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IL PROFILO

"Pepe" Mujica, il falso mito della sinistra latinoamericana

L'ex presidente dell'Uruguay, "il contadino diventato capo di Stato", è in Italia dove ha incontrato il Papa e presentato la sua biografia, con testimonial l'immancabile duo Saviano-Gabanelli. Ma il solito mito della sinistra non regge alla prova dei fatti. 

Esteri 29_05_2015
"Pepe" Mujica - Foto Tremamunno

Ex guerrigliero, ex presidente dell’Uruguay, considerato dalla sinistra europea che vive di miti come il modello per ogni governo, anche per la sua “povertà” di vita personale, Jose "Pepe" Mujica, che si definisce “non credente”, è tornato ieri, 28 maggio, in Italia per un tour che lo ha visto tra l’altro ricevuto in udienza privata in Vaticano da papa Francesco. È la seconda volta che Mujica incontra il Papa, la prima era stata una visita ufficiale nel 2013, quando era ancora la massima carica della piccola repubblica sudamericana. 

L’ex guerrigliero di ottanta anni ha approfittato del suo viaggio in Italia anche per far risuonare ancora il suo pensiero “profetico” (almeno per certa sinistra) con la presentazione della prima biografia autorizzata: “La felicità al potere”, libro in cui è contenuta anche un’intervista esclusiva rilasciata a Montevideo a Cristina Guarnieri, direttrice della casa editrice Eir. A fare da testimonial non potevano certo mancare lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Milna Gabanelli. “Il presidente più povero del mondo” – come è stato definito – non ha certo deluso le attese di un pubblico molto più disposto a seguire il classico mito rivoluzionario dell’America Latina (del resto cosa c’è di più invitante di un contadino diventato presidente?) piuttosto che guardare ai fatti, molto distanti da quella “felicità al potere” tanto invocata.   

Le prime parole: «Non possiamo muovere un dito e fare miracoli… Quando ero molto giovane pensavo che avremmo dovuto cambiare il mondo e ora che sono vecchio continuo a pensare che potremmo cambiare il mondo…». In effetti Mujica non ha cambiato il mondo, ma senza dubbio ha rivoluzionato l’Uruguay con alcune leggi che piacciono tanto anche qui: depenalizzazione dell’aborto nell’autunno 2012, dando la libertà alla donna di scegliere d’interrompere la sua gravidanza; approvazione del matrimonio gay e adozione per coppie di persone dello stesso sesso a maggio 2013; legalizzazione della coltivazione e commercializzazione della marijuana, seppure sotto il controllo statale. Tre temi ritenuti centrali dai “rivoluzionari” ma che hanno trovato l’opposizione della Chiesa locale, per non dire delle posizioni espresse dallo stesso papa Francesco. E pensare che c’è chi ha definito Bergoglio il “Pepe Mujica” del Vaticano.

Ma ecco ancora le parole dell’ex presidente uruguagio: «Non è possibile che l’umanità non affronti i problemi dell’ambiente con decisione, che non si possa creare un mondo senza inquinamento… Già più del 30% del pianeta è deserto, l’uomo può trasformare questo. Se l’Europa non pensa a queste cose, allora siamo persi…».

Questo afferma ora, ma in Uruguay il suo governo è stato oggetto di forti critiche proprio per l’aumento dell’inquinamento, attribuito alla apertura del paese alle multinazionali. Esempi sono lo strapotere di aziende legate alle piantagioni estensive di eucalipto, accusate di distruggere la terra; o il progetto Aratiri, una mega miniera a celo aperto per la estrazione di ferro, fortemente inquinante. C’è stato anche lo spinoso caso della UPM-Kymmene Corporation, una azienda finlandese impegnata nella fabbricazione di polpa di cellulosa e denunciata dall’Argentina a causa del forte inquinamento del fiume condiviso dai due paesi.  

Nel libro che racconta Mujica troviamo ovviamente evidenziato il famoso “Discorso sulla felicità” - che dà il titolo al libro – pronunciato al G20 in Brasile nel giugno 2012.  Intervento ricordato per la sua forte critica alla società capitalistica contemporanea. Ma il calzolaio va in giro con le scarpe rotte! Il giornalista argentino Sebastian Bandera afferma che il governo del “presidente più povero” ha continuato la stessa politica macroeconomica dell’amministrazione precedente, puntando ad aumentare i consumi della popolazione; e malgrado questo il 2014 è finito con un deficit fiscale del 3,5% del PIL, secondo dati ufficiali. Del resto che di felicità non ce ne sia tanta lo dimostra anche uno dei più gravi problemi dell’Uruguay, la criminalità, con un tasso di omicidi che ha raggiunto gli 8,3 per ogni 100.000 abitanti, quando in Italia – per fare un confronto - è di 0,87 ogni 100 mila. 

Rifiutare di vivere nel palazzo presidenziale, donare lo stipendio ai più poveri o vestire in modo semplice sarà pure un gesto di umiltà, ma è soltanto lo stile di vita di un presidente, che certamente può sembrare affascinante, ma una cosa è la facciata e un’altra la realtà interna del paese. In Italia però si pensa soprattutto a perpetuare il mito di una inconsistente sinistra latinoamericana, che non regge alla prova dei fatti e dove il cambiamento sociale promesso si riduce a populismo e demagogia.