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Legge sui gay: Ghana nel mirino di lobby e Banca Mondiale

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Le sanzioni sulla condotta omosessuale e le associazioni LGBTQ+ restano congelate per via delle pressioni esterne e del timore di perdere aiuti economici, come già accaduto in Uganda.

Esteri 07_03_2024
UFFICIO IMAGOECONOMICA

Il 28 febbraio in Ghana il parlamento ha approvato una legge, in discussione dal 2021, che inasprisce le sanzioni per chi pratica rapporti omosessuali e promuove associazioni LGBTQ+. Prevede tra l’altro il carcere fino a 10 anni per chi partecipa a campagne a sostegno degli omosessuali rivolte ai bambini e fino a 5 anni per chi fonda gruppi e associazioni LGBTQ+. Tra le altre innovazioni rispetto alla normativa in vigore, c’è la richiesta ai cittadini di denunciare alle autorità le persone LGBTQ+. Dopo molte discussioni è stata confermata, contro chi chiedeva pene maggiori, la condanna fino a 3 anni di reclusione per chi intrattiene rapporti omosessuali e si identifica come LGBTQ+. Il vicepresidente del partito di governo, Alexander Afenyo-Markin, aveva proposto, in alternativa, la condanna a prestare servizio civile e a sottoporsi a terapie, ma il parlamento ha rifiutato.

Per diventare esecutiva la legge doveva essere firmata entro sette giorni dal presidente della Repubblica, Nana Akufo-Addo, che aveva sempre detto di essere pronto a sottoscriverla se questo è quel che la maggior parte dei cittadini ghaneani voleva. Invece non lo ha fatto. Più che la volontà del Paese hanno contato le pressioni esterne attivate dalle sempre più potenti lobby LGBTQ+.

La loro influenza si era già fatta sentire negli anni in cui la nuova normativa veniva discussa in parlamento. Molti Paesi occidentali hanno ripetutamente chiesto al governo ghaneano di soprassedere. L’Onu lo scorso anno ha incaricato 13 esperti di analizzare il testo della proposta di legge. Gli esperti lo hanno giudicato «un esempio di discriminazione da manuale» e «un invito allo scontro e alla violenza». Il mese scorso Amnesty International, che già in precedenza ne aveva condannato il contenuto e le intenzioni, ha dichiarato che la legge «pone serie minacce ai diritti e alle libertà fondamentali delle persone LGBTQ+». Il rischio, secondo gli attivisti, è che in Ghana si apra una caccia alle streghe contro gli omosessuali e contro chi lotta per i loro diritti e che molte persone saranno costrette a entrare in clandestinità.

Il governo ghaneano ha però sempre rivendicato il diritto del suo Paese di decidere senza accettare interferenze esterne. A suscitare la richiesta di pene più severe contro l’omosessualità era stata l’apertura nel gennaio del 2021 di un centro LGBTQ+, il primo nel Paese, nella capitale Accra, ben presto chiuso dalla polizia in seguito a proteste popolari e pressioni da parte delle istituzioni religiose e dei capi tradizionali. La legge è stata fortemente voluta dai due maggiori partiti politici e dalle autorità religiose cristiane e musulmane.  La Conferenza episcopale del Ghana l’ha definita «un passo nella giusta direzione».

Dopo che lo scorso dicembre il presidente del parlamento, Alban Bagbi, ne ha annunciato l’imminente varo, i vescovi ghaneani, pur ribadendo che la Chiesa riconosce i diritti umani degli omosessuali, hanno condannato senza riserve l’omosessualità: «dal momento che l’attività sessuale è intesa in funzione della procreazione e della perpetuazione del genere umano – si legge in un loro comunicato – ogni forma di attività sessuale diversa dal rapporto eterosessuale è contro natura». Richiamando il titolo dato alla legge, Promozione dei diritti sessuali umani corretti e dei valori della famiglia ghaneana, «lo Stato – conclude il testo – ha il diritto di criminalizzare gli atti omosessuali nell’interesse della nazione. Ci congratuliamo con i nostri legislatori per lo sforzo e il tempo spesi su questo disegno di legge. La nostra speranza è che, una volta convertito in legge, promuova davvero i diritti sessuali umani e gli autentici valori della famiglia ghaneana che sono minacciati dagli atti omosessuali. L’auspicio della Chiesa è che imponga misure punitive commisurate ai crimini commessi».

Invece quell’auspicato passo nella giusta direzione dovrà aspettare ancora molto. La sera del 5 marzo il presidente Akufo-Addo ha annunciato che non apporrà la sua firma finché la Corte suprema non avrà stabilito se il contenuto della legge è in linea con la costituzione del Ghana oppure no. È quanto poche ore prima il ministro delle finanze Ken Ofori-Atta gli aveva chiesto di fare, non per considerazioni morali e di giustizia, bensì per il timore di reazioni internazionali avverse alle quali il Paese non sarebbe in grado di far fronte perché sta attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi decenni e nel dicembre del 2022 ha dichiarato default. La preoccupazione è fondata e deriva dall’esempio dell’Uganda. Lo scorso agosto il governo ugandese ha adottato una nuova legge anti-gay che, per le pene e le restrizioni introdotte, è considerata la più severa al mondo. Sotto la pressione delle lobby LGBTQ+ la Banca Mondiale ha sospeso la concessione di prestiti al Paese motivando la decisione con il dovere di rispettare i propri valori fondanti che impongono di non escludere nessuno dall’accesso ai servizi e ai programmi di lotta contro la povertà.

Il ministro Ofori-Atta ritiene che il Ghana non possa correre un simile rischio. Ha calcolato che il Paese potrebbe perdere  aiuti per circa 850 milioni di dollari nel solo anno in corso e finanziamenti da parte della Banca Mondiale per 3,8 miliardi nei prossimi cinque-sei anni. La ripresa economica ne risulterebbe compromessa.

L’Uganda non si è piegato alle richieste internazionali. Il presidente ugandese Yoweri Musevani ha fieramente detto che il suo Paese saprà fare a meno dei finanziamenti dell’Onu e dei donatori occidentali. Il Ghana invece potrebbe scendere a patti. Il presidente Akufo-Addo sta cercando di rassicurare la comunità internazionale, i donatori più importanti, indispensabili. «Il disegno di legge – ha detto – ha sollevato in alcuni ambienti e tra alcuni amici del Ghana notevoli preoccupazioni che il Paese possa voltare le spalle al suo primato, finora invidiabile e di lunga data, di rispetto dei diritti umani e di fedeltà alla legge. Voglio assicurarvi che nessun passo indietro sarà contemplato o provocato».

Passerà del tempo prima che la Corte suprema si pronunci. Si ritiene che difficilmente lo farà prima delle elezioni generali in agenda il prossimo dicembre.



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