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L'EDITORIALE

Noi ricordiamo

Nella Giornata della memoria ricordiamo la Shoah per fare in modo che una tragedia simile non abbia più a ripetersi. Ricordiamo quei cristiani che offrirono la loro vita per salvare gli ebrei perseguitati...

Editoriali 27_01_2011


Oggi cerchiamo di ricordare. È la giornata della memoria, indetta per non dimenticare lo sterminio di milioni di ebrei, i lager, le camere a gas, la decisione lucidamente disumana di eliminare dalla faccia della terra un intero popolo. Ricordiamo perché in un mondo nel quale l’odio, il razzismo, la violenza, il predominio, il disprezzo dell’altro, la mancata tutela delle minoranze riempiono ancora le cronache quotidiane, la memoria è – può essere – un antidoto. Il vaccino per far sì che tragedie simili non si ripetano mai più.

La Shoah, figlia di un’ideologia barbara, antisemita e anticristiana, ha preso corpo ed è stata messa in atto nel cuore dell’Europa. Di quell’Europa che era stata faro di civiltà, che si era formata grazie al contributo essenziale del cristianesimo. Non si può e non si deve dimenticare che lo sterminio sistematico di milioni di persone innocenti, “colpevoli” soltanto di appartenere a un determinato popolo, è avvenuto nel nostro Continente.

Certo, l’antisemitismo, figlio del positivismo, non è invenzione nazista. C’era antisemitismo negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in tanti altri Paesi «liberi» e democratici. C’era e ci sarà antisemitismo nell’Unione Sovietica. E anche se è importante distinguere l’antisemitismo, cioè l’odio per l’inesistente “razza” ebraica fondato sull’appartenenza biologica, dall’antigiudaismo cristiano, basato invece sull’avversione alla religione ebraica, non si può non ammettere che il secondo ha costituito l’humus nel quale il primo ha potuto crescere e affermarsi.

Ricordare significa allora fare i conti con questo buco nero della coscienza europea, frutto marcio delle ideologie positiviste: si parla sempre tanto dei crimini della cristianità, ma si dimentica che i milioni di morti nei lager e nei gulag sono l’esito di ideologie pagane e anticristiane, il nazismo e il comunismo.

Ricordare significa guardare alla storia per capire innanzitutto come ciò sia potuto accadere, ma anche per valorizzare quegli bagliori di luce e di speranza che hanno illuminato le tenebre. Significa ricordare, accanto ai milioni di vittime, anche coloro che hanno messo in gioco la loro vita – e in molti casi l’hanno perduta – per accogliere, salvare, strappare dalla mano degli aguzzini uomini, donne e bambini innocenti.

A Roma, nella capitale della cristianità, su circa 750 case religiose presenti (475 femminili e 270 maschili) siamo in possesso di notizie certe e documentate sul fatto che almeno 220 femminili e almeno 70 maschili ospitarono per alcuni mesi degli ebrei, per un totale di circa 4.500. E soltanto la cecità di chi si ostina a considerare Pio XII un capro espiatorio può continuare a sostenere che tutto ciò sia avvenuto a insaputa del Papa e non con il suo consenso.

Far memoria significa ricordare il sacrificio di tutti i morti dei lager, nessuno escluso, anche se – ovviamente – è stato il popolo ebraico il principale bersaglio della follia sterminatrice, dell’intolleranza, dell’odio.

Colpisce, a questo proposito, la dimenticanza dell’Alta commissione per i diritti umani dell’Onu, che in un comunicato appena pubblicato per la Giornata della memoria, ricorda, oltre ai «milioni di uomini, donne e bambini ebrei», anche «le migliaia di altre vittime, inclusi i Rom, gli slavi, i disabili, gli omosessuali, i testimoni di Geova e altri dissidenti politici…». Ma non menziona il sacrificio dei cristiani (di tutte le confessioni) assassinati nei lager, come ad esempio il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer o la filosofa, e monaca carmelitana Edith Stein, o ancora i partigiani antinazisti della Rosa Bianca.

Nell’ora delle tenebre, ci furono persone che guardando al Dio crocifisso, a quel Gesù ebreo, figlio di una ragazza ebrea, e seppero testimoniare, spesso in modo eroico, la loro fedeltà al Vangelo. Delle luci flebili si accesero nel buio, per mostrarci che l’odio e la barbarie non avrebbero avuto l’ultima parola. Come quella di san Massimiliano Kolbe, il frate francescano che ad Auschwitz nel 1941 si offrì di morire nel bunker della morte al posto di un altro recluso, padre di famiglia.

Ricordiamo perché una tragedia come la Shoah non abbia mai più a ripetersi. Guardiamo a chi, salvando una vita umana, ha salvato il mondo intero.