Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ASIA

Cosa c'è dietro alla crisi fra Cina e Giappone per la difesa di Taiwan

La nuova premier giapponese Sanae Takaichi, dichiara che il giappone dovrebbe intervenire in caso di aggressione cinese a Taiwan. E Pechino reagisce con durezza, con prime sanzioni e proclami bellicosi. Storia di una crisi che nasce nel Novecento.

Esteri 21_11_2025
Pechino, notizie sulla premier giapponese (La Presse)

Giappone e Cina sono di nuovo ai ferri corti. Si tratta di una costante nelle relazioni internazionali dell’Asia, ma in questo caso ci sono elementi di novità che fanno apparire la crisi più grave rispetto alle “ordinarie” tensioni fra i due paesi estremo orientali. A scatenare l’escalation di botte e risposte diplomatiche ed economiche è stato un discorso della nuova premier giapponese Sanae Takaichi. La quale, il 7 novembre, di fronte alla Dieta (la Camera bassa giapponese) ha dichiarato che, in caso di invasione cinese di Taiwan, il Giappone dovrebbe intervenire in sua difesa.

Prima di tutto è bene capire che aria tira nello Stretto di Taiwan. Il 3 settembre scorso, in occasione della parata della vittoria (50mo della fine della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico), la Cina ha mostrato tutti i suoi nuovi muscoli tecnologici. La priorità dello sforzo bellico industriale cinese è nella marina e in particolare nelle unità adatte a compiere un attacco anfibio contro Taiwan. Nelle forze armate cinesi è in corso una purga massiccia di generali. Secondo gli osservatori, il 60% degli alti ufficiali delle forze armate comuniste non era presente al Quarto Plenum del Partito Comunista Cinese, a ottobre. La purga può significare tante cose, ma indubbiamente indica un cambiamento di dottrina militare in corso.

L’apparato propagandistico cinese si sta riorientando sulla guerra. Dopo la celebrazione del 3 settembre, sulla stampa comunista ufficiale appare sempre più spesso l’argomento che la guerra deve essere guerreggiata. Un argomento solo apparentemente lapalissiano, ma che indica un cambio drastico di atteggiamento: sinora erano state enfatizzate quelle interpretazioni della strategia cinese (a partire da Sun Tzu) che contemplano la vittoria senza la necessità di combattere una guerra. Ora quella postura viene considerata “ingenua”. Le televisioni stanno preparando il pubblico a una mentalità più bellicosa. In prima serata viene data la serie “L’onore silenzioso” sulle spie di Mao a Taiwan, uccise dai nazionalisti e dunque “martiri” della causa di riunificazione sotto il comunismo. Anche il teatro, tutto controllato dallo Stato, accetta opere solo se sono a tema bellico.

Né si tratta solo di propaganda. Dopo l’inaugurazione in servizio attivo della nuova portaerei Fujian, la più potente sinora a disposizione della Cina, riprendono le manovre pericolosamente vicine a Taiwan. Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha espresso preoccupazione per l'attività navale cinese in un incontro con il Ministro della Difesa cinese Dong Jun a fine ottobre. Ad agosto l’amministrazione Trump aveva congelato 400 milioni di dollari in aiuti militari a Taiwan, per favorire il negoziato (sul commercio) con Xi Jinping. Ma a inizio novembre, l’amministrazione repubblicana ha dovuto cambiare rotta, approvando la vendita di componenti aeronautiche a Taiwan per 330 milioni di dollari. Si tratta del primo pacchetto di aiuti militari dall’inizio del secondo mandato di Trump.

È in questa atmosfera di estrema aggressività cinese che la nuova premier conservatrice giapponese Sanae Takaichi ha parlato alla Dieta, affermando che un attacco cinese a Taiwan costituirebbe una “minaccia esistenziale” per il Giappone. Il lembo più meridionale delle isole nipponiche, infatti, si trova a meno di 200 km da Taiwan, un eventuale blocco navale cinese danneggerebbe direttamente anche il Giappone. Di qui l’affermazione che Tokyo dovrebbe intervenire, per “autodifesa”, anche in caso di attacco a Taiwan. Una rivoluzione vera, nella politica estera e di difesa nipponica, considerando che, dal 1945, nella Costituzione imposta dagli Alleati a un Giappone imperiale sconfitto, l’uso della forza militare è contemplato solo ed esclusivamente per autodifesa.

La prevedibile reazione cinese è partita immediatamente e con il massimo della violenza verbale possibile. Mentre l’ambasciatore giapponese a Pechino veniva convocato per spiegazioni, il portavoce del ministero della Difesa scriveva: «se il Giappone oserà correre il rischio usando la forza per interferire nella questione di Taiwan, subirà soltanto una sconfitta schiacciante contro l’Esercito popolare di liberazione, dalla volontà d’acciaio, e pagherà un caro prezzo». Il console generale cinese a Osaka, Xue Jian, ha pubblicato su X una minaccia: «La testa sporca che si intromette deve essere tagliata», intendo per “testa” quella della premier giapponese. Il post è stato poi cancellato, ma in un regime come quello cinese, nulla avviene per caso.

Dalle parole si è passati ai primi fatti. Venerdì 14 novembre da Pechino è arrivato un avviso ufficiale a evitare “per il prossimo futuro” qualsiasi viaggio in Giappone, i biglietti aerei già emessi sono stati cancellati, a centinaia. Il Ministero dell’Istruzione cinese ha emesso un comunicato ufficiale con cui mette in guardia i cittadini cinesi presenti in Giappone. «Gli studenti e i cittadini cinesi devono prestare la massima attenzione alla loro sicurezza personale in Giappone, pianificando con cautela gli spostamenti e monitorando l’evolversi della situazione locale». In risposta, il governo giapponese ha emesso un proprio avviso rivolto a cittadini e studenti residenti o in transito in Cina: monitorare costantemente le informazioni ufficiali e prendere precauzioni extra negli spostamenti.

La marina cinese si dice pronta a intensificare le operazioni, inviando quattro navi della Guardia Costiera nelle isole Senkaku, che Pechino rivendica come proprie. I caccia giapponesi si sono precipitati a intercettare un drone militare cinese che sorvolava Yonaguni, l’isola più occidentale del Giappone.

Perché la Cina parla di “intromissione”, quando il Giappone dichiara la sua intenzione di difendere Taiwan da un’eventuale aggressione? Perché, sul piano ufficiale, Pechino considera l’isola, che di fatto è indipendente, come una propria provincia. Anche l’Italia, così come gli Usa e quasi tutti gli Stati del mondo non riconoscono Taiwan come uno Stato indipendente, seguendo la politica della “una sola Cina” con capitale Pechino. Taiwan è uno Stato di fatto, non di diritto, nato dalla ritirata sull’isola dei nazionalisti sconfitti da Mao, alla fine della guerra civile. Ma prima che nascesse il suo assetto attuale, fino al 1945 era un’isola colonizzata dal Giappone, a seguito della Prima guerra sino-giapponese del 1894-95, ancora sotto il nome portoghese di Formosa.

Dal 1894 al 1945 la Cina subì occupazioni giapponesi progressivamente più vaste e dure, oltre ad affrontare, per oltre un ventennio, una guerra civile interna fra nazionalisti e comunisti. Solo la vittoria degli Alleati, nella Seconda Guerra Mondiale, permise la liberazione della Cina dal Giappone. Un’occupazione che, negli otto anni della Seconda guerra sino-giapponese (1937-45) aveva causato almeno 5 milioni di vittime fra i cinesi, soprattutto civili, con crimini orrendi come il massacro di Nanchino, o l’uso sistematico di cavie umane da parte dei medici dell’Unità 731 giapponese. Crimini che Tokyo non ha ancora riconosciuto, né di cui mostra troppo pentimento. Le parole della Takaichi urtano la sensibilità storica dei cinesi e risvegliano un vecchio terrore. Ma il mondo è cambiato, il Giappone ha accettato la sua sconfitta 80 anni fa, non ha più intenzione di diventare un impero asiatico. Ed è il rifiuto, tutto ideologico, da parte di Pechino, di impedire a Taiwan di seguire la sua strada democratica, che sta creando un mostro.