Iraq, una democrazia che non funziona si prepara al voto
Una babele di piccoli partiti si presenta per il voto del prossimo 11 novembre in Iraq. Il potente chierico sciita al-Sadr boicotta le elezioni, il Kurdistan è nelle mani di due partiti. Intervista al politologo Darin Mira.
L’11 novembre in Iraq si terranno le seste elezioni parlamentari dalla cacciata di Saddam Hussein nel 2003. Per la sesta volta gli iracheni saranno chiamati ad eleggere i 329 deputati che costituiscono l’assemblea parlamentare; a più di vent’anni dalla fine della dittatura, però, la democratizzazione del Paese stenta a decollare. Come è stato sottolineato, sembra che il processo democratico in Iraq abbia avuto l’effetto di moltiplicare le figure autoritarie, passando da uno a “diecimila Saddam”.
Stavolta il fronte sciita al potere è fortemente spaccato al suo interno: il primo ministro in carica, al Sudani, corre con la Coalizione per la ricostruzione e lo sviluppo, mentre il potente guru Muqtada al Sadr e i suoi non si presenteranno e una terza corrente di partiti sciiti si presenterà con la denominazione "Il quadro di riferimento".
Nell’imminenza del voto, il Patriarca dei Caldei Cardinal Louis Sako ha più volte invitato i connazionali a recarsi in massa alle urne e a votare secondo coscienza candidati «noti per integrità e onestà, che rispettano il pluralismo e la diversità etno-religiosa che caratterizzano l’Iraq e che credono nella sovranità, nel progresso e nella stabilità del Paese», sottolineando che il voto è una responsabilità morale e può portare a un cambiamento positivo della nazione.
Per capire quale importanza rivesta in Iraq l’imminente tornata elettorale La Nuova Bussola Quotidiana ha parlato con Darin Mira, giornalista e analista politico curdo-iraqeno.
Dottor Mira, che Parlamento uscirà dalle elezioni irachene?
La mia previsione è che il risultato delle prossime elezioni sarà più o meno lo stesso delle elezioni precedenti: in Iraq le elezioni suggellano formalmente una divisione del potere stabilita prima ancora che la campagna elettorale abbia inizio. Questo non a causa di brogli, ma perché la popolazione irachena vota a sentimento: ognuno ha le proprie affiliazioni, che non cambieranno neanche con le prossime elezioni. Stavolta però sarà interessante notare come sarà riempito il vuoto lasciato da Muqtada al-Sadr, il leader sciita che ha deciso di boicottare le elezioni. Il partito sadrista fu il grande vincitore della scorsa tornata elettorale, con 73 seggi su un totale di 329, e la decisione di Sadr di astenersi dalle elezioni dell’11 novembre permette agli altri partiti sciiti di raggiungere potenzialmente risultati senza precedenti. Oltre alla Coalizione di al Sudani correrà anche "Il Quadro di riferimento", un cartello di partiti sciiti al potere che hanno deciso partecipare alle elezioni separatamente, con l’idea di ricompattarsi dopo le elezioni. Perciò credo che l’aspetto più interessante di questa tornata non saranno le elezioni in sé, ma piuttosto come il partito sadrista reagirà ad essere escluso dal governo: Sadr gode di grandissima influenza in Iraq e se i risultati non gli converranno c'è un'alta probabilità di proteste, scontri e agitazioni in tutto il Paese. Inoltre sarà da vedere se gli elementi del Quadro di riferimento terranno fede alla volontà di riunirsi dopo il voto o se invece si esaspereranno le divisioni e scoppierà il caos. Infine, sarà interessante verificare se il calo dell’influenza iraniana sulla regione condizionerà l’esito del voto, cosa che ritengo probabile.
Il Patriarca dei Caldei, Cardinal Sako, ha lamentato che la quota di seggi riservata ai cristiani è tuttora controllata da partiti di altre confessioni religiose, sottolineando la mancanza di una rappresentanza politica equa per le minoranze. Può spiegare la questione?
Su 329 seggi, nel Parlamento iracheno, 9 sono riservati alle minoranze religiose, di cui 5 ai cristiani. Questo sistema di quote, però, viene sfruttato da anni dai partiti maggiori che cooptano candidati dalle varie comunità per assicurarsi più voti. I candidati eletti devono poi attenersi alle direttive dei partiti e raramente fanno gli interessi delle comunità che dovrebbero rappresentare. Un esempio di questo fenomeno è la strumentalizzazione dell’elettorato cristiano da parte di Ryan il caldeo, sedicente leader cristiano delle Brigate Babilonia, una formazione filo-iraniana. Allo stesso tempo, però, è poco probabile che arrivino ad essere eletti candidati indipendenti che corrono da soli, perché mancano del supporto finanziario e delle risorse di cui invece dispongono i candidati dei partiti maggiori.
Come si delinea il voto nella regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno?
I partiti curdi, soprattutto i due al governo, il Partito democratico del Kurdistan (KDP) che governa a Erbil, e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) con roccaforte a Sulaiymaniya, hanno un rapporto molto turbolento tra loro, specialmente negli ultimi anni. La loro incapacità di formare un governo nella regione del Kurdistan più di un anno dopo le elezioni amministrative del 20 ottobre 2024 ha evidenziato divisioni e scontri. Malgrado tutto, credo che entrambi i partiti si aspettino di ricevere un numero di voti simile alle precedenti elezioni, tanto più che nei mesi scorsi in Kurdistan c'è stata una grave repressione dei partiti di opposizione. Lo scorso agosto le forze del PUK hanno arrestato a Sulaiymaniya i leader dei due maggiori partiti di opposizione, e ciò spingerà probabilmente gli elettori a non votare per questi ultimi, accrescendo così le chances del KDP e del PUK di accumulare ancora più voti. Inoltre, il numero crescente di partiti di opposizione, in Kurdistan, potrebbe giocare a favore del KDP e del PUK che hanno un seguito ben consolidato, mentre le decine di formazioni di opposizione sono piccole e divise e non riusciranno ad esercitare nessuna influenza.
Come sintetizzerebbe il processo elettorale in Iraq?
Come accennavo poco fa, il principale problema delle elezioni in Iraq è che i risultati usciti dalle urne non hanno mai rispecchiato fedelmente le reali intenzioni di voto degli elettori, e non credo cominceranno a farlo ora. Sempre più persone, specialmente i giovani, hanno perso fiducia nel processo democratico perché sentono che niente cambia, e questo è un fatto inoppugnabile. Le elezioni imminenti potrebbero avere uno dei tassi di affluenza più bassi di sempre; personalmente non voterò, e non conosco molte persone che lo faranno.

