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RAPPORTO MO IBRAHIM

L'Africa è meno sicura. E la democrazia fa passi indietro

Il continente africano nel suo insieme è meno sicuro che nel 2012 e la democrazia fa passi indietro. A sostenerlo è il rapporto 2022 sulla governance in Africa appena presentato dalla Mo Ibrahim Foundation. In fondo alla classifica ci sono proprio Congo e Sud Sudan, assieme a Centrafrica, Somalia, Eritrea e Guinea Equatoriale. 

Esteri 02_02_2023
Congo, milizie armate a Goma

Il continente africano nel suo insieme è meno sicuro che nel 2012 e anche la democrazia ha fatto passi indietro rispetto a dieci anni fa. A sostenerlo è il rapporto 2022 sulla governance in Africa appena presentato dalla Mo Ibrahim Foundation in concomitanza con la pubblicazione dell’Indice Ibrahim di governance. La fondazione lo prova con analisi, dati e cifre e le conclusioni a cui arriva meritano tutta l’attenzione perché i  suoi rapporti periodici sulla situazione del continente africano sono tra i più esaurienti e affidabili. Per chi non lo sapesse, la fondazione  è stata creata nel 2006 da Mo Ibrahim, un miliardario sudanese che ne è il presidente, con l’obiettivo di contribuire a monitorare, valutare e promuovere governance e leadership in Africa.

Secondo la fondazione, il paese africano più sicuro e democratico attualmente è Mauritius, che tuttavia registra il punteggio più basso mai finora ottenuto. Seguono Seychelles, Tunisia, Capo Verde, Botswana e Sudafrica. Al fondo della classifica figurano Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Somalia, Eritrea e Sudan del sud. Il deterioramento di sicurezza, legalità, diritti umani, libertà democratiche, partecipazione e inclusione ha colpito più di 30 stati, sostengono i ricercatori della fondazione. “L’arretramento si è accentuato soprattutto a partire dal 2019 – ha spiegato Mo Ibrahim intervenendo alla conferenza stampa in occasione della presentazione del rapporto – È una situazione davvero molto preoccupante. La crescente insicurezza e il generale degrado delle istituzioni democratiche hanno infatti vanificato i progressi conseguiti in altri ambiti”. Ibrahim si riferisce ai progressi nel frattempo registrati nel settore delle infrastrutture e in termini di opportunità economiche e di sviluppo umano: quest’ultimo grazie al fatto che sono migliorati i servizi sanitari, soprattutto quelli destinati ai bambini e alle donne incinte, che qualche passo avanti è stato fatto nel controllo e nella prevenzione delle malattie e anche nel campo dell’istruzione, con un numero crescente di bambini che frequentano la scuola e che completano il ciclo degli studi.

Bande e gruppi armati minacciano la vita e le proprietà di decine di milioni di persone, spesso quasi del tutto incontrastati. Nella Repubblica democratica del Congo questa situazione ha creato circa quattro milioni di sfollati, in Burkina Faso se ne contano almeno due. Nel Sudan del sud gli sfollati sono due milioni e altrettanti sono i rifugiati. In Somalia ci sono tre milioni di sfollati e i rifugiati sono quasi 850mila. 

 “Il deterioramento della situazione della sicurezza dimostra che le risposte governative non funzionano” ha spiegato prendendo la parola durante la conferenza stampa Alex Vines, direttore del Programma Africa della Chatham House, un centro studi inglese – anche per questo la Francia ha ritirato parte delle sue truppe dall’Africa occidentale. Adesso molti nel continente guardano ai mercenari russi del gruppo Wagner come la soluzione, cosa sulla quale non concordo”. La Francia ha ritirato parte dei propri militari, in Mali ad esempio, sostenendo che è impossibile combattere il jihad che ormai opera in tanti Stati africani se i governi non si impegnano a rimuovere le cause che ne favoriscono la diffusione. Ma lo ha fatto anche sotto la pressione dell’opinione pubblica, in alcuni paesi – Niger, Ciad, Burkina Faso, e lo stesso Mali – rabbiosamente convinta che se i gruppi jihadisti non sono stati sconfitti è colpa, non dei rispettivi governi, ma dei paesi europei che non hanno fatto abbastanza. Con la stessa logica, nella Repubblica democratica del Congo la popolazione chiede da tempo, in questo caso non a torto vista la scarsa operatività dei caschi blu, il ritiro della missione di peacekeeping Onu Monusco. È possibile che l’Africa debba contare di più sulle proprie forze nel prossimo futuro, e non è una prospettiva incoraggiante.  

Il rapporto della Fondazione Mo Ibrahim indica la pandemia di Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina, due fattori esterni, come corresponsabili del peggioramento della situazione del continente. Tuttavia pone l’accento soprattutto su quelli interni evidenziando, ad esempio, che tra i paesi ultimi nell’Indice di governance figurano quelli governati da più di 20 anni dagli stessi leader. Il record mondiale, non solo africano, di permanenza al potere attualmente è detenuto dal presidente della Guinea Equatoriale (51° nell’Indice, su 54 stati), in carica dal 1979, rieletto lo scorso dicembre con il 95% dei voti.

Tra i fattori interni che ostacolano lo sviluppo del continente e quindi causano insicurezza e deficit di democrazia il rapporto cita giustamente il problema energetico. Quasi metà degli africani, circa 600 milioni, non hanno accesso a fonti sicure di energia. È un dato sorprendente in un continente che dispone di risorse energetiche immense: petrolio, gas naturale, ma anche l’energia che si ricava da corsi d’acqua e laghi, dal sole e dal vento. Il rapporto cita il caso esemplare del Sudafrica, paese emergente, alla prese con una crisi energetica gravissima, con sempre più frequenti blackouts anche di 12 ore, al punto che il presidente Cyril Ramaphosa ha rinunciato a recarsi al World Economic Forum di Davos dovendo presenziare agli incontri in corso per trovare una soluzione. Ma ancora più grave è la situazione della Nigeria, prima economia e primo produttore di petrolio del continente, dove 85 milioni di persone, il 43% della popolazione non ha accesso all’energia elettrica, un record mondiale. La Nigeria è anche uno dei paesi africani più violenti, dove nessuno è più al sicuro e dove, così come in altri stati africani, proliferano i gruppi armati di autodifesa.