Trump bombarda i jihadisti in Nigeria. Un monito per Boko Haram e Stato Islamico
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Raid missilistico americano contro un gruppo jihadista, Lakurawa, nel nord ovest della Nigeria, con la collaborazione del governo. Dichiaratamente il raid è stato lanciato per proteggere i cristiani perseguitati. Ma i Lakurawa colpiscono soprattutto altri musulmani meno radicali. È comunque un messaggio forte anche contro Iswap e Boko Haram, i veri flagelli del paese.
Nel giorno di Natale il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dato seguito alle sue minacce di intervenire personalmente in aiuto ai cristiani perseguitati in Nigeria dal jihad e ha ordinato di bombardare le basi dell’Isis nel Sokoto, uno stato della Nigeria nord occidentale, situate nel nord dello Stato, al confine con il Niger. All’inizio di dicembre degli aerei statunitensi avevano già eseguito missioni di perlustrazione sulla regione, servendosi a quanto pare di un aeroporto del vicino Ghana come base.
«Questa sera – ha dichiarato il presidente sulle reti social – su mia indicazione in qualità di comandante in capo, gli Stati Uniti hanno lanciato un potente e letale attacco contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord ovest della Nigeria, che ha preso di mira e brutalmente ucciso principalmente dei cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni e persino da secoli. Avevo già avvertito questi terroristi che, se non avessero smesso di massacrare i cristiani, ne avrebbero pagato le conseguenze, e questa sera è stato così. Il Dipartimento della guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica i nostri militari e buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, ce ne saranno molti altri se continueranno il loro massacro di cristiani».
Il ministero degli esteri nigeriano ha diramato a sua volta un comunicato in cui spiega che gli attacchi Usa sono stati effettuati nell’ambito della cooperazione con gli Stati Uniti in materia di sicurezza che prevede la condivisione di attività di intelligence e il coordinamento strategico per colpire i gruppi jihadisti: «il risultato sono gli attacchi che oggi hanno raggiunto con precisione obiettivi terroristici nel nord ovest». Ma gli obiettivi colpiti sono le basi operative di un piccolo gruppo armato, i Lakurawa, che secondo le autorità nigeriane è affiliato all’Issp, la Provincia del Sahel dello Stato Islamico. Non si tratta dunque dell’Iswap, la Provincia dell’Africa occidentale dello Stato Islamico, e neanche di Boko Haram, il gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda, che hanno le loro roccaforti nel nord est della Nigeria, attivi soprattutto nello stato nord orientale del Borno e oltre confine, in Camerun e nel bacino del lago Chad dove l’Iswap ha creato una sua enclave che controlla e amministra. Sono questi due gruppi jihadisti e, nella fascia centrale del paese, le bande armate di giovani di etnia Fulani a perseguitare i cristiani per realizzare non tanto un piano genocida, come sostiene il presidente Trump, quanto piuttosto un piano di pulizia etnica: liberare la metà settentrionale della Nigeria, musulmana, dalla presenza dei cristiani, indurli a emigrare nel sud del paese dove vive la maggior parte dei cristiani.
Nel Borno i cristiani sono il 10-15% della popolazione, nel Sokoto sono ancora meno, solo il 10%. I Lakurawa in effetti non si accaniscono su di loro, dal momento che nei territori dello Stato confinanti con il Niger i cristiani sono quasi inesistenti. Costituitisi meno di dieci anni fa per autodifesa contro i razziatori di bestiame e i malviventi, esasperati per l’assenza di protezione da parte delle autorità governative, i Lakurawa con il tempo si sono radicalizzati, hanno stabilito rapporti con i gruppi jihadisti che infestano il Sahel e, come loro, impongono la loro versione radicale di islam ai musulmani che vivono nei villaggi su cui riescono a stabilire un controllo. Quelli che non si adeguano e non si assoggettano subiscono minacce e aggressioni. A quelli che obbediscono e collaborano offrono denaro, attrezzature agricole, sementi e protezione. Arruolano i giovani non tanto, o non solo, convincendoli a combattere la guerra santa, per conquistare all’islam nuove terre e popoli, quanto con la allettante prospettiva di uno stipendio.
Tuttavia si ritiene che in tutto siano poche centinaia, forse circa 200, inclusi quelli attivi nel vicino stato del Kebbi. Proprio perché sono pochi, insediati in territori circoscritti e attivi in un raggio d’azione limitato, ma in contatto con altri, più temibili gruppi jihadisti della regione, aver colpito loro, e duramente, può essere stata una scelta accorta. Può costringerli a sospendere le azioni e forse a rifugiarsi temporaneamente oltre confine, liberando il Sokoto della loro presenza almeno per un po’. Non sono loro la maggiore minaccia ai cristiani nigeriani, ma l’azione Usa, al di là dei risultati immediati, può essere di monito per Boko Haram e Iswap, soprattutto nel senso di indicare una svolta non tanto da parte dell’amministrazione Usa quanto del governo nigeriano, che peraltro disporrebbe di risorse e mezzi sufficienti a combattere jihad, criminalità organizzata e delinquenza comune senza bisogno di ricorrere ad aiuti stranieri se il paese non avesse dilapidato un immenso patrimonio in denaro e uomini: prima, dall’indipendenza ottenuta nel 1960 al 2000, per colpa di un susseguirsi di dittature militari, e poi, fino a oggi, per l’inerzia di governi civili troppo inquinati da corruzione, tribalismo e clientelismo.

