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SPRECHI UMANITARI

Non esistono guerre "dimenticate", ma governi che rubano gli aiuti

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Nessuna guerra è dimenticata dall'Onu, dalle sue agenzie e dalle Ong. Tutte le popolazioni in guerra ricevono aiuti, ma il peggior ostacolo sono i governi belligeranti.

Esteri 06_05_2024
Clinica di Msf in Sudan (La Presse)

Ci sono guerre di cui i mass media parlano poco o quasi mai. Alcune di queste sono in corso da molto tempo: nell’est della Repubblica democratica del Congo, ad esempio, dove si combatte ininterrottamente da 30 anni, nella Repubblica Centrafricana, da 11, in Yemen, da dieci. A Papua Nuova Guinea un conflitto a bassa intensità, ma che ha già causato decine di migliaia di morti, è in atto addirittura dal 1969. Tra le guerre più recenti di cui i mass media si occupano raramente c’è quella nel Myanmar, scoppiata nel 2021 in seguito al golpe militare, quella dell’etnia Amhara in Etiopia, iniziata nel 2023, quella delle gang ad Haiti, a partire dal 2020.

Le chiamano “guerre dimenticate”. Ma non è esatto. Nella Repubblica democratica del Congo dal 1999 è operativa una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, la Monusco (Monuc, fino al 2010), forte di oltre 17mila caschi blu, e nella Repubblica Centrafricana dal 2014 è presente la Minusca che, con più di 18mila unità, è la più grande missione Onu. Negli ultimi 20 anni l’Onu ha realizzato 21 missioni di peacekeeping, 11 delle quali tuttora attive. Ad esse vanno aggiunti gli aiuti militari offerti da singoli paesi o unioni di Stati a governi minacciati da gruppi ribelli, bande armate, gruppi jihadisti.

Inoltre nessuna guerra è dimenticata se si tratta di alleviare i disagi e le sofferenze dei civili coinvolti. Le Nazioni Unite con le loro agenzie (Unhcr, Oms, Pam, Unicef…), l’Unione Europea, tanti governi e istituti privati e innumerevoli organizzazioni non governative finanziano e attuano interventi umanitari per assistere chi ne ha bisogno, decine di milioni di persone in tutto il mondo. I mass media ne parlano soprattutto per far sapere quanti fondi sono necessari per far fronte a una emergenza e per descriverne l’entità, per riportare le dichiarazioni di dirigenti delle Nazioni Unite e di portavoce di organizzazioni non governative che chiedono contributi. Dedicano invece assai meno spazio alle condizioni in cui poi gli aiuti vengono distribuiti, agli ostacoli e ai rischi che gli operatori umanitari devono affrontare per raggiungere i civili in difficoltà e svolgere la loro missione. Non dicono quasi mai, ad esempio, che il primo ostacolo da superare è convincere i governi dei paesi in cui si combatte a collaborare.

Una costante è il problema della sicurezza. L’incidente più recente risale al 3 maggio. Due autisti del Comitato Internazionale della Croce Rossa sono stati uccisi e tre dipendenti sono stati feriti da uomini armati in Sudan, mentre tornavano da un sopralluogo per verificare la situazione umanitaria di alcune comunità. Sono una ventina gli operatori umanitari che hanno perso la vita in Sudan da quando nell’aprile del 2023 è iniziata la guerra per il controllo del paese che vede come avversari due generali: Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate e della giunta militare al potere dal colpo di stato del 2021, che dispone dei 120mila militari dell’esercito nazionale, e Mohamed Hamdan Dagalo, fino all’anno scorso suo vice, che guida le Forze di supporto rapido, un organismo paramilitare che conta circa 100mila uomini. In Etiopia durante la guerra del Tigré (2020-2022, un feroce scontro tra il governo e l’etnia tigrina decisa a riprendere il potere perso dopo decenni di predominio) e in quella attuale tra governo ed etnia Amhara sono stati uccisi almeno 46 operatori umanitari e 18 nella Repubblica Centrafricana negli ultimi quattro anni.

Una seconda conseguenza del disinteresse, e peggio, dei governi è la quantità di aiuti che sono rubati, saccheggiati e che non arrivano a destinazione. Succede spesso che i convogli che li trasportano vengano fermati, anche più volte, e costretti a pagare dazio in denaro o cedendo parte del loro carico per poter proseguire. Come se non bastasse, anche se sono scortati, viaggiano sotto la minaccia permanente di essere intercettati, attaccati e saccheggiati dai combattenti dei diversi fronti. Infine spariscono anche parte degli aiuti consegnati ai funzionari locali incaricati di custodirli e distribuirli.

Tutto questo viene messo in conto, l’urgenza di salvare vite umane rende tollerabile la perdita di generi di prima necessità per milioni di dollari. Ma a volte la quantità di beni persi diventa eccessiva e allora le agenzie Onu umanitarie, i governi donatori e le organizzazioni non governative si vedono costretti a sospendere gli aiuti. «Il problema non sono soltanto i combattimenti – spiegava alla Bbc lo scorso anno Alyona Synenko, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Sudan – ma lo sciacallaggio, lo stato generale di illegalità che rende le cose estremamente complicate». A tre mesi dall’inizio della guerra risultavano rubati alle organizzazioni umanitarie già almeno 162 automezzi e 61 uffici e 57 depositi erano stati saccheggiati.

In Etiopia prima la guerra del Tigré e, dall’aprile del 2023, quella Amhara hanno provocato una gravissima crisi umanitaria. Milioni di persone dipendono dall’assistenza fornita dalla cooperazione internazionale. Ma per due mesi, giugno e luglio 2023, il World Food Programme dell’Onu e altri donatori hanno sospeso l’invio di aiuti alimentari perché erano troppi quelli rubati, che finivano sui mercati locali. Solo ad agosto l’Onu ha ripreso le spedizioni riservandosi di accertarne il buon uso. A settembre 2023, per lo stesso motivo – una quantità intollerabile di aiuti alimentari rubati e “male utilizzati” – la Commissione Europea ha annunciato di aver sospeso l’erogazione di ulteriori fondi per aiuti umanitari alla Somalia, paese in guerra dal 1987. La decisione è stata presa dopo che un’indagine Onu ha rivelato che proprietari terrieri, autorità locali, membri delle forze di sicurezza, operatori umanitari somali erano tutti coinvolti nel furto degli aiuti destinati alle persone bisognose.

C’è una notizia diffusa il 29 aprile che dà la misura dell’indifferenza per la sorte dei civili contro la quale spesso si scontra chi si offre di soccorrerli. Nel Sudan del Sud a seguito dello scontro iniziato nel 2013 tra i leader delle due etnie maggioritarie, i Dinka e i Nuer, è scoppiata una guerra che ha coinvolto anche altre etnie. Nonostante un accordo di pace firmato nel 2018, tensioni politiche e violenze etniche continuano e la situazione umanitaria non fa che peggiorare. Si calcola che ormai nove milioni di persone abbiano bisogno di assistenza, oltre sette milioni dei quali sono a rischio di carestia. Ma l’Onu ha dovuto sospendere momentaneamente la distribuzione degli aiuti in alcune zone perché sta esaurendo le sue scorte di carburante. All’origine del problema c’è la decisione presa a febbraio dal governo sud sudanese di imporre una serie di nuove tasse su tutti i beni importati. Aveva detto che gli aiuti umanitari sarebbero stati esentati e invece anche le forniture importate dalle agenzie Onu, dalle missioni diplomatiche e dalle Organizzazioni non governative sono soggette a pagare dazio. Non è valsa a ottenere un’esenzione neanche l’assicurazione che la benzina importata viene utilizzata solo a rifornire i mezzi usati per il trasporto degli aiuti e degli operatori umanitari.

La coordinatrice umanitaria Onu per il Sudan del Sud, Kiki Gbeho, sta chiedendo al governo la rimozione urgente delle tasse per evitare che le operazioni di soccorso si interrompano. Dalla sua il governo sud sudanese ha la certezza che, se anche non lo farà, gli aiuti in realtà continueranno. Le Nazioni Unite, i paesi donatori, le Ong a ogni costo mantengono fede all’impegno di salvare vite umane.