il fratello Kimbal Sam Altman, il padre di Open AI (quella di Chat Gpt), oltre agli amministratori delegati di Nvidia, Uber, Blackrock, Blackstone, il fior fiore dell’economia americana. Il successo si misurerà in base a quanti contratti firmati porteranno a casa. Per cominciare è stato siglato un accordo di forniture di armi all'Arabia Saudita da 142 miliardi di dollari.

Secondo Walter Russel Mead, analista politico internazionale, «Trump, nonostante l'handicap di volare su un Air Force One che ha giudicato inadatto, spera di mantenere lo slancio durante il suo viaggio in Medio Oriente. Non sarà una missione impossibile. Questo presidente è stato positivo per i paesi del Golfo. Ha congelato il movimento internazionale per il clima e la sua agenda contro i combustibili fossili. Un Dipartimento di Stato americano meno ideologico non darà tanto fastidio alle monarchie del Golfo in materia di diritti umani. L'amministrazione sembra aver abbandonato ogni pressione sull'Arabia Saudita affinché normalizzi le relazioni con Israele in cambio di legami economici e tecnologici più stretti con gli Stati Uniti».

Il cambio di passo è dimostrato anche dallo stesso discorso di Trump a Riad: «Le meraviglie scintillanti di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti 'costruttori di nazioni', 'neoconservatori' o 'organizzazioni non profit liberal'. Al contrario, la nascita di un Medio Oriente moderno è stata opera degli stessi abitanti della regione». In pratica Trump sta accettando il mondo arabo, tutt'altro che democratico, per come è oggi. 

Ma qui iniziano i problemi. Fino a che punto si può spingere il pragmatismo di Trump, senza distruggere leggi e alleanze? Il Qatar ha annunciato il suo regalo multimilionario: il nuovo aereo che fungerà da Air Force One. L’apparecchio, molto lussuoso, con 5 cucine, 11 bagni, 40 televisioni, 3 camere da letto, è un vero castello volante, una fantasia da Mille e una Notte realizzata. Ma oltre al gossip, che in questi giorni si sta ovviamente imbizzarrendo, è la politica che si sta interrogando sull’opportunità di accettare un regalo simile. Donald Trump ha confermato, il 12 maggio (alla vigilia della partenza) di volerlo. Già si doveva cambiare l’Air Force One, la Boeing ha un ritardo tale che il nuovo apparecchio era previsto per il 2029 (un anno dopo la fine del mandato di Trump), quindi perché rifiutare un aereo regalato (gratis per i contribuenti) dalla famiglia reale del Qatar?

Perché, secondo l’opposizione democratica, è incostituzionale. Secondo il senatore Adam Schiff, la legge suprema negli Usa vieta a chiunque ricopra una carica nel governo federale di accettare regali da un capo di Stato straniero, a meno che non venga approvato dal Congresso. Gli avvocati della Casa Bianca, tuttavia, ritengono che non ci siano gli estremi per parlare di un regalo personale. L’Air Force One, una volta ispezionato e riadattato alle esigenze del suo nuovo ruolo ( di fatto è un centro di comando e controllo volante), sarà gestito dal Pentagono, come parte delle forze aeree statunitensi; dopo la fine del mandato Trump passerà alla fondazione della sua Biblioteca presidenziale. Ma altre obiezioni vengono sollevate dalla maggioranza repubblicana. «Ci sono molte questioni che, a mio avviso, solleveranno interrogativi molto seri se e quando ciò accadrà», cioè se e quando il regalo dovesse essere accettato, secondo John Thune, capo della maggioranza repubblicana al Senato. Altri senatori esprimono dubbi sulla sicurezza: «Ho delle preoccupazioni ogni volta che si accetta un regalo da un Paese straniero, anche da quelli che consideriamo i nostri più stretti alleati, perché non si può sapere se quell'aereo potrebbe avere dei dispositivi di ascolto», ha detto il senatore Todd Young (Indiana).

Resta poi in sospeso il rapporto con Israele, soprattutto dopo che, all’esordio del suo viaggio a Riad, Trump ha annunciato la rimozione delle sanzioni alla Siria. E ha pienamente sdoganato il nuovo regime, retto da un jihadista, Ahmad al Sharaa, ex ricercato speciale dagli americani, proprio nel momento in cui le minoranze religiose vengono massacrate. Trump lo definisce «un nuovo governo che, si spera, riuscirà a stabilizzare il Paese e a mantenere la pace».