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I RISULTATI

Stravince il No. Il Paese non crede più a Renzi

Con una massiccia affluenza alle urne (quasi il 70%), gli italiani hanno respinto la riforma costituzionale fortemente voluta da Matteo Renzi con una maggioranza che sfiora il 60%. Renzi ne ha preso atto e ha annunciato le dimissioni. I due anni e mezzo impiegati dal Parlamento per molteplici letture di una riforma costituzionale, che ora non c'è più, si sarebbero potuti dedicare all’emanazione di norme urgenti per l’economia e la crescita.

 


- IL POPOLO C'È. MANCANO I CAPI, di Alfredo Mantovano
- UN REFERENDUM DEL GENERE
, di Roberto Marchesini

Politica 05_12_2016
Renzi si è dimesso

L’elevata affluenza alle urne (quasi il 70%) sembrava lasciare margini di incertezza. Invece la vittoria del “no”, secondo i dati diffusi nella notte, è netta e senza appello, e sfiora il 60%. Un risultato senza appello, e il presidente del Consiglio Matteo Renzi ne ha preso atto. Dichiarandosi l'unico sconfitto ha annunciato le dimissioni che presenterà oggi al presidente della repubblica Sergio Mattarella. Non sono bastate ai sostenitori del “si” le lettere spedite agli italiani all’estero, non ha prodotto gli esiti sperati una stucchevole propaganda di regime con pochi precedenti dopo il fascismo, non sono risultate sufficienti le promesse elettorali degli ultimi mesi per consentire a Renzi di vincere la sua partita più importante.

La personalizzazione del voto di ieri ha gravemente nuociuto al premier, attirandogli le antipatie e gli istinti di rivalsa di tutti coloro i quali genuinamente avevano creduto in lui, dentro e fuori il partito, e che lui aveva ingenerosamente messo all’angolo o esautorato. Il destino del governo, uscito tramortito dalle urne, ora è nelle mani del presidente della Repubblica. I due anni e mezzo impiegati dal Parlamento per molteplici letture di una riforma costituzionale che il popolo italiano ha bocciato sonoramente ieri ai seggi si sarebbero potuti dedicare all’emanazione di norme urgenti per l’economia e la crescita del Paese, per la risoluzione di emergenze che, soprattutto al sud, rendono critica la situazione e incerte le prospettive delle nuove generazioni.

Gli elettori non hanno creduto agli sbandierati benefici di una riforma costituzionale che avrebbe dovuto ridurre i costi della politica, cambiare il volto del Senato, abolire il Cnel. La narrazione renziana ha miseramente fallito e ora è giusto voltare pagina e creare le condizioni per un effettivo rilancio del Paese dopo anni di governo Renzi non legittimato dal popolo e concentrato esclusivamente su una riforma della Costituzione inutile, se non dannosa, oltre che funzionale ad un unico obiettivo: cedere porzioni consistenti di sovranità nazionale alle lobbies europee e internazionali, alle quali l’attuale esecutivo risulta completamente asservito.

Gli esiti del voto sono inequivocabili. Si era pronosticato che almeno al nord il fronte del “si” prevalesse con una certa ampiezza e invece, se al sud e nelle isole il “no” ha stravinto, anche nel resto d’Italia i “si” appaiono di gran lunga meno numerosi dei “no”, salvo in Toscana, terra d’origine del premier, Trentino e Valle d’Aosta (questo almeno secondo i dati parziali delle prime ore dopo la chiusura dei seggi), dove hanno possibilità di sopravanzare i “no”. La maggiore affluenza alle urne rispetto alle previsioni della vigilia conferma, quindi, che molti indecisi sono andati a votare per respingere l’assalto alla Costituzione e per mandare un avviso di sfratto all’inquilino di Palazzo Chigi e al suo entourage.

E’ ancora presto per parlare dei nuovi scenari che il verdetto delle urne prepara. Il pallino è ora nelle mani del Quirinale che dovrà gestire una difficile crisi di governo, sotto gli occhi vigili e preoccupati dei mercati finanziari. Era prevedibile che l’Italia si trovasse debole e indifesa in caso di vittoria del “no”, anche perché l’esecutivo non aveva e non ha alcun piano “b”. L’emergenza più stringente ora è quella di approvare la legge di stabilità e di mettere in cassaforte i conti pubblici, pur con tutte le incertezze legate ai destini di molte banche e di cospicui risparmi degli italiani. Gli imprenditori a parole avevano tifato per la riforma e dichiarato sostegno alla riforma Boschi, ma evidentemente nel segreto dell’urna non si sono comportati con coerenza rispetto agli impegni assunti col premier. Anche nelle aree più fortemente evolute come la Lombardia il “si” ha perso, a riprova del fatto che tra il popolo e la casta, variamente incarnata da consorterie e pezzi di establishment più o meno autoreferenziali, ha vinto il primo.

Ora, però, non è tempo né di vendette né di regolamenti di conti. Bisogna impedire la deriva del Paese e iniziare una faticosa opera ricostruttiva, anche delle relazioni tra maggioranza e opposizione. Il voto popolare va rispettato, la gente chiede stabilità e soluzione ai problemi più urgenti che attanagliano il tessuto sociale italiano. Non ci si avviti su legge elettorale e nuovi equilibri costituzionali. Le priorità sono altre.