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CASSAZIONE

Decreto sicurezza, la vera opposizione è quella delle toghe

La Corte di Cassazione passa al setaccio il Decreto Sicurezza del governo Meloni e nella relazione che produce lo mina alla radice, bollandolo come "viziato" sotto il profilo costituzionale e giuridico. Ma non è questo il ruolo della Cassazione. 

Politica 01_07_2025
Corte di Cassazione

L’ennesima invasione di campo da parte della magistratura si consuma sotto le insegne dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, che con una relazione di 129 pagine ha passato al setaccio il decreto Sicurezza del governo Meloni, bollando il testo come viziato sotto il profilo costituzionale e giuridico.

Un documento che ha fatto riesplodere lo scontro istituzionale tra poteri dello Stato e ha provocato una durissima reazione da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, dell’intera maggioranza e di numerosi osservatori, che denunciano un grave sconfinamento da parte della magistratura in un ambito che non le compete: la valutazione dell’opportunità politica e della strategia legislativa di un governo espressione di una maggioranza democraticamente eletta. Se da un lato è legittimo interrogarsi sulla correttezza dell’abuso dei decreti legge, in assenza di evidenti elementi di necessità e urgenza, dall’altro la sostanza del giudizio espresso dalla Cassazione appare come un vero e proprio atto di sfida al potere esecutivo e legislativo, accompagnato dall’insinuazione che lo Stato non abbia il diritto di intervenire con fermezza contro fenomeni come l’occupazione abusiva, i blocchi stradali, o la criminalità diffusa nelle aree sensibili come stazioni e metropolitane.

Un messaggio pericoloso, se non eversivo, quello che arriva dai vertici della giurisdizione, che rischia di essere letto dai clandestini e dai criminali come un invito a perseverare nell’illegalità, tanto in Italia la giustizia non solo non punisce, ma ostacola anche chi cerca di ripristinare ordine e legalità.

Il governo non ha fatto mistero della propria indignazione: Nordio si è detto “incredulo”, ha disposto che il proprio Gabinetto acquisisca la relazione per verificarne le modalità di diffusione, lasciando intendere che l’iniziativa della Cassazione non solo è irrituale, ma potenzialmente è anche inopportuna sotto il profilo procedurale. Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, ha parlato senza mezzi termini di “provocazione politica” e “invasione di campo”, osservando che mentre il Parlamento lavora a una riforma della giustizia, i giudici sembrano più preoccupati di interferire con l’azione del governo che di contribuire alla sicurezza degli italiani. Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) ha rincarato la dose, ricordando che l’Ufficio del Massimario non ha alcuna autorità giuridica nel dichiarare l’illegittimità di una legge approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica. Dall’altro lato del fronte, come prevedibile, il campo largo dell’opposizione si è immediatamente ricompattato attorno alle toghe, leggendo nel parere della Cassazione una bocciatura netta della linea dura del governo in tema di ordine pubblico e immigrazione. Angelo Bonelli (AVS) ha parlato di “strumentalizzazione penale per fini propagandistici”, Simona Bonafè (PD) ha definito la relazione una “sonora bocciatura”, mentre il capogruppo al Senato del Pd, Francesco Boccia ha invitato la maggioranza a fermarsi davanti a rilievi così gravi. Per il Movimento 5 Stelle si tratterebbe addirittura di un “atto d’accusa durissimo” contro un decreto che – sempre secondo le opposizioni – colpirebbe indiscriminatamente poveri, marginali, oppositori politici e persino detenute incinte.

In verità il decreto Sicurezza approvato a giugno mira a rafforzare la tutela delle forze dell’ordine, a prevenire e reprimere reati in aree a rischio, a sgomberare edifici occupati illegalmente, a punire atti di rivolta in carcere e a limitare l’uso strumentale della cittadinanza. Una scelta chiara, politica e legittima, assunta da un governo forte di un ampio consenso parlamentare. La Cassazione ha invece contestato il ricorso al decreto legge per ragioni che definisce “non sussistenti”, segnalando l’assenza di eventi straordinari tra l’approvazione del testo come disegno di legge alla Camera e la successiva trasformazione in decreto. Una valutazione che, secondo i giuristi più rigorosi, non spetta alla Corte di Cassazione, ma eventualmente alla Corte Costituzionale, se sollecitata da un ricorso formale. Non bastasse, la relazione definisce il decreto “disomogeneo” per l’eccessiva varietà di materie trattate, dalle sanzioni penali alla cannabis light, dalla sicurezza urbana alla gestione carceraria. Una critica che colpisce nel cuore l’impianto legislativo dell’esecutivo, ritenuto incoerente, affrettato e animato da finalità punitive e non rieducative.

A preoccupare la Cassazione sarebbero poi le nuove aggravanti previste per reati nelle aree attorno a stazioni ferroviarie e all’interno dei convogli, così come il reato di blocco stradale, che – si legge – potrebbe penalizzare forme di dissenso e sciopero. Si mette in discussione anche la detenzione delle madri con figli piccoli, il divieto della cannabis light e le misure che riguardano i Servizi segreti, accusati di poter abusare delle coperture per attività sotto copertura, persino in contesti eversivi. Ma è proprio su quest’ultimo aspetto che le critiche della magistratura sfiorano il paradosso: i magistrati si dicono preoccupati da un possibile “scudo penale” per agenti sotto copertura, ignorando che proprio in un contesto internazionale sempre più instabile la protezione degli 007 è necessaria per prevenire minacce gravi come terrorismo e criminalità organizzata.

La Cassazione si spinga a parlare di “violazioni della Costituzione” in un documento tecnico, il che non solo appare fuori luogo, ma finisce per minare l’equilibrio tra poteri, dando l’impressione che la magistratura voglia diventare un contropotere politico, anziché un organo terzo e imparziale.

Quando le toghe diventano protagoniste del dibattito politico, quando la magistratura assume il ruolo di organo censorio nei confronti del legislatore, quando si preferisce l’intervento “preventivo” sui testi di legge a un giudizio tecnico riservato ai casi concreti, allora si rischia seriamente di sovvertire le regole democratiche su cui si fonda la Repubblica. Il decreto Sicurezza, piaccia o meno, è frutto di un percorso parlamentare iniziato oltre un anno fa, discusso in commissione, approvato in prima lettura, convertito in legge dopo le modifiche richieste dal governo in tempi di crescente emergenza sociale e criminale.

Il messaggio trasmesso da questa vicenda è chiaro: la magistratura vuole contare di più, dire l’ultima parola anche sul merito politico dei provvedimenti. E così, mentre il governo cerca di rafforzare la sicurezza urbana, scoraggiare l’illegalità, tutelare agenti e cittadini, c’è chi nella toga trova la penna per scrivere l’ultima parola su ogni scelta politica. Un’anomalia che non può più essere ignorata.