Comunione sulla mano e sulla lingua, una ricostruzione storica
In base alle fonti antiche, più che sulle mani si dovrebbe parlare di Comunione sul palmo. Le modalità non erano come quelle attuali, perché i Padri si preoccupavano della riverenza all’Eucaristia. E questa cura ha portato, come logico sviluppo, alla Comunione direttamente sulla lingua.

La problematicità giuridica dell’opposizione di monsignor Bruno Forte alla Comunione sulla lingua (vedi qui) è un aspetto importante del problema. Ma non l’unico. Nella sua affermazione relativa a quella che sarebbe stata la prassi costante della Chiesa antica relativamente alla distribuzione dell’Eucaristia ai fedeli, il vescovo di Chieti-Vasto porta alla luce un’incomprensione di fondo delle fonti antiche. Sua Eccellenza, rivolgendosi ai fedeli della sua diocesi, si è così espresso: «Per secoli sempre la Chiesa ha preso in mano la comunione». E ha aggiunto: «Solo in alcuni secoli oscuri, temendo la mancanza di igiene, si è sostituito questo gesto con quello del prenderla in bocca».
Con questa esternazione, mons. Forte non ha fatto altro che ribadire un ormai reiterato e martellante luogo comune, che ha deformato anno dopo anno l’immaginario dei cattolici, convinti di osservare una veneranda tradizione liturgica rimossa in non meglio precisati anni “oscuri”. Diventa necessario, allora, tornare periodicamente a sgombrare il campo da questi luoghi comuni per fare verità e identificare la distorta forma mentis di chi sostiene a spada tratta l’uso della Comunione sulla mano come attualmente in uso nella Chiesa cattolica.
Incominciamo proprio da quest’ultimo inciso: “come attualmente in uso nella Chiesa cattolica”. Forse sorprenderà molti sapere che la forma attuale di distribuzione dell’Eucaristia sulla mano non ha precedenti nella bimillenaria tradizione liturgica della Chiesa. E che invece alcuni dettagli e raccomandazioni che emergono dalle testimonianze più antiche risultano essere maggiormente in sintonia con la prassi universale della Comunione sulla lingua, più che con quella sulla mano.
Non si vuole negare che le testimonianze antiche, particolarmente quelle fino al IV secolo, indichino che la modalità di distribuzione dell’Eucaristia passava dalle mani dei fedeli, ma è singolare che questi testi si concentrino soprattutto sull’attenzione a non disperdere frammenti e sulla riverenza dovuta all’Eucaristia quando ci si comunica. Si pensi alla pressante premura con cui Tertulliano esorta alla massima cautela nel fare la Comunione: «Noi siamo angosciati che nulla, né del calice né del pane, cada a terra» (La corona del soldato, III).
Non è secondario precisare che la modalità approssimativamente descritta dagli autori delle Chiese d’Africa, come appunto Tertulliano, ma anche san Cipriano di Cartagine, in realtà non sembra essere rappresentativa di un vero e proprio rito, dal momento che ci troviamo in un contesto di persecuzione, durante il quale facilmente si sarebbero autorizzate concessioni straordinarie per permettere ai fedeli di portare nelle proprie dimore la Santa Eucaristia e potersi così comunicare.
Ad ogni modo, alla preoccupazione di Tertulliano fa eco quella di Origene: «Voi, che avete la consuetudine di assistere ai sacri misteri, quando ricevete il Corpo del Signore, prestate attenzione ad osservare con ogni cura e venerazione possibile che nessun frammento cada a terra e che nulla del dono consacrato vada perduto» (Omelie sull’Esodo, XIII). San Girolamo (cf. Commento ai Salmi, Salmo 147, 14) sembra parafrasare Origene. Anche la testimonianza di san Cirillo di Gerusalemme, la più citata a favore della Comunione sulla mano, è un lungo richiamo alla riverenza, all’attenzione «a non perdere nulla di esso [corpo santo]», perché «se tu ne perdi, è come se tu fossi amputato di un tuo membro» (Catechesi mistagogiche, V, 21); il rito prevedeva anche la santificazione degli occhi, fissando lo sguardo sul Pane santo, e, dettaglio di grande importanza, la mano sinistra doveva fare da trono alla destra, dove veniva poggiata la Santa Comunione.
Perché è così rilevante la precisazione? Sappiamo che la prassi odierna è quella di porre la mano destra sotto la sinistra, in modo da poter poi prendere con le dita della destra l’Ostia consacrata e portarla alla bocca. Ma l’indicazione di san Cirillo, a cui i riformatori dicono di essersi ispirati, è esattamente l’opposto. Nella modalità riferita da san Cirillo, la destra non doveva essere lasciata libera per afferrare l’Eucaristia, perché il fedele si abbassava verso le mani, facendo così un profondo inchino, e assumeva il Pane eucaristico direttamente dal palmo della mano destra, come conferma anche Teodoro di Mopsuestia (cf. Omelie catechetiche, XVI, 27). Per questo, più che di Comunione sulle mani, si dovrebbe parlare di Comunione sul palmo della mano. La prassi nuova, invece, è pensata per lasciare libera la mano destra (essendo la maggioranza delle persone destrimane), le cui dita afferrano la Particola per portarla alla bocca.
Dev’essere altresì ricordato che, per buona parte del primo millennio cristiano, sia nella Chiesa latina che in quelle d’Oriente il pane utilizzato per l’Eucaristia era un pane lievitato. Sarà a partire dal IX secolo che, nelle chiese di Gallia, subentrerà l’uso della particola sottile, decisamente più sicura quanto alla possibile perdita di briciole e più adatta alla sua deposizione direttamente sulla lingua del fedele.
Josef A. Jungmann, analizzando le fonti antiche, ha altresì messo in luce che i fedeli, prima della preghiera liturgica, dovevano purificare le proprie mani, mediante un rito di abluzione, e concorda sull’insistente richiamo alla cura nell’assumere la santa Eucaristia da parte del fedele. È attestato anche, in alcune chiese delle Gallie, l’uso di un panno di lino, sembra soprattutto per la Comunione delle donne, di modo che l’Eucaristia non venisse a diretto contatto con le mani.
Un’attenta lettura di queste testimonianze dimostra, dunque, che la preoccupazione principale dei Padri non era minimamente quella di difendere ad oltranza la Comunione sul palmo, ma di richiamare con ogni cura a che si evitassero il più possibile le quasi inevitabili problematiche che si verificavano ricevendo il Pane eucaristico in quella modalità già diffusa in molte chiese, sebbene con dettagli diversi. I Padri avevano ben presente che briciole o frammenti di Pane consacrato potevano andare perduti e richiamavano perciò i fedeli sulla gravità di una tale eventualità. Ancora, avvertivano come pressante dovere l’esortare i fedeli ad atteggiamenti non solo di rispetto, ma anche di adorazione verso il Corpo sacramentale del Signore.
Sotto questo punto di vista, non c’è dubbio che l’uso successivo di porre l’Ostia santa direttamente sulla lingua del fedele sia stato il naturale e adeguato sviluppo per corrispondere alle preoccupazioni dei Padri. Al contrario, la proposta di introdurre la Comunione sulla mano, privata di tutti gli altri dettagli che caratterizzavano la Comunione sul palmo, costituisce non solo una brusca e non necessaria rottura di questa maturazione, ma anche l’introduzione di una modalità che ripresenta i rischi dell’uso antico, privato altresì di quegli elementi che servivano a favorire l’adorazione e il rispetto della santa Eucaristia e a ridurre il più possibile la perdita di frammenti. Insomma, il peggior rito possibile.
Negare la Comunione sulla lingua è un abuso giuridico
Il divieto di mons. Forte di dare l’Eucaristia sulla lingua non è giuridicamente vincolante perché è contrario alle leggi superiori della Chiesa, dalla Memoriale Domini alla Redemptionis Sacramentum. È perciò il vescovo di Chieti a porsi in disobbedienza. Consigli per i fedeli.
"Chieti" e non ti sarà dato: Forte nega la comunione in bocca
Nell'arcidiocesi abruzzese è obbligatorio ricevere l'Eucaristia sulle mani. L'arcivescovo si scaglia contro l'uso tradizionale e ammanta di obbedienza la pretesa di imporre la sua personale visione, forzando le norme e anche la lingua greca.