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ipocrisia

Enti pubblici: solo la sinistra può fare lo spoil system

Il governo provvede a sostituire i funzionari, mettendo negli ingranaggi statali i propri uomini al posto dei precedenti, comunque in scadenza. Come da consuetudine e come ha sempre fatto la sinistra, che si straccia le vesti gridando allo scandalo.

Politica 06_01_2023

I governi vengono giudicati dall’operato di chi ci mette la faccia, vale a dire il premier e i ministri, ma gran parte delle fortune degli esecutivi dipendono da chi non appare. Non ci sono solo i cosiddetti “poteri forti”, che influenzano, condizionano, a volte impongono decisioni. Anche la componente amministrativa e non elettiva della macchina dello Stato e i famosi “boiardi di Stato”, che operano dietro le quinte, sono in grado di frenare o accelerare l’iter di atti e provvedimenti, quindi di determinare la riuscita o l’insuccesso delle politiche pubbliche.

Ecco perché diventa fondamentale che si creino sintonia e reciproca fiducia tra i rappresentanti del popolo e questi dipendenti dello Stato, altrimenti il rischio è che chi gestisce nel concreto gli uffici remi contro chi è stato votato dai cittadini. È accaduto spesso e a farne le spese è stato il seguito popolare delle forze che sostenevano alcuni governi e che è rapidamente sceso proprio a causa di queste frizioni tra componente politica e componente amministrativa. Il tema torna ciclicamente d’attualità ogni volta che cambia la maggioranza, perché chiunque vinca le elezioni e vada al governo sceglie prima o poi di sostituire alcune figure apicali di ministeri e istituzioni per circondarsi di persone allineate dal punto di vista politico, ideologico e culturale.

Da questo punto di vista c’è una scadenza. Gli incarichi di funzione dirigenziale, come i vertici dei ministeri o delle agenzie, cessano decorsi 90 giorni dal voto di fiducia del governo. Nel caso del governo Meloni, il termine scade il 24 gennaio. La possibilità di un nuovo esecutivo di nominare persone di fiducia nei posti di vertici dell’Amministrazione pubblica non è dunque un capriccio o un abuso di chi vince le elezioni, bensì una previsione normativa, in questo caso la legge Bassanini, varata alla fine degli anni novanta e poi rivista con la legge Frattini del 2002. Ecco perché nessuno dovrebbe scandalizzarsi se gradualmente il governo Meloni, esattamente come hanno fatto tutti i governi che l’hanno preceduto, sta pensando di rinnovare i vertici di alcuni enti pubblici. Il premier, infatti, sa bene che, se un burocrate di peso ritarda la firma di un atto o la sua preparazione, a farne le spese è la credibilità del ministero, non del singolo funzionario inadempiente.

La sinistra, quindi, non dovrebbe sfruttare in maniera propagandistica questa decisione dell’attuale esecutivo di utilizzare la possibilità di fare lo spoils system per svecchiare alcuni uffici. E invece lo sta facendo, mostrando uno scarso senso dello Stato. Anche perché proprio di recente, prima dello scioglimento delle Camere, alcuni ministri del governo Draghi, tra cui quello alla salute, Roberto Speranza, hanno provveduto a nominare dirigenti di fiducia senza neppure sapere se sarebbero tornati in quel posto, o forse proprio perché temevano di non potervi ritornare.

Alcune mosse il governo Meloni le ha già fatte, scatenando veementi reazioni da parte delle opposizioni. Come commissario per la gestione della ricostruzione post terremoto nel centro Italia del 2016-17 è stato nominato il senatore di Fratelli d’Italia, Guido Castelli, al posto di Giovanni Legnini, già parlamentare Pd e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm), scaduto alla fine del 2022. Dunque bisognava comunque rinnovare Legnini, che però per quell’incarico percepiva un compenso di 100.000 euro all’anno, oppure nominare un suo sostituto. La scelta è caduta su un fedelissimo di Giorgia Meloni, che peraltro come ex sindaco di Ascoli Piceno conosce a fondo le Marche. Inoltre Castelli non percepirà alcuno stipendio per lo svolgimento di quell’incarico, essendo già parlamentare. Un bel risparmio, quindi, peri i cittadini.

Altra sostituzione in arrivo riguarda il direttore dell’Agenzia del farmaco, AIFA, Nicola Magrini, che ha ricevuto il benservito dal ministro della Salute Schillaci. Non c’è da meravigliarsi, visti gli atteggiamenti discutibili che Magrini ha tenuto durante la pandemia. Più o meno tutti i ministeri stanno procedendo a radicali riorganizzazioni di competenze e uffici. Ma la partita più ghiotta delle nomine governative riguarda il ruolo di direttore generale del Tesoro, attualmente ricoperto da Alessandro Rivera, in sella dal 2018, che però avrebbe le ore contate e potrebbe essere sostituito da Antonino Turicchi, dal 2016 direttore generale per Finanza e privatizzazioni del Ministero dell’Economia.
Altro ruolo chiave è quello di Ragioniere generale dello Stato, ora rivestito da Biagio Mazzotta. Alla guida della struttura che sorveglia sulla finanza pubblica potrebbe arrivare un altro tecnico di centrodestra.

C’è poi il capitolo dei vertici delle agenzie, come quella delle Dogane e dei monopoli, quella del Demanio, quella delle Entrate. C’è grande attesa anche per i rinnovi dei vertici dell’Inps e delle grandi partecipate come Enav, Enel, Eni, Leonardo, Poste e Terna. Da tempo Palazzo Chigi ha messo sotto osservazione anche Cassa depositi e prestiti e Rai, da sempre legata a doppio filo con la politica e dunque particolarmente esposta a iniziative governative di rinnovamento degli assetti di potere.

Queste pratiche non hanno colore politico e fanno parte della consolidata e collaudata gestione del potere nel nostro Paese. Ecco perché l’ipocrisia della sinistra, che grida allo scandalo e parla di “Meloni pigliatutto”, appare stucchevole e si giustifica soltanto col fatto che alcune figure tradizionalmente vicine al Pd sono riuscite storicamente a rimanere in sella nell’amministrazione dello Stato anche quando la sinistra perdeva le elezioni. Questa volta è assai probabile che non succederà.