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memoria liturgica

Nel pensiero di Duns Scoto è Dio l'obiettivo dell'umanità

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Conosciuto come il "dottor Sottile", la sua vasta opera non si limita al pur decisivo contributo sull'Immacolata Concezione. Per il beato francescano il fine del teologo è quello dell'uomo stesso: la beatitudine che scaturisce dal dialogo d'amore divino.

Ecclesia 08_11_2025

Il suo nome è legato in maniera indissolubile all’Immacolata Concezione. È il beato Giovanni Duns Scoto (1265/6 - 8 novembre 1308), il noto francescano di origine scozzese che alla teologia ha dedicato l’intera sua breve esistenza e del quale oggi ricorre la memoria liturgica. Una vita, la sua, contrassegnata fondamentalmente da tre città che rappresentano l’emblema del sapere: Oxford e Parigi prima di tutto, oltre a Colonia che entrò nella sua biografia nell’ultimo periodo della vita.

Scrittore prolifico, sopraffino teologo e studioso della Parola: non a caso è anche conosciuto con l’appellativo di “Dottor sottile”. Sottile come la sua scienza teologica e filosofica, sottile come la sua penna. Se di fronte si hanno le opere del beato francescano, è necessaria prima una premessa o precisazione se si vuole. Prima di tutto è importante precisare che la maggior parte delle opere sono legate alla sua più che decennale attività di insegnamento in filosofia e in teologia. Sono opere che, in una certa misura, sono difficili da catalogare, quindi. Opere che ancora oggi sono oggetto di studio e approfondimento della Commissione scotista, organo deputato all’analisi della sua vasta produzione letteraria-teologica. Per questo motivo, solo negli ultimi decenni il progresso delle ricerche è riuscito ad approfondire, ad esempio, il corso di composizione delle opere stesse. Ciò che, infatti, rimane ancora indagine di studio è la collocazione storica delle pagine scotiste. Ma non solo: perché Scoto, in una certa misura, rimane un teologo ancora tutto da scoprire e da approfondire.

Le più importanti tra le opere di Scoto sono: la Lectura; l'Ordinatio, che può considerarsi un approfondimento della Lectura da parte dello stesso autore; e poi ci sono i Reportata Parisiensia, collegati alla sua esperienza di professore a Parigi. Ma non solo: abbiamo poi le Quaestiones quodlibetales; il De primo principio, trattato sulla natura e l'esistenza di Dio, e i Theoremata. Come si comprende, dunque, le pagine non sono poche e così i temi trattati. Un pensiero, quello di Scoto, vasto e assai interessante che – è importante ricordarlo – non si esaurisce, quindi, nella sola “teologia mariana” di cui, sicuramente, fu importante esponente. Il pensiero di Scoto è ancora più vasto e a distanza di secoli ancora riesce a fornire diversi frutti nella ricerca filosofica e teologica. Forse, proprio ciò è una determinante della sua produzione e della sua scienza che non può essere collocata solamente nel 1300. Sarebbe troppo riduttivo. Il sapere scotista, infatti, travalica il tempo e giunge con la stessa forza di ieri nel nostro oggi.

I temi: molti, si sottolineava prima. Primo fra tutti il rapporto tra metafisica e teologia. In Scoto la visione del mondo può essere posta a partire da due visioni diverse. Dal punto di vista della filosofia greca o dal punto di vista teologico. Per il teologo – secondo Scoto –  che si basa inevitabilmente sulla fede, il mondo può dipendere unicamente dalla volontà creatrice di Dio. Tra filosofia e teologia è difficile il dialogo perché la concezione del mondo è diversa per ognuno. E proprio per via di questo scontro tra questi due poli del sapere è necessaria, allora, una “terza” scienza: è la metafisica, cerniera fra le due. In questa ottica, allora, il compito del teologo si fonda sulla determinazione del fine da raggiungere: è il fine a cui tende lo stesso uomo, cioè la beatitudine che, per chi crede, vuol dire essere profondamente in relazione con Dio.

Altro tema, la conoscenza. Riguardo questa, abbiamo una spiegazione esauriente e al contempo di facile lettura nel prezioso volume Storia della filosofia francescana di José Antonio Merino (Edizioni Biblioteca Francecana, Milano, 1993): «L’uomo è un essere aperto alla relazione con il mondo esterno. Si trova necessariamente con le cose. Un modo singolare per incontrarsi e mettersi in relazione è la conoscenza che, come un fatto primario dell’esistenza umana, risulta estremamente complesso poiché in esso si racchiudono elementi sensoriali, psicologici, logici ed ontologici. L’animazione del soggetto con l’oggetto nel campo della conoscenza non è diretta, ma si realizza attraverso la mediazione del concetto, la cui opera è continuamente messa in discussione da diversi sistemi che si succedono. Se il problema gnoseologico e già di per sé complicato, la difficoltà aumenta nel pensiero incompiuto di Scoto. Nei suoi scritti abbondano i riferimenti ai sensi corporali, al senso comune, all’immaginazione, e  la capacità dello stesso intelletto, ma essi non vengono offerti in una visione unitaria e conclusiva, bensì frammentaria e puramente indicativa. Vi è in Scoto un influsso e un’incidenza di elementi psicologici, poetici, metafisici e teologici che presentano il fenomeno della conoscenza non solo come si dà di fatto ma anche nella sua radicale possibilità ed ultimità». La citazione, seppur certamente non breve, riesce a farci comprendere cosa volesse dire per Scoto l’intelletto umano e la conoscenza: una conoscenza legata alla ricerca di Dio. Questo, il desiderio dell’uomo e del teologo.

E per conoscere Dio, Scoto mostra al fedele, nel Tractatus de primo Principio, che ci si deve basare su un «primo principio» racchiuso in tre verbi: credere, gustare ed esprimere. Il principio è fondamentale per Scoto. Lo dichiara già nel suo trattato dal titolo Ordinatio: «A chiunque agisca consapevolmente è necessaria una conoscenza distinta del proprio fine. Questa affermazione la provo dicendo che chiunque agisca per un fine agisce a causa del desiderio di esso; chiunque agisca di per sé agisce per un fine; quindi chiunque agisca di per sé desidera il fine a modo suo. Quindi, come a quanto agisce naturalmente è necessario il desiderio del fine per il quale deve agire». I tre verbi che annovera nel suo Tractatus de primo Principio (credere, gustare ed esprimere) hanno poi bisogno di un altro verbo che potrebbe definirsi sintesi dei tre: innalzare perché per il teologo francescano è fondamentale «innalzare le nostre menti alla contemplazione» di Dio, così scrive sempre nel suo Tractatus. E assieme a questi, c’è un altro verbo, importantissimo: amare. In sintesi per Scoto: il Signore desidera che l’uomo sia unito a sé in una sorta di dialogo d’amore. Un amore che certamente non è  prodotto dell’intelletto. In realtà è scelta nella vita di ogni uomo. Ciò, per Scoto, è espressione massima di quelle che sono le capacità di ogni uomo: e in queste capacità di amare è possibile rispecchiarsi nell’immagine di Dio. Dio è, dunque, è al centro di tutto ed è l’obiettivo dell’umanità.

Ultimo tema, non per importanza: l’infinitezza di Dio. Infinito perché infinito il suo amore. Per il teologo francescano l’aggettivo più appropriato a Dio è proprio “infinito”: non catalogabile per la mente umana, difficile da racchiudere in “qualcosa” di finito. Infinito come tra l’altro sono infinite le sue perfezioni.  Ed è questo carattere così difficile da catalogare sotto gli aspetti umani che rende ancora più profonda la ricerca di Dio per l’essere umano: la mente deve innalzarsi affinché possa contemplare questa infinitezza così affascinante.



IL BEATO

Duns Scoto, il teologo dell’Amore (ordinato) di Dio

08_11_2022 Antonio Tarallo

Noto con l’appellativo di Doctor Subtilis, Giovanni Duns Scoto ha dato un contributo fondamentale al riconoscimento dell’Immacolata Concezione. Ma nella sua opera teologica ha affrontato molteplici altri temi, mostrando che il fine dell’uomo è innalzarsi alla contemplazione di Dio.

VOLUTA DALL’ETERNITÀ

Immacolata Concezione, da Duns Scoto la spiegazione decisiva

Il dogma dell’Immacolata Concezione fu solennemente proclamato dal beato Pio IX l’8 dicembre 1854, dopo secoli di devozione popolare, dispute e approfondimenti teologici. Fondamentale si rivelò il contributo del francescano Duns Scoto (†1308), che seppe superare la principale obiezione all’esenzione di Maria Santissima dal peccato originale fin dall’istante del concepimento. E vi riuscì con un argomento geniale.