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RUSSIA-UCRAINA

Zuppi a Mosca, timidi segnali di apertura

Il risultato più importante della missione del cardinale Matteo Zuppi a Mosca è il fatto di aver avuto luogo. Cosa niente affatto scontata solo pochi giorni fa.

Editoriali 30_06_2023
Il cardinale Zuppi con il patriarca Kirill

Il risultato più importante della missione del cardinale Matteo Zuppi a Mosca, svoltasi il 28 e 29 giugno, è probabilmente il fatto di aver avuto luogo. Cosa niente affatto scontata solo pochi giorni prima della partenza per la Russia. Né Kiev né Mosca vogliono al momento dei mediatori, men che meno vogliono la Santa Sede. E se il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accolto l’inviato del Papa, cardinale Zuppi, all’inizio di giugno è stato solo per spiegargli ancora una volta che l’unica cosa che si attende dalla Santa Sede è che si schieri al suo fianco senza se e senza ma. A Mosca invece il presidente Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergej Lavrov hanno semplicemente ignorato l’ospite venuto da Roma, lasciando al consigliere presidenziale Yuri Ushakov l’onere del colloquio diplomatico.

Più significativo l’incontro di Zuppi con Marija L'vova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini, che ha ricevuto insieme a Putin un mandato d’arresto da parte della Corte Penale Internazionale con l’accusa di essere la mente dietro la deportazione in Russia di circa 19mila bambini ucraini. Accusa peraltro che la Belova e il governo russo hanno sempre respinto.

Comunque è su questo fronte che la Santa Sede si aspetta un primo risultato concreto, come lasciava intendere il comunicato della Sala Stampa vaticana che annunciava il viaggio a Mosca: «Scopo principale dell'iniziativa è incoraggiare gesti di umanità, che possano contribuire a favorire una soluzione alla tragica situazione attuale e trovare vie per raggiungere una giusta pace». Aldilà della apparente cordialità dell’incontro, null’altro è emerso e neanche Ushakov ha fatto minimamente cenno all’argomento.
Né il caloroso incontro di Zuppi con il patriarca Kirill può essere considerato indicativo se non per confermare che, malgrado la guerra, il dialogo tra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede va avanti. Poco significativo anche il discorso di Kirill che ha parlato di «lavorare insieme per la pace e la giustizia».

Almeno per il momento le parole «giustizia» e «pace» hanno un significato molto diverso a seconda che siano pronunciate a Mosca, a Kiev o a Roma. Basti leggere la lunga intervista all’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, monsignor Sviatoslav Shevchuk, alla testata Glavkom pubblicata in lingua originale lo scorso 23 giugno e rilanciata in italiano proprio ieri: giustizia e pace coincidono con la totale adesione alla politica del presidente Zelensky e al suo piano consistente nella resa totale della Russia, e quindi dure critiche vengono espresse al modo in cui papa Francesco ha affrontato la crisi fin dall’inizio (prima ancora dell’invasione del 24 febbraio 2022).

Ad ogni modo è importante che la doppia missione a Kiev e a Mosca sia avvenuta, segno che almeno una disponibilità a parlarsi c’è anche se sia ucraini che russi riescono per ora ad apprezzare solo il fatto che la Santa Sede ascolti le loro ragioni. Del resto era stato lo stesso segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, lo scorso 21 giugno a invitare a non farsi troppe illusioni: «Per la pace in Ucraina nutro una speranza realista – aveva detto -. Nel senso che dobbiamo continuare a offrire canali di pace con la mediazione e i buoni uffici, ma non mi pare che attualmente ci siano grandi prospettive che queste offerte siano accettate».

Però, almeno nella capitale russa, forse qualcosa sta cambiando se ha ragione il vescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi, che, sempre alla vigilia dell’arrivo del cardinale Zuppi, ha detto all’agenzia Sir: «Considerando gli ultimi eventi, l'urgenza e la disponibilità alla pace mi sembrano accresciute. Si capisce che c'è da parte di tanti la voglia di tornare a guardarsi negli occhi con serenità, con voglia di riallacciare rapporti e con il desiderio di costruire, finalmente». E forse, secondo monsignor Pezzi, almeno sul piano umanitario ci sono le condizioni perché ci siano presto «passi concreti».



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