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OMS

Trattato pandemico, resta il nodo sovranità. E non solo

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Un documento che intende essere «legalmente vincolante». È la bozza, l’ultima, del trattato pandemico dell’Oms che comporterebbe giocoforza cessioni di pezzi di sovranità da parte dei Paesi aderenti, profilando un governo sanitario mondiale. E intanto l’Amministrazione Biden spinge per inserirvi l’aborto.

Attualità 11_03_2023

In questi giorni va sempre più prendendo corpo il cosiddetto trattato pandemico, ovvero il documento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che ha l’ambizione di definire una serie di misure e obiettivi per la «prevenzione, preparazione e risposta» a eventuali future pandemie. Si prevede di presentare la versione finale dell’accordo il prossimo anno, alla 77^ Assemblea mondiale della sanità (maggio-luglio 2024). Ma intanto, lo scorso 1 febbraio, è stata pubblicata una nuova bozza, di 32 pagine, più estesa di quella dell’estate 2022. Il documento presenta ancora diversi punti da definire e l’Organo negoziale intergovernativo dice di basarsi sul principio che «niente è concordato finché tutto non sarà concordato». Eppure, i contenuti fin qui messi nero su bianco continuano a destare preoccupazioni, riguardanti il rafforzamento di poteri in capo all’Oms e le ricadute sulle politiche dei singoli Stati e, quindi, sulla vita concreta delle persone. Il rischio è un'ulteriore deriva rispetto ai modelli totalitari di gestione del Covid, messi in atto, spesso in modalità-fotocopia, dai governi di mezzo mondo dal 2020 in poi.

Un primo nodo è proprio quello della sovranità nazionale. Anche la bozza di febbraio riafferma nel preambolo «il principio della sovranità degli Stati parti, nell’affrontare questioni di salute pubblica» (p. 4), comprese quelle legate alle pandemie. Ma allo stesso tempo gli aderenti si impegnano a riconoscere «il ruolo centrale dell’Oms, quale autorità di indirizzo e coordinamento del lavoro sanitario internazionale, nella prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie», nonché nel «generare prove scientifiche» (p. 4). Da notare che il documento, in base all’approccio seguito dall’Organo negoziale intergovernativo, ricadrebbe sotto l’ambito dell’articolo 19 della Costituzione dell’Oms e «dovrebbe essere legalmente vincolante», contenendo sia elementi legalmente vincolanti sia non vincolanti (p. 1).

Fin da questi aspetti generali appare chiaro che gli Stati cederanno pezzi della loro sovranità aderendo all’accordo, che prevede tra l’altro - andando più nello specifico - meccanismi di controllo interstatali e nuovi organi di potere destinati a supervisionare sul rispetto e la messa in pratica della convenzione. In particolare si prevede di costituire un Organo direttivo, che avrà un primo ramo governativo, la Conferenza delle parti, formata da rappresentanti degli Stati e degli altri aderenti, e che sarà «l’unico organo decisionale»; un secondo ramo amministrativo, destinato ad accrescere la classe di burocrati in ambito Oms. Si prevede anche la formazione di una rete globale di logistica e approvvigionamento, sempre in capo all’agenzia dell’Onu, a cui dovranno contribuire gli aderenti all’accordo. Questi ultimi, nelle fasi di quiete, dovranno stabilire i prodotti necessari per prevenire e affrontare future pandemie, mantenendo anche delle «scorte» (p. 13). Il 20% di tutti questi prodotti - vaccini inclusi - dovrà essere destinato all’Oms, la metà (cioè il 10%) come donazione e l’altra metà da vendere «a prezzi convenienti» alla stessa Oms, che poi dovrà provvedere a redistribuirli, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (p. 18).

Un intero capitolo, il sesto, è dedicato all’impegno finanziario per conseguire gli obiettivi del trattato pandemico. Ai suoi scopi, le nazioni partecipanti dovranno destinare ogni anno non meno del 5% della spesa sanitaria; inoltre, i Paesi più ricchi destineranno una percentuale (da definire) del loro Pil per la cooperazione internazionale, a favore delle aree meno sviluppate.

Ogni Paese aderente si impegna a sviluppare «un sistema nazionale onnicomprensivo» con piani appositi per affrontare i periodi «pre-, post- e interpandemico» (p. 23), termine quest’ultimo - designante la fase tra le pandemie - che ricorre più volte all’interno del documento. In questo sistema onnicomprensivo, un ruolo fondamentale lo gioca la comunicazione e così la bozza indica di rafforzare «l’alfabetizzazione in materia di pandemia» nella popolazione. A tal fine, gli Stati dovranno «contrastare» le informazioni «false, fuorvianti» e fronteggiare la cosiddetta infodemia anche attraverso i social media (p. 23). Gli aderenti promuoveranno la «fiducia e diffusione dei vaccini», nonché la «fiducia nella scienza e nelle istituzioni governative».

Eppure, se la bozza si propone veramente di «riflettere - com’è scritto nel preambolo - sulle lezioni apprese dalla malattia da coronavirus (Covid-19)», i suoi estensori dovrebbero riconoscere che negli ultimi due-tre anni i media mainstream e i governi hanno contrastato e censurato tanta presunta “disinformazione”, che alla prova dei fatti (vedi ad esempio l’efficacia delle cure domiciliari precoci a base di antinfiammatori) è risultata essere molto più affidabile dell’informazione ufficiale.

Positivi, invece, i richiami alla trasparenza sui finanziamenti per lo sviluppo dei prodotti legati alla pandemia e sui relativi contratti (p. 16), rispetto ai quali - sempre in tempo di Covid - le zone d’ombra e i conflitti di interesse, a partire dalla nostra Europa, sono stati senza numero. Poi, ovviamente, bisognerà vedere se e come saranno osservati i suddetti richiami.

A proposito di mancanza di trasparenza, C-Fam ha fatto notare la singolare convergenza tra Cina e Stati Uniti. Nei negoziati della scorsa settimana, la delegata degli USA ha appoggiato la richiesta del collega cinese di non rivelare al pubblico le posizioni dei governi sulle proposte di modifica alla bozza, mentre il rappresentante dell’Unione europea ha manifestato l’intenzione di condividere pubblicamente i commenti dell’Ue.

La stessa delegata statunitense, Pamela Hamamoto, nella dichiarazione del 27 febbraio in apertura dei negoziati, ha chiesto di fatto l’inserimento dell’aborto nel trattato pandemico. «Un impegno per l’“equità” deve affrontare le disuguaglianze non solo tra i Paesi, ma anche al loro interno», ha detto la Hamamoto, aggiungendo che bisogna proteggere le popolazioni non solo dalle pandemie ma anche dall’interruzione di «servizi sanitari essenziali», «compresi i servizi di salute sessuale e riproduttiva». Come appunto l’aborto. Tema su cui non c’è accordo generale in ambito Onu, ma da qui alla scadenza del 2024 è molto probabile che ci saranno altre spinte per cercare di inserire uno specifico aggancio pro-aborto all’interno del documento dell’Oms.

Del resto, è nota la posizione ormai radicalmente abortista della stessa agenzia dell’Onu, così com’è nota la premura con cui vari Paesi dell’Occidente, Italia inclusa, si siano dati da fare per assicurare la libera uccisione dei nascituri fin dalle prime chiusure legate al Covid, mentre venivano tagliati servizi sanitari veramente essenziali. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per un trattato che sembra più sbilanciato verso lo stato di emergenza permanente, anziché verso un’equilibrata prevenzione.