Migranti, la Corte UE azzoppa il Piano Albania. Una sentenza politica
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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciandosi sull’accordo Italia-Albania, ha stabilito che la designazione dei “Paesi di origine sicuri” deve poter essere sottoposta al controllo dei giudici. E dov’è finita la separazione dei poteri?

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa ieri con una sentenza sull’accordo Italia-Albania sui centri per migranti, schierandosi con il Tribunale di Roma che nel 2024 aveva messo in discussione la designazione del Bangladesh come “Paese di origine sicuro”. Una valutazione, questa, dell’esecutivo di centrodestra, che consentiva il trasferimento e la detenzione nei centri italiani in Albania di richiedenti asilo bengalesi, in attesa di valutare la loro domanda. La Corte di Giustizia dell’UE azzoppa quindi l’accordo Italia-Albania, divenuto esempio per diversi Paesi europei e pietra di paragone delle riflessioni della Commissione. Una sentenza prevedibile, che rappresenta l’ennesimo abuso di potere di una magistratura sempre più politicizzata che compie atti propri del potere legislativo ed esecutivo e, con ciò, cestina la separazione dei poteri, ignorando il voto popolare.
Un breve excursus è necessario. Il 23 ottobre 2024, con un proprio decreto, il Governo italiano, «tenuto conto dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti», aveva definito una lista di Paesi sicuri, tra cui Bangladesh ed Egitto. Tale qualifica è uno dei presupposti per l’applicazione delle cosiddette “procedure di frontiera”, che prevedono il trattenimento di fatto automatico delle persone richiedenti asilo.
In attuazione del protocollo siglato nel 2023 tra Italia e Albania, le persone provenienti da tali Paesi e soccorse in mare possono essere trasferite nei centri in Albania.
Il decreto del 2024 si era reso necessario perché in precedenza, il 4 ottobre dello stesso anno, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva fortemente depotenziato l’adozione di tali liste, chiarendo che, per la designazione di Paese sicuro, era necessario che la situazione di sicurezza fosse diffusa in tutto il Paese, senza eccezioni di porzioni di territorio o di determinate categorie di persone.
Ai sensi dell’Allegato I alla direttiva 2013/32/UE, affinché un Paese possa considerarsi sicuro, occorre dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni come definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’UE era stata alla base della decisione del 18 ottobre 2024, con la quale il Tribunale civile di Roma aveva ordinato la liberazione e il trasferimento in Italia di 12 richiedenti asilo, cittadini di Egitto e Bangladesh, detenuti in Albania, negando la convalida del loro trattenimento proprio perché tali Paesi non potevano essere ritenuti sicuri in virtù del diritto dell’UE.
Con la sentenza di ieri, la Corte sottolinea che queste designazioni, ovvero le valutazioni dell’esecutivo sui Paesi di origine sicuri, devono consentire un controllo giudiziario ed essere supportate da prove chiare e accessibili. Per l’esattezza, la Corte scrive che uno Stato dell’UE «può designare Paesi d'origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo»; e ribadisce che un Paese non può essere definito "sicuro" nel caso non lo sia anche per specifici gruppi vulnerabili. A fronte di tale prevedibile decisione della Corte con sede in Lussemburgo, il governo italiano ha giustamente denunciato il tribunale di «prevaricazione» e di aver minato la sovranità nazionale, di aver dato priorità alle opinioni dei singoli giudici rispetto alle indagini approfondite del governo, indebolendo così la capacità dell’esecutivo di combattere l'immigrazione illegale e di proteggere i confini nazionali.
L’erosione dei poteri esecutivi dei governi europei è in atto anche a causa delle interpretazioni stravaganti della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Già nel maggio scorso Danimarca e Italia avevano scritto proprio alla Cedu una lettera aperta – firmata dalla premier danese Mette Frederiksen, da Giorgia Meloni e da altri sette leader europei – sollecitando un dibattito politico su come la Corte interpreti la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in particolare questioni delicate come l'immigrazione clandestina, perché alcune interpretazioni impediscono agli Stati di «espellere criminali stranieri o di proteggere i propri confini».
Un regolamento che entrerà in vigore nel giugno 2026, forse anche prima, consentirà ai governi nazionali di dichiarare i Paesi "sicuri" con alcune eccezioni, allineandosi maggiormente all'approccio italiano. La stessa Commissione Europea ha proposto una propria lista non vincolante di Paesi sicuri, nella quale ci sono Egitto e Bangladesh. La Danimarca, alla presidenza sino a dicembre prossimo del Consiglio dell’UE, ha sottolineato la sua intenzione di raggiungere entro la fine del 2025 un accordo politico sul dossier del nuovo patto e dei regolamenti migratori: una priorità fondamentale è la revisione del concetto di "Paese terzo sicuro", per facilitare il trasferimento dei richiedenti asilo oltre i confini europei.
La decisione della Corte di Giustizia dell’UE potrebbe essere dunque un ultimo colpo di reni di una magistratura che abusa dei propri poteri e invade sistematicamente il campo del potere esecutivo e legislativo dei singoli Stati europei, nel tentativo di condizionare non solo il governo conservatore di Giorgia Meloni ma anche la presidenza di turno danese, al Consiglio dell’UE, della socialdemocratica Mette Frederiksen. Rimane un fatto grave per le stesse fondamenta democratiche: l’abuso di potere, la politicizzazione delle decisioni di una parte significativa della magistratura in tutti i Paesi occidentali e in vari ambiti internazionali.
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