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IL CASO NIGERIA

Se anche l'islam moderato mette a morte

Morire per aver offeso Maometto. Una volta era un fatto da prima pagina, ma adesso è tanto se i mass media, almeno in Italia, riportano la notizia. Perchè ormai lo sanno tutti che ci sono regioni infestate dall’intolleranza religiosa, in cui blasfemi e apostati sono messi a morte. A Kano, capitale dell’omonimo stato della Nigeria settentrionale, l’accusa di blasfemia si è abbattuta su nove persone, otto uomini e una donna. 

Libertà religiosa 29_06_2015
Le condanne dei tribunali islamici

Morire per aver offeso Maometto. Una volta era un fatto da prima pagina, ma adesso è tanto se i mass media, almeno in Italia, riportano la notizia: e non fa più neanche sensazione perchè ormai lo sanno tutti che ci sono regioni infestate dall’intolleranza religiosa, in cui blasfemi e apostati sono messi a morte. A Kano, capitale dell’omonimo stato della Nigeria settentrionale, l’accusa di blasfemia si è abbattuta su nove persone, otto uomini e una donna. Sembra che abbiano avuto l’ardire di affermare che Sheikh Ibrahim Niasse, uno dei maggiori leader della confraternita islamica Tijaniya, è stato più grande del Profeta Maometto. Tanto è bastato per decretarne la rovina. 

Gli Stati settentrionali della Nigeria sono terra di conquista degli estremisti islamici Boko Haram, autori di stragi, sequestri, attentati. Nei territori sotto il loro controllo la minima trasgressione alla shari’a, la legge coranica, viene severamente punita, così come in quelli governati dagli al Shabaab in Somalia e dallo Stato Islamico in Siria, Iraq, Libia e Tunisia. Ma l’altro giorno in Nigeria non è stato Boko Haram a condannare i nove musulmani blasfemi. La sentenza di morte è stata pronunciata dalla Corte Islamica di Kano, uno dei tribunali che amministrano la giustizia islamica come previsto dalla costituzione del Paese che autorizza a giudicare questioni civili secondo il diritto islamico e consuetudinario: senonchè dal 1999 i 12 Stati del nord a maggioranza musulmana hanno deciso di adottare la shari’a e i tribunali islamici da allora hanno esteso la loro giurisdizione alla materia penale senza che il governo centrale si opponesse.

L’offesa a Maometto risale al mese scorso. Le parole blasfeme sono state pronunciate mentre si stava svolgendo un raduno in onore di Sheikh Ibrahim Niasse. Nell’udirle i presenti scandalizzati si sono scatenati. La sede dell’incontro è stata incendiata e distrutta e a stento le forze dell’ordine sono riuscite a sottrarre al linciaggio i colpevoli arrestandoli, con la promessa di una giustizia rapida. Anche una sezione del tribunale in cui si svolgeva il procedimento a loro carico è stata poi incendiata da manifestanti infuriati e quindi le autorità hanno deciso di proseguire il processo in un luogo segreto e a porte chiuse per evitare ulteriori disordini. Il capo della polizia religiosa di Kano ha detto che i nove imputati si sono dichiarati tutti colpevoli. Non si sa se ricorreranno in appello. Si sa invece che molta gente a Kano ha festeggiato all’annuncio della sentenza capitale. Questa e tante altre notizie simili ci dicono qualcosa che molti di noi rifiutano di accettare nonostante l’evidenza. Sono stati dei buoni, devoti fedeli, non dei terroristi, a risentirsi per l’insulto a Maometto al punto di dar fuoco a un edificio e tentare di linciare i colpevoli; ed è stato un regolare tribunale a emettere la sentenza di morte. Questo vuol dire che quella degli estremisti islamici non è una religione snaturata. 

Lo Stato Islamico, Boko Haram, al Shabaab e tutti gli altri gruppi jihadisti citano e applicano il contenuto degli stessi testi su cui tutti i musulmani regolano la loro esistenza e aderiscono alla medesima professione di fede. Ayaan Hirsi Ali, l’intellettuale islamica di origine somala condannata a morte da una fatwa per aver scritto il testo di “Submission”, il cortometraggio del 2004 sulle violenze imposte alle donne musulmane in nome dell’Islam che è costato la vita all’autore, il regista olandese Theo van Gogh, divide i musulmani in tre categorie. Ci sono i musulmani che lei chiama della Mecca, che si ispirano al primo Maometto, quello che alla Mecca predicava e convertiva convincendo i politeisti ad abbandonare i loro idoli; e ci sono i musulmani di Medina, quelli cioè che prendono esempio dagli anni in cui, emigrati in quella città, Maometto e i suoi seguaci incominciarono a imporre l’Islam e a combattere e discriminare chi rifiutava di convertirsi. Sia i musulmani della Mecca sia quelli di Medina praticano la fede seguendone riti e prescrizioni: un po’ più alla lettera i secondi, ma sostanzialmente convinti gli uni e gli altri che la legge si deve fondare sul Corano e sugli Hadith, i racconti di ciò che Maometto ha fatto e ha detto nel corso della vita. A differenziare i musulmani di Medina non è la lettura dei testi sacri, ma la convinzione che un requisito della loro fede è il dovere di imporla a tutto il mondo, se necessario con la forza, con il jihad. 

La professione di fede include l’obbligo di riconoscere la perfezione sovrumana e l’infallibilità di Maometto e la sacralità del Corano, parola di Dio increata, scritta sui fogli e discesa sul Profeta. Questo spiega l’orrore e il disgusto nei confronti di chi, credente o infedele, offende Maometto e viola il Corano. Secondo Hirsi Ali, che si colloca nella terza categoria, la piccola schiera dei musulmani dissidenti, riformatori, impegnati nella reinterpretazione e nella trasformazione della professione di fede, una delle condizioni per traghettare l’Islam dal VII al XXI secolo è garantire che Maometto e il Corano siano aperti alla critica e all’interpretazione e che quindi il reato di blasfemia venga soppresso: senza di che può variare solo la misura della reazione contro la blasfemia, non il diritto e il dovere di combatterla e punirla.