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LA SCOMPARSA DEL REGISTA

Sesso e rivoluzione. In memoria di Bertolucci

Bernardo Bertolucci rivendicava, da sinistra, la fantasia al potere. Ha sempre caratterizzato le sue pellicole con due ingredienti essenziali: sesso e rivoluzione. Dall'elefantiaco Novecento, sino al suo penultimo film The Dreamers è questa la sua firma. Ma il mondo lo ricorda soprattutto per l'erotico Ultimo Tango a Parigi.

Cinema e tv 27_11_2018
Bernardo Bertolucci, in una delle sue ultime apparizioni in pubblico

«Nel ‘64 con Prima della rivoluzione mettevo in scena un comunista borghese in polemica con un partito immobile, chiuso al nuovo». Così diceva Bernardo Bertolucci in un’intervista al Quotidiano.net del 6 maggio scorso. Come Fabrizio De André nell’album Storia di un impiegato, rivendicava, da sinistra, la fantasia al potere. Se De André era anarchico, Bertolucci era comunista, sempre stato.

Può essere, questo, il vecchio vizio dei cineasti italiani, che l’attore Gérard Depardieu chiamava «tutti comunisti con le case», intendendo per case le ville sfarzose di quelli che sarebbe più preciso chiamare radical chic. Sesso & rivoluzione, la cifra stilistica di molti suoi film, fino al penultimo, The Dreamers, dove i protagonisti giocano al dottore in una Parigi sconvolta dal maggio sessantottardo. Nell’elefantiaco Novecento si comincia con un vecchio Burt Lancaster che fa il padrone della terra e un altrettanto vecchio Stirling Hayden (i più anziani lo ricorderanno come Johnny Guitar insieme a Joan Crawford) che fa un suo lavorante: il primo offre di brindare alla nascita del suo nipotino e il secondo si rifiuta per odio di classe. La scena successiva vede il padrone fare avances esplicite con una ragazzina figlia di suoi dipendenti. Poiché la piccola lo ridicolizza maliziosamente, ecco che il padrone si impicca: la vita senza sesso non vale la pena di essere vissuta, grettezza padronale. Più avanti, il ricco Robert De Niro (che non a caso diventerà fascista) e il povero Gérard Depardieu sono nudi sul letto della squillo Stefania Casini, un rapporto a tre mostrato tutto esplicitamente. Il chilometrico film è un peana alle prime lotte operaie dell’Italia novecentesca.

Su diciassette film al suo attivo, il più notevole era senz’altro L’ultimo imperatore, che infatti fu premiato con ben nove Oscar. Ma il regista è passato alla storia del cinema soprattutto per il famigerato Ultimo tango a Parigi, che gli costò anche una condanna per oltraggio al pudore e che fu per qualche anno sequestrato, cosa che, al solito, indusse quelli a cui era sfuggito a correre nelle sale per vederlo. La scena della sodomia al burro divenne così popolare che, ai ricevimenti di matrimonio, invalse l’uso (di pessimo gusto) di regalare panetti di burro infiocchettati agli sposini. L’attrice, l’allora diciannovenne Maria Schneider, figlia dell’attore francese Daniel Gélin (quello che, vestito da arabo, viene pugnalato a morte all’inizio dell’hitchkockiano L’uomo che sapeva troppo), dichiarò in seguito di essere rimasta segnata negativamente e per sempre da quel film, nel quale appariva senza veli. E’ morta nel 2011 a cinquantotto anni senza aver lavorato a più niente di significativo. Per Marlon Brando, invece, quel film fu un insperato rilancio di carriera, fino a quel momento malinconicamente declinante. Infatti, prima di lui Bertolucci aveva pensato a Jean-Paul Belmondo e Jean-Louis Trintignant. Questi due rifiutarono uno dopo l’altro e il regista ripiegò su Brando.

Bertolucci, comunista nel cuore (esordì come aiuto regista di Pasolini), prese la tessera del Pci nel 1969, ma, disse in un’intervista al Giornale.it, «si è andata via via scolorendo… Alla metà degli anni  Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a vivere più all’estero che qui». Infatti vennero i film Un tè nel deserto e Piccolo Buddha. Nel 2007 ricevette il Leone d’Oro alla carriera a Venezia, lo stesso a Cannes, Palma d’Oro. L’anno seguente, una stella a lui intestata venne posta nella Walk of Fame di Hollywood Boulevard a Los Angeles. Una vita ricca di soddisfazioni, la sua. Ma, diciamolo, è triste restare nell’immaginario collettivo per un tango al burro.