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IL CASO

Mons. Olmsted "sbattezza" l'ospedale abortista

L'American Civil Liberties Union,
il "sindacato" del laicismo", sogna
una Chiesa che non sia se stessa.

Attualità 28_12_2010
Mons. Thomas J. Olmsted, vescovo di Phoenix, Arizona

 

Si chiama American Civil Liberties Union (ACLU), si presenta come un “sindacato” a favore degli “ultimi” e degli “esclusi”, ma tutti sanno che si tratta di uno dei bracci più intransigenti del laicismo statunitense. Settimana scorsa ha spedito una lettera ai funzionari del ministero della Sanità per chiedere che il governo federale costringa ? così scrive su National Review Online Michelle Malkin, la popolarissima star del blogging conservatore statunitense ? gli ospedali cattolici del Paese a violare il proprio impegno di coscienza a favore della vita nascente. L’ACLU chiede infatti che vengano avviate indagini ufficiali sulle istituzioni sanitarie cattoliche americane che “ancora” si rifiutano di fornire contraccettivi e di praticare aborti nei casi di “emergenza”. Ovvero tutti, visto che per chi li richiede contraccezione e aborto sono comunque sempre, in un mondo o nell’altro, di “emergenza”.

A scatenare la reazione dell’ACLU è stato il vescovo cattolico di Phoenix, in Arizona, monsignor Thomas J. Olmsted, ben noto per avere pubblicamente condannato, il 10 marzo 2009, la decisione del presidente Barack Obama di eliminare le restrizioni di legge poste da George W. Bush jr. al finanziamento con denaro statale delle ricerche (definite «omicide» dal presule) sulle cellule staminali embrionali.

Il 21 dicembre mons. Olmsted ha revocato lo status di “cattolico”, rescindendo ogni legame fra la struttura e la sua diocesi, a un ospedale il cui personale ha praticato diverse interruzioni volontarie di gravidanze, ha distribuito pillole anticoncezionali e ha fornito interventi di sterilizzazione, ovvero ha operato con modalità palesemente incompatibili con il riferimento positivo a quella Chiesa Cattolica a cui detta struttura pur si richiamava.

La legge che negli Stati Uniti impone agli ospedali di praticare obbligatoriamente interventi abortivi in casi di emergenza data dal 1986, ma sin da allora non vi è mai stata amministrazione alcuna, né di destra né di sinistra, che abbia preteso di scavalcare le norme che garantiscono al personale medico e paramedico la possibilità dell’obiezione di coscienza, altrettanto tutelata dalla legge federale.

Di passaggio è del resto opportuno ricordare ? come fa la Malkin ? che, in base ai dati raccolti dalla Catholic Health Association, con 540mila impiegati a tempo pieno e 240mila part-time, le strutture cattoliche di assistenza medica americane costituiscono oggi il capitolo più vasto nel settore dei servizi sanitari non-profit di tutto il Paese, prendendosi in carico un paziente su sei e coprendo il 15% del fabbisogno nazionale dei letti ospedalieri. È per questo che una iniziativa come quella dell’ACLU risulta davvero pericolosa.

Il rasoio ideologico che delle strutture mediche cattoliche prevede infatti l’omologazione, con conseguente cancellazione di quelle specificità che avvantaggiano la popolazione tutta, o magari persino la chiusura dei loro battenti, sottrarrebbe al Paese una risorsa enorme di gratuità e di servizi autentici alla persona, manderebbe in fumo un numero inverosimile di posti di lavoro in un momento storico assai delicato sul piano economico e comporterebbe una impennata senza pari del numero dei già troppi aborti americani. Insomma, sarebbe una vera e propria follia che il Paese non può permettersi.