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Stupri di gruppo, quando l’assoluzione è senza criterio

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Il Tribunale di Firenze assolve dei ragazzi per stupro di gruppo perché presumevano il consenso della ragazza e anche perché erano condizionati dalla pornografia. Ma le motivazioni non reggono.

Editoriali 25_08_2023

Non c’è solo lo squallido caso di Palermo ad emergere tra le cronache di questi giorni di estate in tema di stupri di gruppo.

In Toscana dei ragazzi sono stati assolti per stupro di gruppo perché presumevano il consenso della ragazza, anche perché condizionati dalla pornografia. Procediamo con ordine, partendo dai fatti. Siamo nel settembre del 2018 a Rufina, vicino a Firenze. Festa in una casa privata tra compagni di classe delle superiori. Tre ragazzi hanno un rapporto sessuale con una loro compagna. Lei sostiene di essere stata stuprata, loro no, dato che affermano che lei era consenziente.

Si finisce davanti al Tribunale di Firenze che assolve due dei tre ragazzi, maggiorenni all’epoca dei fatti. Per il terzo il procedimento finisce con la messa alla prova. Solo in questi giorni sono state pubblicate le motivazioni del Tribunale. Due sono le motivazioni che hanno portato all’assoluzione, strettamente connesse tra loro. La prima: «Errata percezione del consenso». Lei era ubriaca e quindi non c’è stato un rifiuto netto – ma il Tirreno ha riportato che la ragazza più volte avrebbe gridato «Smettetela!» – e poi nel giugno precedente lei aveva avuto con uno di loro un rapporto consenziente. Insomma, i ragazzi hanno presunto il suo consenso.

Il giudice per l’udienza preliminare ha scritto: «L’errata percezione» da parte degli imputati «se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenere penalmente rilevante la loro condotta, proprio per la presenza di un errore determinato da colpa». Tradotto: a posteriori abbiamo capito che la ragazza allora non voleva avere un rapporto – ecco perché c’è stata violenza sessuale – ma questo suo dissenso non è emerso chiaramente. Per aversi violenza sessuale occorre dolo, ossia la volontà di violentare, non basta la colpa, ossia la mancanza di diligenza nell’appurare se c’è o meno il consenso. Così il giudice: «Ciò hanno fatto colposamente, ponendo in essere una condotta certamente incauta, ma non con la piena consapevolezza della mancanza di consenso della ragazza o della sua preponderante alterazione psicofisica».

La motivazione non regge. Perché si escluda la violenza ci deve essere il consenso certo ed esplicito, ricavabile non solo da parole ma anche da atti, non basta un consenso/dissenso dubbio o un consenso implicito, derivato in questo caso da condizioni in cui la volontà era obnubilata da alcol e spinelli. Il consenso, poi, deve essere attuale: se la ragazza era consenziente a giugno, ciò non significa che lo sia stata anche a settembre. Dunque, se non c’è consenso esplicito c’è violenza.

Dato che i ragazzi avevano notato il suo stato di ebbrezza, o lo potevano supporre dal momento che alcol e droghe erano stati offerti proprio dai due ragazzi affinché la fanciulla fosse maggiormente disponibile, doveva essere a loro evidente che qualsiasi consenso non sarebbe stato valido perché o viziato dal suo stato alterato o presumibilmente viziato dal suo possibile stato alterato. Lo scrive anche il giudice: «La ragazza era in uno stato di alterazione più o meno accentuato e non appariva in grado di esprimere un valido consenso a un rapporto plurimo». Dunque, essendo a lei preclusa, certamente o presumibilmente (“certamente” per il giudice che ha avuto poi modo di studiare il caso), l’espressione di un consenso valido, qualsiasi atto sessuale si concretava in violenza sessuale. In altri termini, aver voluto avere un rapporto con lei in quello stato, presunto o reale, significava volere la violenza sessuale perché era impossibile verificare l’esistenza di un consenso valido. Il dolo quindi è intatto.

Il giudice, di contro, li ha assolti con l’inusuale formula dell’«errore sul fatto che costituisce reato». Ma qui non c’è errore sul fatto, dato che il fatto, a loro noto, era la condizione di una ragazza che aveva bevuto e fumato, condizione che, come abbiamo scritto, poteva viziare il consenso e anche ciò era a loro noto. In altre parole, i ragazzi sapevano che si trovavano in una situazione che avrebbe potuto contemplare un consenso esplicito e certo (nel caso in cui ad esempio la ragazza reggesse bene gli alcolici e la cannabis) o escludere un consenso esplicito e certo (nel caso opposto). Perciò nel caso in specie, volendo essere molto generosi, non si poteva sapere in quale delle due situazioni la ragazza si trovasse. E dunque il solo dubbio su quale delle due condizioni si concretasse realmente avrebbe dovuto obbligare i ragazzi ad astenersi da qualsiasi approccio, proprio per evitare di avere un rapporto con una persona che avrebbe potuto trovarsi nell’incapacità di esprimere il proprio dissenso. È il principio tuzioristico, principio che obbliga a prendere la decisione più prudente, più sicura sul versante del rispetto della persona: nel dubbio, presumo che il consenso non ci sia.

Seconda motivazione per rimandare a casa gli imputati e che supporta la precedente: costoro, «anche perché condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante da un deficit educativo e comunque, frutto di una concezione assai distorta del sesso, hanno, quindi, errato nel ritenere sussistente il consenso della ragazza, quanto meno dopo i primi approcci». Anche in questo caso traduciamo: se t’imbottisci di porno, sei portato a credere che tutte le ragazze siano facili. Dunque, perdoniamoli. Ma le cose non stanno così: nessuno li ha obbligati a vedere porno e, anche nel caso in cui ci fosse stato incoraggiamento o semplice permissione da parte dei genitori (il «deficit educativo» di cui parla il giudice), l’errore in cui sono caduti è effetto infine della loro libera scelta. Hanno scelto liberamente di vedere porno e quindi di esporsi al rischio di credere che tutte le donne siano libertine. Concordiamo dunque con l’efficacissimo commento di Luana Zanella, segretaria della Commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio: «La concezione distorta del sesso non li ha indotti in errore: è, secondo me, l’errore originario».

Infine, c’è da aggiungere che non è inevitabile ritenere che le donne siano sempre compiacenti a seguito della visione seppur massiccia di video porno. Altrimenti tutti i pornodipendenti salterebbero addosso alla prima che passa, sicuri che quest’ultima sia consenziente.



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