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“angeli e demoni”

Quel che dice la sentenza sul processo di Bibbiano

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Per capire la pioggia di assoluzioni della sentenza di primo grado su Bibbiano, è necessario uscire dagli slogan politici ed entrare in tribunale: gli imputati sono stati prosciolti udienza dopo udienza perché la difesa è riuscita a indebolire le pesanti accuse della Procura. Ma l'esultanza del Pd non è rispettosa del grande dolore delle famiglie private dei figli e poi restituiti, che resta senza risposta. 

Editoriali 11_07_2025

Ora che il collegio dei giudici di Reggio Emilia ha pronunciato la sentenza di primo grado sul caso Bibbiano, si può finalmente tracciare un bilancio complessivo sull’inchiesta Angeli e demoni che sconvolse il paesino della Val d’Enza nel 2019 portando alla luce presunti casi di affidi illeciti. Un bilancio complessivo non può però definirsi definitivo visto che, trattandosi di un primo grado, è molto probabile che la Procura di Reggio Emilia ricorrerà in appello per tentare di ribaltare il giudizio sulle numerose assoluzioni, quasi tutte, che sono arrivate il 9 luglio nell’aula di Tribunale di Reggio. Se inizierà una seconda partita, sarà il tempo a stabilirlo.

Molto dipenderà dalle motivazioni della sentenza che, una volta depositate, saranno scandagliate dal pm, i quali hanno seguito il caso imbastendo un processo mastodontico, il più grande che abbia mai visto protagonisti un intero pool di assistenti sociali accusati di reati gravissimi nei confronti di minori in situazioni di difficoltà e ora prosciolti da ogni accusa.

E il bilancio complessivo non può che essere a favore degli imputati e a sfavore della Procura della Repubblica, che aveva chiesto pene fino a 15 anni per alcuni imputati per oltre un centinaio di capi di imputazione, salvo poi vedersi riconoscere appena tre condanne per reati minori.

La prima considerazione da fare e a conti fatti la più importante è che il castello accusatorio dei pm è completamente caduto consegnando così agli assistenti sociali una riabilitazione significativa del loro lavoro. E se è caduto significa che i giudici hanno riconosciuto che, formandosi in tribunale le prove, le difese di Federica Anghinolfi, Francesco Monopoli, Nadia Bolognini e degli altri 11 imputati hanno potuto dimostrare la totale estraneità dei fatti contestati ai loro assistititi. Sembra una ovvietà, ma in un Paese dove i processi si fanno prima sui giornali e poi sulla pubblica piazza prim’ancora che nelle aule di tribunale, è un principio che deve essere ricordato e salutato come una vittoria della giustizia.

Restano però deluse e amareggiate numerose famiglie che in questi anni, costituendosi parte civile, hanno sperato di vedersi riconosciuto un dolore che difficilmente potrà essere cancellato: quello di essere stati privati dei loro figli per lungo tempo. Oggi quel dolore si trasforma in un sentimento di ingiustizia del quale bisogna tenere conto con rispetto. «Non è per niente giusto, non è stata fatta giustizia, non si faranno neanche un minuto di galera mentre noi l'abbiamo fatta per quattro anni», confida a caldo dopo la sentenza una delle mamme private della figlia ad Ambra Prati sulla Gazzetta di Reggio. «Ci sentiamo come se ci avessero strappato nostro figlio per la seconda volta».

Per questo non è opportuno affidarsi ai commenti di giubilo che vedono gli esponenti del Pd cantare comprensibilmente vittoria, ma nemmeno unirsi al silenzio di altri esponenti politici (un vasto carnet che va dalla Lega a Fratelli d’Italia ai 5 stelle), che cavalcarono a suo tempo quell’inchiesta e che oggi sono silenti di fronte ad una sentenza assolutoria sul presunto sistema che non lascia spazio a fraintendimenti.

Bisogna invece parlarne ed entrare dentro le numerose udienze dove le accuse sono state presentate e poi smontate. Per scoprire che ogni singola accusa è stata analizzata con criteri scientifici, che hanno visto contrapposti numerosi esperti di psicoterapia infantile, periti, grafologi e psicologi in un processo molto complesso e articolato.

È un lavoro scomodo, perché l’affaire Bibbiano è sempre stato trattato dalle cronache nazionali con le lenti della contrapposizione politica, mentre in aula si guardava ogni aspetto con criteri più attinenti alle scienze sociali. Dunque, perché sono stati assolti gli imputati? Semplicemente perché le accuse non hanno retto all’esame documentale e testimoniale.

Prendiamo, ad esempio, il caso più eclatante di Federica Anghinolfi, accusata di oltre 60 capi di imputazione gravissimi. I suoi legali hanno potuto dimostrare che su oltre 800 casi trattati con successo dalla dirigente del servizio di Bibbiano, per 8 casi dubbi di bambini allontanati dalle loro famiglie e dati in affido, non sussistevano i presupposti per un reato. In altri casi si è potuto dimostrare che le relazioni dei servizi sociali non hanno valore di certificazione, ma di valutazione e questa differenza è risultata sostanziale alla prova dei fatti, andando a determinare l’assenza di falso. 

Resta sicuramente il grande interrogativo sul perché successivamente all'inchiesta il giudice del tribunale dei minori riconsegnò alle famiglie quei bambini considerati allora ingiustamente sottratti ai genitori. Se un organismo giudicante ritenne che quegli affidi non dovessero più continuare, significa che qualcosa nel lavoro della Procura era emerso e quel qualcosa era comunque rilevante, anche se poi la verità giudiziaria ora si è incaricata di escludere la presenza di reati gravi quali erano quelli individuati, dalle lesioni ai maltrattamenti al falso in atto pubblico. «Perché allora quando il giudice dei minori ci ridiede nostro figlio quasi ci chiedeva scusa? Perché i nostri figli sono tornati a casa se era tutto a posto?». Domande irrisolte alle quali bisognerà dare una risposta. 

Anche sugli altri episodi, quelli più clamorosi portati dal pm all’attenzione della pubblica opinione, è bene capire come si sia arrivati al proscioglimento per non alimentare sospetti e dietrologie. In attesa di leggere le motivazioni, bisogna affidarsi alle cronache di chi ha seguito il processo udienza dopo udienza andando a scattare una fotografia il più possibile verosimile su quei fatti. Chi ha frequentato in questi anni l'aula di giustizia non ha potuto fare a meno di notare che man mano che si procedeva con le udienze, le accuse si indebolivano sempre più alla prova dei fatti. 

Tra i pochi che hanno rendicontato quotidianamente in questi anni c’è ad esempio Alessandra Codeluppi, cronista del Resto del Carlino di Reggio, che nei suoi articoli ha documentato quanto si andava delineando facendo emergere nella sfilata di imputati, testimoni e periti le tante anomalie del castello accusatorio.

Qualche esempio? Ricordate il caso del disegno della bambina che sarebbe stato manipolato dall’assistente sociale Imelda Bonaretti per indurre a pensare a un abuso sessuale? In aula si sono confrontati grafologi forensi, una nominata dalla difesa e una dalla pubblica accusa e alla fine, vista l’assoluzione per la professionista, il giudice ha ritenuto più convincente l’analisi della prima in aggiunta a numerose prove testimoniali, che escludevano il movente per l’assistente sociale nel manipolare quel disegno e provavano che la bambina in affido rifiorì.

Oppure il caso delle due donne civilunite, Daniela Bedogni e Fadia Bassmaji, affidatarie di una bambina tolta ai genitori. A “incastrare” una delle due era stato anche un audio choc dove una delle due donne insultava la bambina minacciandola di farla scendere dall’auto dando così alla Procura l’assist per l’accusa di maltrattamenti. Ebbene: come ha riportato la Codeluppi nel corso del processo, la difesa ha avuto buon gioco nel dimostrare che la bambina era inserita bene in quel contesto affidatario, mentre quell’episodio è stato spiegato dalla donna come uno sfogo per esasperazione del quale si era pentita e per il quale chiese scusa alla piccola. Gli avvocati delle donne hanno dimostrato che non c’erano elementi per affermare che le due non avessero a cuore quella bambina e provare il grande affetto che la bambina provava per loro. Il giudice ha dato loro ragione e infatti sono state assolte.

Questo però non toglie dal dibattito un aspetto extragiudiziale, che ha alimentato il dibattito e che rimane al di là delle assoluzioni, cioè l’opportunità che una coppia di lesbiche possa essere affidataria di minori in difficoltà. Proprio in udienza, infatti, sempre stando alle cronache della cronista del Carlino Reggio era emerso un disegno della bambina che raffigurava le due donne che si univano civilmente mentre lei veniva autoritratta come un escremento. La piccola aveva poi partecipato all’unione civile delle due donne ed era parsa felice e la serenità della piccola era stata documentata anche al termine della loro relazione. Ma la pm Valentina Salvi aveva parlato in quel caso di una coppia come di «un manifesto politico». 

Il fatto che il giudice non abbia ravvisato reati nei loro confronti non esime però dalla considerazione che in un paese libero come il nostro si possa stigmatizzare il coinvolgimento di due donne per un affido, per motivi che esulano dalla cronaca giudiziaria e attengono alla stabilitas della coppia e alla necessità che un minore debba crescere con due figure genitoriali sessualmente distinte. È un tema legittimo e urgente, che però rimane fuori dalle aule di giustizia.