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No vax sarà lei! Giudice mette in riga Repubblica

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Il giudice condanna una giornalista di Repubblica per aver dato del "no vax" a un togato che aveva assolto un'infermiera: Smontato l'assunto che chi non è vaccinato sia per forza "no vax", qualifica riconosciuta come denigrante. Così si fa giustizia di anni di offese sulla pelle di milioni di cittadini che sono stati demonizzati. 

Editoriali 03_05_2024

Attenzione ad apostrofare con facilità una persona come “no vax”: potreste incorrere nel reato di diffamazione e se l’appellativo è utilizzato da un giornalista all’interno di un articolo, allora potrebbe scattare anche l’aggravante di diffamazione a mezzo stampa. È questo il “succo” di una vicenda giudiziaria che si è conclusa in primo grado a Perugia e che ha visto opposti un giudice del lavoro della provincia di Viterbo e una giornalista di Repubblica.

Alla fine, il giudice ha dato ragione al collega togato, ma non per una questione di casta. Dopo la sentenza, infatti, nei giorni scorsi sono state rese note le motivazioni che hanno portato la giornalista di Repubblica a dover pagare una multa e ad essere condannata per il reato di diffamazione a mezzo stampa. E le motivazioni delineano un argomentare che mostra chiaramente come l’accusa di essere no vax sia passibile di denuncia perché rientra in quelle denigrazioni che, soprattutto se pronunciate per colpire un professionista nell’ambito dell’esercizio del suo lavoro, sono passibili di condanna.

I fatti. Lo scorso 29 febbraio il Tribunale penale di Perugia aveva condannato una giornalista di Repubblica per diffamazione aggravata commessa a danno di un magistrato definito “no vax” e fatto passare per un giudice parziale e ideologicamente orientato per aver fatto il proprio lavoro decidendo, nel 2021, di reintegrare in servizio una infermiera non vaccinata.

Per inquadrare la notizia, però, mancavano le motivazioni del giudice che puntualmente sono arrivate. A nulla è valsa la difesa della cronista che aveva difeso la verità del suo scritto. Infatti, sostenendo che il giudice non si era sottoposto al vaccino, la donna aveva abusato della sua professione perché si tratta di una informazione sensibilissima, che non poteva essere in possesso dell’imputata. Ma per giustificare la sua convinzione, aveva detto che il togato era solito accorpare le udienze al martedì e mercoledì proprio per poter sfruttare le 48 ore disponibili che la legge sul Green pass dava a chi si sottoponeva al tampone. In realtà, come poi dimostrato in giudizio, quella decisione era stata presa dal presidente del Tribunale per ragioni di efficientamento del lavoro degli uffici giudiziari, quindi avulsa da qualunque motivazione presa dal giudice. 

In giudizio, però, è stata dimostrata la falsità della qualifica di “persona di no vax” attribuita al magistrato. Ma soprattutto il giudice ha affermato un principio che, se applicato non solo ai pubblici ufficiali del tribunale, ma anche ad altre professioni – pensiamo ai medici e ai sanitari – potrebbe riscrivere letteralmente anni e anni di una caccia alle streghe nella quale bastava un’accusa di essere no vax per vedersi piombare addosso ogni sorta di offesa o pregiudizio.

Ebbene: «La persona non vaccinata non sempre coincide con una persona contraria alla vaccinazione».

Si tratta di un principio che è stato disatteso per tanti anni e che è costato la gogna a milioni di cittadini, i quali sono stati violati nella loro libertà e si sono visti anche addossare uno stigma negativo addosso.

A questo si aggiunge il fatto che il giudice perugino ha rimarcato il «il significato dispregiativo attribuito alle espressioni del comune sentire del momento di emergenza pandemica e, soprattutto, alla luce della definizione che la stessa testata giornalistica (Repubblica) alla quale appartiene l'imputata, aveva offerto della persona no vax»: figura demonizzata ideologicamente, contraria a qualsiasi forma di vaccinazione, con licenza media, disoccupata e con disagio abitativo.

Così, il Tribunale ha censurato l’addebito di una ideologia in base alla quale il magistrato avrebbe assunto la decisione per favorire una sanitaria “no vax” anch’ella: «si tratta di una illazione che getta discredito sulla figura del magistrato – ha scritto il togato - e che, dunque, non rende invocabile nel caso di specie la scriminante dell'esercizio del diritto di critica giudiziaria, prevista in generale dall'articolo 51 codice penale».

Dunque, la continenza narrativa, che è uno degli elementi per non essere accusati di diffamazione, è stata violata; anzi, nell’articolo c’erano espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, hanno trasmodato in una aggressione del magistrato».

Soddisfatto, e non poteva essere altrimenti, l’avvocato Angelo di Lorenzo, presidente di Ali (Avvocati Liberi) che ha commentato positivamente le motivazioni della sentenza: «Se è ammessa la critica innanzi a casi di negligenza e incapacità del magistrato, non lo è certamente ammessa laddove detta critica si incentri su accuse di partigianeria di matrice politica o ideologica - come l'essere no vax - e, quindi, attribuisca al magistrato un deficit di imparzialità e di indipendenza».

Un altro tassello verso il ristabilimento di un minimo di giustizia, che in pandemia è completamente saltata, calpestando la dignità di milioni di cittadini che si sono visti invece infamare e infangare solo perché non vaccinati, indipendentemente dai motivi che hanno portato a questa decisione.