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MEDIO ORIENTE

Attacco di Israele agli Houthi, timori di una escalation

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Non solo gli Houthi, anche gli Hezbollah dal Libano sono sul piede di guerra dopo il raid israeliano di sabato in Yemen, in risposta all'attacco di un drone che aveva colpito il centro di Tel Aviv. E oggi Netanyahu vola da Biden. 

Esteri 22_07_2024

Un'azione rapida, improvvisa, ma prevedibile. Il via libera  è arrivato da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu lo scorso sabato mattina. Dopo poche ore, gli F16 si sono alzati dall'aeroporto della base militare di Tel Aviv, percorrendo i duemila chilometri che li separano da Hodeida, principale porto dello Yemen, adibito a scarsi scambi commerciali, ma in questi tempi utilizzato principalmente per il conferimento di viveri e medicinali più che mai indispensabili a tenere ancora in vita la popolazione dello Yemen.
Un'azione precisa, con la scopo principale di dare una risposta energica e dimostrativa alle provocazioni degli Houthi, dopo l'attacco di un drone, non intercettato dall'aviazione israeliana, per "un errore umano", che ha colpito il centro di Tel Aviv, uccidendo un uomo e ferendone dieci, a pochi metri dall'ambasciata americana.

«Il sangue dei cittadini israeliani ha un prezzo: e questo vale per il Libano, Gaza, lo Yemen e in ogni altro luogo», ha commentato il ministro della Difesa, Joav Gallant. L'obiettivo della risposta israeliana erano alcuni magazzini in cui gli Houthi ammassavano armi provenienti dall’Iran e un deposito di carburante che ha provocato un vastissimo incendio (nella foto LaPresse). «L’incendio che sta bruciando a Hodeida è visibile in tutto il Medio Oriente – ha detto Gallant – e il suo significato è chiaro. Gli Houthi stanno agendo contro di noi da mesi. Noi abbiamo risposto per la prima volta dopo l’uccisione di un cittadino israeliano». Il Ministero della Salute yemenita ha dichiarato che a seguito degli attacchi israeliani sono morte sei persone e ferite 80, molte delle quali con gravi ustioni.

Israele, questa volta, prima di fare alzare in volo i propri caccia, ha avvertito gli americani, ma non ha chiesto il sostegno militare né agli Stati Uniti, né all'Inghilterra o agli altri paesi, Italia compresa, che dall'inizio del conflitto tra Israele e Hamas, pattugliano quella striscia di mare per difendere il transito del commercio globale, sempre più minacciato dagli Houthi. A partire dallo scorso ottobre, infatti, gli Houthi hanno compiuto vari attacchi missilistici contro numerose navi cargo e commerciali di passaggio nel Mar Rosso, mettendo sotto scacco i traffici commerciali mondiali e costringendo le navi a circumnavigare l'Africa.

È la prima volta che lo Stato ebraico si scontra in modo diretto con le milizie sciite yemenite e non è da escludere che la situazione sul campo possa portare ad una vera e propria escalation in tutta la regione. Il Consiglio supremo degli Houthi minaccia di rispondere all'attacco di sabato. «Questa aggressione non passerà senza una risposta efficace contro il nemico», ha scritto in una dichiarazione. Sarà molto difficile, però, che un nuovo missile o drone possa "forare" la barriera dell’Iron Dome (Cupola di ferro) e il resto delle difese aeree dello Stato ebraico.

Ieri mattina, il portavoce militare degli Houthi, il generale Yahya Saree, ha dichiarato, durante un discorso televisivo, che il gruppo ha attaccato la città portuale israeliana di Eilat con una serie di missili balistici con un'operazione che «ha raggiunto con successo i suoi obiettivi». Dopo il suono delle sirene a Eilat, l'esercito israeliano ha confermato che un missile balistico terra-terra è stato lanciato dallo Yemen, ma ha affermato che il sistema di difesa missilistico a lungo raggio “Arrow-3” lo ha abbattuto. Ma ora c'è molta preoccupazione che una reazione violenta possa arrivare invece attraverso gli alleati iraniani e libanesi. «Riteniamo che questa azione del nemico sionista sia il segno di una nuova, pericolosa fase nello scontro che rischia di estendersi ormai a livello dell'intera regione», ha affermato il gruppo Hezbollah in una nota.

Nel frattempo, il primo ministro Netanyahu si appresta a fare il tanto agognato viaggio in America. La sua partenza, che in un primo momento era stata programmata per questa mattina, avrà luogo, invece, in serata. Domani, infatti, dovrebbe incontrare il presidente americano Joe Biden. Netanyahu potrebbe portare con sé anche una risposta al possibile accordo sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano ai miliziani di Hamas.
Lo scorso sabato, i loro familiari e migliaia di manifestanti antigovernativi si sono radunati in diverse città di Israele (Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e Cesarea) chiedendo al primo ministro Netanyahu di posticipare la partenza per gli Stati Uniti e firmare un accordo con Hamas per agevolare il ritorno a casa degli ostaggi. Da ieri sera, domenica, sono radunati anche davanti all'aeroporto Ben Gurion per protestare contro il Primo ministro.

Einav Zangauker, il cui figlio Matan, 24 anni, è ancora prigioniero a Gaza, ha dichiarato che c'è una persona che si frappone tra le famiglie dei prigionieri e gli ostaggi, «e questa persona è il primo ministro. Per Netanyahu è più importante salvaguardare il suo posto che salvare delle vite. C'è un accordo che è pronto per essere sottoscritto da ambedue le parti, da diverse settimane. Questa sera siamo ancora qui, dopo un'altra settimana sprecata, in cui Netanyahu ha messo sul tavolo nuove richieste, bloccando l'accordo», ha concluso Zangauker.

Il capo del governo israeliano parte per gli Stati Uniti, con un pesante parere della Corte di Giustizia Internazionale nei suoi confronti. La Corte ha infatti giudicato illegale la politica degli insediamenti dello Stato d’Israele in Cisgiordania e Gerusalemme Est, così come lo sfruttamento delle risorse naturali di quei territori. «Israele deve ritirare le sue forze da ogni parte dei Territori Occupati, compresa la Striscia di Gaza, richiamare i coloni dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, illegalmente annessa. Israele deve inoltre porre fine al controllo su ogni aspetto della vita dei palestinesi e cedere il controllo delle frontiere, delle risorse naturali, dello spazio aereo e delle acque territoriali dei Territori Occupati. Ciò significa porre fine al blocco illegale di Gaza e consentire ai palestinesi di muoversi liberamente tra Gaza e la Cisgiordania», si legge nella sentenza emessa dalla Corte.

 

 



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