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LE INTERVISTE/ Pedro Andujar, Lyna Al Tabal

Siriani della diaspora chiedono giustizia alla Corte Penale Internazionale

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Fuggiti dalla persecuzione religiosa in patria, gli alawiti esuli chiedono giustizia. L'avvocato Pedro Andujar ha portato il caso all'Aia. Lyna al Tabal, esperta di diritto internazionale, denuncia nuove sparizioni nelle minoranze.

Libertà religiosa 28_05_2025
Alawiti esuli chiedono giustizia (foto di Elisa Gestri)

In seguito all'incontro a Riyhad tra il presidente americano Trump, il principe saudita Mohamed bin Salman e il presidente de facto della Siria e già leader di Hayat Tahrir al Sham Ahmed al Sharaa, il Dipartimento di Stato USA ha annunciato il 23 maggio la sospensione per 180 giorni del «Cesar Act» che impose nel 2020 nuove sanzioni economiche al regime dell'allora presidente siriano Bashar al Assad. Nel corso della stessa settimana l'Unione Europea ha annunciato la medesima decisione, fatta salva l'importazione di «armi e strumentazioni tecnologiche che potrebbero essere usate per la repressione interna».

In attesa di verificare se il nuovo regime siriano ricambierà il favore, attuando politiche di rispetto dei diritti umani secondo standard occidentali, sabato 24 maggio una delegazione di cittadini siriani che abitano in Europa si è riunita davanti alla Corte Penale Internazionale dell'Aja per protestare contro l'ondata di violenze in corso in Siria; pochi giorni prima l'avvocato Pedro Andujar del Foro di Lione ha depositato per conto loro presso l'ufficio del Procuratore della Cpi una denuncia formale contro Al Sharaa ai sensi degli articoli 6 e 7 dello Statuto di Roma, relativi rispettivamente ai crimini di genocidio e crimini contro l'umanità. Sotto una pioggia battente, la Nuova Bussola Quotidiana ha seguito  la dimostrazione raccogliendo istanze e opinioni di organizzatori e manifestanti.

Abbiamo chiesto innanzitutto all'avvocato Andujar come sia stato possibile denunciare Al Sharaa davanti alla Corte Penale Internazionale, dato che la Siria non è tra gli Stati firmatari dello Statuto di Roma del 2002, i cui principi regolano l'attività della Cpi:  «Molti degli autori delle violenze attualmente documentate in Siria non sono siriani: si tratta di membri di varie denominazioni jihadiste provenienti da Paesi quali Tunisia, Afghanistan, Georgia, Bangladesh Giordania, Macedonia, Tagikistan tra gli altri. Tutti i Paesi che ho citato sono firmatari dello Statuto di Roma, dunque i loro cittadini che si macchiano di crimini contro l'umanità sono perseguibili dalla Cpi. Al Sharaa, autoproclamatosi presidente della Siria, è responsabile di ciò che cittadini stranieri compiono sul territorio del suo Paese ed ha l'onere di perseguirli».

Pensa che il Procuratore accoglierà la vostra richiesta e deciderà di agire contro Al Sharaa?
«Me lo auguro, ma in ogni caso resterò accanto ai miei assistiti fino alla fine di questa battaglia. Credo inoltre che questa iniziativa possa avere un effetto di dissuasione, che possa scoraggiare ulteriori violenze».

Mentre i manifestanti cominciano ad esporre i loro cartelli, si fa avanti Lyna Al Tabal, specializzata in diritto internazionale e membro del Collettivo franco-alawita, l'associazione promotrice dell'iniziativa.

Approfittiamo per chiederle come giudica la sospensione delle sanzioni alla Siria, al di là dell'evidente interesse economico di USA e UE nella ricostruzione del Paese.
«Male, perché questa decisione non è stata accompagnata da parte siriana da garanzie serie di rispetto dei principi fondamentali del diritto, né in materia di giustizia, nè per quanto riguarda la protezione delle minoranze. I siriani alawiti, drusi, cristiani, curdi, tra gli altri, vivono oggi nella paura, privi di ogni garanzia giuridica. Lei capisce che questa situazione compromette ogni idea di riconciliazione nazionale, perché senza giustizia, senza verità, senza meccanismi di riparazione, nessuna pace può essere consolidata. La premessa per un cambiamento vero richiede che lo Stato siriano si assuma le proprie responsabilità e assicuri ai cittadini garanzie, anche giuridiche, rigorose. Al momento queste condizioni non ci sono e sembrano lontane dall'essere raggiunte».

Che aggiornamenti avete dalla Siria?
«La cronaca recente riporta una recrudescenza  di fatti estremamente gravi quali le uccisioni a base religiosa che ultimamente hanno interessato, dopo la costa, la regione di Homs; ci sono stati segnalati casi di traffico di organi e di sparizioni forzate, in particolare di donne alawite e cristiane, senza che sia mai stata aperta una singola inchiesta seria. Recentemente è stato ritrovato il corpo di una donna completamente privo degli organi vitali, segno di una violenza inaudita contro la popolazione. Questi fatti non possono passare sotto silenzio, devono essere riconosciuti come crimini contro l'umanità, con tutte le conseguenze giuridiche del caso. Ci siamo rivolti alla Corte Penale Internazionale perché cessino queste violenze e perché i colpevoli di esse siano affidati alla giustizia. E non si tratta di un atto simbolico: stiamo fornendo prove documentate e circostanziate dei crimini, in particolare delle atrocità sistematiche contro le comunità giudicate "eretiche" dalle miizie jihadiste alleate, o quantomeno tollerate, dal regime siriano».

Cosa intende per  «sparizioni forzate»?
«Si tratta di uno dei crimini più  occultati e allo stesso tempo devastanti compiuti delle milizie jihadiste in Siria. Giovani donne appartenenti a minoranze religiose sono strappate alle loro famiglie, spesso durante raid mirati, e portate nella provincia di Idlib dove vengono sposate a forza ai combattenti jihadisti, con il chiaro obiettivo di cancellare la loro identità culturale e religiosa. Non sono episodi isolati: è una ben nota strategia di dominazione. Secondo le nostre stime, incrociate con le testimonianze raccolte in loco, negli ultimi due mesi si sono verificate decine di episodi di questo tipo, ma la cifra totale è senz'altro più alta. Molte famiglie infatti non osano denunciare i rapimenti, sia per paura di rappresaglie che per vergogna.  Questo silenzio favorisce l'impunità degli autori dei crimini e impedisce  di misurare la reale portata del fenomeno. Siamo qui per chiedere la protezione immediata delle popolazioni vulnerabili e l'istituzione di corridoi umanitari specifici per queste donne, ad alto rischio di rapimento. È imperativo che le istituzioni internazionali riconoscano che il corpo delle donne siriane è utilizzato come un campo di battaglia, come strumento di cambiamento demografico, e che agiscano di conseguenza».

A questo punto prende la parola Farah (nome di fantasia), un'attivista con idee molto chiare : «Chi l'ha detto che in Siria c'è posto solo per i sunniti, la confessione religiosa degli uomini di HTS? La Siria è un Paese antico, dove le diverse confessioni e denominazioni religiose hanno sempre vissuto in pace: non c'è mai stato il dominio di una singola confessione  sull'altra. Adesso i jihadisti di HTS, spalleggiati dalla Turchia e dal Qatar, si arrogano il diritto di decidere quale religione è vera e quale falsa, chi può vivere e chi deve morire ; si prendono la libertà di commettere impunemente i peggiori crimini contro alawiti, drusi, cristiani e contro lo Stato siriano stesso. Incitano i sunniti contro le minoranze religiose e distribuiscono loro armi da usare contro i propri colleghi, amici, vicini di casa. Come può una religione chiedere la vita di civili indifesi, se tutte le religioni invocano il bene, l'amore, la tolleranza, la pace? Gli jihadisti sono disconosciuti persino dall'islam che affermano di praticare: come può la comunità internazionale pensare che possano guidare la Siria verso la convivenza pacifica e il rispetto dei diritti umani, impregnati come sono di ideologia islamica estremista? Chiediamo che i responsabili di questi inumani massacri siano destituiti e processati: il loro posto è in prigione, non alla guida della Siria».