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LA GIORNATA

Analfabetismo, l'8 settembre della scuola italiana

Considerazioni sulla Giornata internazionale sull'analfabetismo indetta dall’UNESCO che si è appena svolta l'8 settembre. Il declino del sistema educativo (scuola e università) nel corso degli ultimi decenni ha portato alla crescita esponenziale dell’analfabetismo “funzionale” o di “ritorno”, che in Italia raggiunge la percentuale più in alta in Europa (28%) tra i paesi dell’area OCSE. Le dimenticanze di Mattarella e della Azzolina sulle bambine figlie di immigrati magrebini che non terminano la scuola dell'obbligo. Il silenzio sul loro analfabetismo “funzionale” agli obiettivi politici e ideologici del fondamentalismo, che nella sottomissione della donna ha uno dei suoi pilastri principali.

Editoriali 10_09_2020

Questione analfabetismo. Il mondo sembra ricordarsene solo una volta l’anno in occasione della Giornata internazionale indetta dall’UNESCO che si è appena svolta l'8 settembre. E via con i fiumi di retorica sull’importanza dell’istruzione e sulla necessità di allargarne l’accesso a chi ancora non ce l’ha. Dal giorno dopo, però, come accade con l'8 marzo e la cosiddetta "festa" della donna, il diritto allo studio e a ricevere un’educazione adeguata finisce di essere una priorità, specie in paesi che si ritengono avanzati dal punto di vista sociale e culturale. L’Italia rientra ancora tra questi? A tal proposito, non si può certo ostentare sicurezza. Non più.

Nel mondo, sono circa 800 milioni gli individui che oggi si collocano al di sotto della soglia di alfabetizzazione. Basati principalmente in Asia e in Africa, non hanno acquisito un’abilità sufficiente per leggere e scrivere regolarmente. Una problematica che l’Italia si è lasciata dietro le spalle, a partire dal secondo dopo guerra. Tuttavia, il declino del sistema educativo (scuola e università) nel corso degli ultimi decenni ha portato alla crescita esponenziale dell’analfabetismo “funzionale” o di “ritorno”, che in Italia raggiunge la percentuale più in alta in Europa (28%) tra i paesi dell’area OCSE. A seguire c’è la Spagna (27%), ma a precedere l’Italia soltanto Turchia (46%), Cile (53%) e Indonesia (69%).

A rilanciare l’allarme è un recente studio del “The European House ‒ Ambrosetti”, che fa riferimento a dati OCSE del 2016 su una popolazione compresa tra i 16 e i 65 anni. Ma il tasso più aggiornato a disposizione sull’Italia è stato fornito all’inizio del 2019 dalla “Fondazione Feltrinelli”, che parla di un analfabetismo “funzionale” al 30 percento. Di che cosa si tratta?

In sostanza, una fetta considerevole di italiani presenta seri “problemi di corretta comprensione delle informazioni” (Ambrosetti), non avendo sviluppato un’attitudine e un’abilità sufficienti a capire a pieno il senso di ciò che legge per comunicare o agire appropriatamente. A ciò si deve aggiungere un cronico ritardo nell’utilizzo delle tecnologie digitali. L’insieme, inevitabilmente, va ad incidere sul livello cognitivo del singolo e della comunità.

Le “criticità strutturali” e le “lacune del sistema scolastico nazionale” individuate dal “The European House ‒ Ambrosetti” come causa dell’infelice “performance” italiana, riguardano il crollo degli investimenti pubblici nel settore dell’istruzione (Italia ultimo paese in Europa), lo scarso legame tra scuola e lavoro (con lo svuotamento del ruolo degli istituti di specializzazione professionale e il mancato insegnamento di materie trasversali e interdisciplinari), l’inadeguatezza della didattica e dell’aggiornamento dei docenti (specie in materia di nuovi mezzi di comunicazione digitali), nonché dei programmi d’insegnamento. 

In quest’ultimo caso, lo studio punta il dito sull’inadeguata offerta formativa su materie fondamentali per “la crescita professionale dei giovani” nel mondo di oggi, come geopolitica, economia, informatica ed educazione civica, ma dimentica di menzionare (forse per non mettere il dito nella piaga) un’adeguata conoscenza delle lingue straniere, a partire dall’inglese.   

L’emergenza divenuta ormai cronica legata alla pandemia, non ha fatto altro che aggravare ulteriormente la situazione, rendendo ancora più fosche le prospettive del sistema educativo nazionale. A delinearle è stato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, parlando in una nota di “divario di conoscenze e di opportunità che rischia di accentuarsi a causa della crisi che stiamo attraversando”. Il Presidente della Repubblica ha dato l’impressione di essere quasi rassegnato all’incremento dell’analfabetismo “funzionale” a cui il paese sembra essere inesorabilmente destinato. Siamo di fronte all’8 settembre della scuola e dell’università? 

Neppure un cenno invece è stato riservato dal Quirinale alle bambine e alle adolescenti figlie di immigrati, in particolare di origine maghrebina, il 60% delle quali non arrivava a terminare la scuola dell'obbligo già prima del Covid-19. La solita indifferenza che contrasta in maniera plateale con l’immigrazionismo e la retorica dell’integrazione che contraddistingue il discorso politicamente corretto di oggi. Nel loro caso, si tratta di un analfabetismo “funzionale” agli obiettivi politici e ideologi del fondamentalismo, che nella sottomissione della donna ha uno dei suoi pilastri principali. Una generazione “dimenticata”, di cui non si conosce con esattezza l’entità numerica e che la prospettiva di un nuovo lockdown renderà ancora più “invisibile” nel mezzo di un'età cruciale, passata la quale svaniranno anche le più residue speranze di autodeterminazione e libertà.

Indifferenza verso questa parte della popolazione continua a esserci anche da parte della Ministra Lucia Azzolina, ormai smarrita tra banchi, distanze e protocolli, dopo aver mostrato tutta la sua inadeguatezza nel gestire l’emergenza. Mentre il premier rosso-giallo, Giuseppe Conte, continua a dare i numeri (“distribuiremo 11 milioni di mascherine”) e a fare false promesse anche sulla scuola. L’ultima riguarda i prossimi investimenti che il governo si appresterebbe ad effettuare per evitare le “classi pollaio”, sapendo molto probabilmente che sarà il virus a far sì che non si verificheranno assembramenti nelle aule. 

La gravità della situazione chiama in causa anche i “compagni” di governo del premier Conte e della ministra Azzolina in quota PD-Leu. Il declino dell’istruzione nel paese del “Rinascimento” è cominciato infatti nel ’68 e ciò, oltre alla “Fondazione Feltrinelli”, dovrebbe far riflettere l’intera sinistra, da decenni deus ex machina nella “buona scuola” pubblica, sia nella definizione dei programmi di formazione, che delle tecniche d’insegnamento (dal 18 politico all’azzeramento delle bocciature, fino allo svuotamento dell’autorevolezza dei docenti, con tutto ciò che ne è conseguito). 

Con il nuovo anno scolastico alle porte, bisogna allora solo augurarsi che il Covid-19 sia clemente con l’Italia, affinché non spinga sempre più giù anche il sistema educativo nazionale. Nella speranza che questo riesca a restare in piedi facendo soprattutto leva sull’impegno e la collaborazione dei dirigenti, dei docenti e soprattutto delle famiglie.