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‘GIUSTIZIA’ LGBT

Si rivolge a sua figlia come a una ragazza. Condannato

In Canada un padre separato dalla moglie è stato condannato per “violenza familiare” per essersi rivolto alla figlia, una quattordicenne che si sente un maschio, come a una ragazza. Al genitore è stato proibito di chiamarla con il “suo nome di nascita” e di interferire con la scelta di sottoporsi a pericolosi trattamenti ormonali.
- CONTESTA DEI CORSI LGBT. LICENZIATA, di Ermes Dovico

Vita e bioetica 27_04_2019

La guerra contro il buonsenso ha purtroppo fatto un ulteriore passo in avanti. È accaduto in Canada, dove, nei giorni scorsi, un padre è stato incredibilmente condannato per «violenza familiare» ai danni della figlia; ma non per averla picchiata o aver agito con qualsivoglia forma di violenza, bensì per essersi rivolto a lei - femmina - come a una ragazza. Una pura ovvietà divenuta scandalosa, dato che la giovane, di 14 anni, identifica sé stessa come un ragazzo e si sta sottoponendo a trattamenti a base di testosterone per “cambiare sesso”, come oggi si usa impropriamente dire, e “raggiungere” quell’identità maschile di cui oggi pare senta la mancanza.

Un percorso a cui il padre dell’adolescente è fortemente contrario sia perché consapevole delle gravi e talvolta irreparabili conseguenze che comporta, sia perché sa come la figlia versi in una condizione di particolare vulnerabilità a causa del modo traumatico con cui, nel 2013, ha vissuto la separazione dei genitori; una vulnerabilità a sua volta testimoniata dalla depressione di cui ha sofferto e soffre la giovane, che purtroppo è giunta almeno già quattro volte a tentare il suicidio. Siamo dunque lontani anni luce dalla vicenda di una persona che con serenità e consapevolezza decide di “cambiare sesso”, per quanto essa rimarrebbe comunque una decisione tragica e densa di rischi.

Ciò nonostante, non solo a questo genitore è stato impedito di interferire nelle gravi decisioni della figlia ma, appunto, nei giorni scorsi è arrivata perfino una condanna. Ad emanarla, la Suprema Corte della British Columbia nella persona del giudice Francesca Marzari, la quale, nel condannare il padre della giovane per «violenza familiare», ha pure emesso un ordine restrittivo che gli impedisce di rivolgersi alla figlia - direttamente come a terzi - con il «suo nome di nascita». Non solo. All’uomo è stato pure intimato di desistere da qualsiasi «tentativo di persuadere» la ragazza «ad abbandonare il trattamento per la disforia di genere», come spiegato dal Federalist. Ovviamente la giudice che si è pronunciata sul caso è già nota per le sue posizioni progressiste sia in tema di aborto sia, ça va sans dire, di diritti Lgbt.

Ora, per quanto possa sembrare strano, questa è in realtà solo l’ultima tappa del calvario di questo genitore canadese. Infatti già oltre un anno fa, la figlia confusa sulla propria identità sessuale era stata indirizzata dall’istituto scolastico insieme alla madre - senza che suo padre ne fosse informato - dallo psicologo e attivista transgender Wallace Wong, che non ci ha pensato due volte a raccomandare alla giovane quella “terapia” ormonale che, ormai da due mesi, sta seguendo presso l’ospedale pediatrico della British Columbia. Una volta informato di tutto ciò, il padre della ragazzina ha tentato di segnalare per comportamento poco professionale il dottor Wong. Tutto inutile, tanto per cambiare.

Così adesso, in questa storia che sembra tratta da un romanzo dell’orrore, abbiamo un genitore condannato per «violenza familiare», per aver rilasciato interviste nelle quali usava il pronome femminile per rivolgersi alla figlia, e fortemente limitato nella sua potestà genitoriale. Uno scenario da incubo che però altro non è che la naturale evoluzione dell’ideologia gender che, a ben vedere, sembra proprio avere nel sistematico rigetto del buonsenso il suo cardine. Comunque vada a finire, c’è solo da augurarsi che raccontare vicende come questa, denunciandone i molteplici riflessi ideologici, possa aprire gli occhi a tutti coloro che non hanno ancora riflettuto sul precipizio morale a cui può condurre l’allegro ritornello dei «nuovi diritti».