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SUD AMERICA

Missionari rapiti e fuggiti in una Haiti in preda al caos

Il 16 ottobre, ad Haiti, erano stati rapiti missionari statunitensi di Christian Aid e un gruppo di persone da loro assistite. Si temeva per la loro sorte, era stato chiesto un milione di dollari di riscatto. Fuggiti, in modo rocambolesco, ora sono al sicuro. Haiti è in mano alle bande armate. Proprio per questo i missionari ci vanno.

Libertà religiosa 23_12_2021
Conferenza di Christian Aid dopo la liberazione degli ostaggi

Il 16 ottobre ad Haiti dei missionari cristiani statunitensi  erano stati rapiti insieme ad alcuni famigliari – in tutto 17 persone tra cui cinque bambini – mentre a bordo di un autobus tornavano da una visita a un orfanotrofio. Per il loro rilascio era stato chiesto un riscatto di un milione di dollari. Due erano stati liberati a novembre e altri tre all’inizio di dicembre. Si temeva per la sorte degli altri 12.

È dunque con grande sollievo che il 21 dicembre si è appreso che sono riusciti a fuggire e che adesso anche loro sono al sicuro in Florida. Christian Aid Ministries, la onlus di cui fanno parte, ha raccontato che sono scappati di notte, eludendo la sorveglianza dei sequestratori. “Quando hanno capito che era il momento giusto per tentare la fuga – ha spiegato il portavoce dell’onlus, Weston Showalter – sono riusciti ad aprire la porta che era bloccata e senza far rumore si sono allontanati. Hanno camminato per ore nella fitta boscaglia dirigendosi verso una montagna che avevano visto nei giorni precedenti e orientandosi con le costellazioni per capire in che direzione andare”. Del gruppo facevano parte un bambino di dieci mesi, uno di tre anni e due ragazzini di 14 e 15 anni. Il neonato lo avevano avvolto in un indumento per proteggerlo dai rovi spinosi. Gli adulti hanno raccomandato ai bambini di non fare rumore, di non parlare finché si trovavano nel territorio controllato dal gruppo armato che li aveva rapiti. Verso l’alba hanno incontrato una persona con un cellulare che li ha aiutati a chiamare le autorità.

A rapire i missionari è stata una delle bande armate, almeno 76 del tutto fuori controllo che infestano l’isola: la 400 Mazowo. I sequestri di persona a scopo di estorsione sono una delle principali attività con cui si finanzia. Lo scorso 11 aprile aveva rapito cinque sacerdoti, due suore e i genitori di uno dei sacerdoti, padre Jean Arnel Joseph, che si stavano recando presso la parrocchia di Galette-Chambon, nella città di Croix-des-Bouquets che si trova vicino alla capitale Port-au-Prince, per partecipare all’insediamento di padre Joseph come parroco. Anche in quel caso per il loro rilascio era stata chiesta una ingente somma di denaro. Per protesta, la Chiesa cattolica aveva sospeso dal 21 al 23 aprile le attività di tutti i propri enti e organismi, scuole e università incluse. In quei tre giorni per la liberazione dei religiosi e dei loro parenti sono state celebrate messe di preghiera e il 23 aprile, a mezzogiorno, le campane di tutte le chiese del paese hanno suonato. Un comunicato della Conferenza dei vescovi cattolici, diffuso alla vigilia della protesta, nel deplorare l’accaduto aveva assicurato che nessun progetto missionario sarebbe stato interrotto nonostante la violenza e l’illegalità crescenti: “noi non siamo gente che scappa – aveva commentato padre Paul Dossous, superiore generale della Società dei sacerdoti di Saint-Jacques – no, anche se abbiamo paura come tutti gli esseri umani”.

Haiti è uno degli stati al mondo in cui si verificano più rapimenti. Da gennaio 2021 a ottobre sono stati quasi 800, con un incremento a partire da luglio, dopo l’uccisione del presidente della repubblica Jovenel Moise. Le bande rivali combattono per il controllo del paese quasi incontrastate da un apparato di sicurezza in pezzi. Gran parte della capitale Port-au-Prince e dei suoi dintorni sono in mano a bande armate. Il rapimento di religiosi sembra indicare una preoccupante evoluzione delle attività criminali sia per la scelta  delle vittime, dei religiosi che dedicano la vita ad alleviare le sofferenza della popolazione, sia per l’ammontare ingente dei riscatti chiesti. In un comunicato, monsignor Max Leroy Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince, ha descritto la situazione nell’isola come una “discesa agli inferi della società haitiana”.

La Christian Aid Ministries fondata nel 1981, da 30 anni presta assistenza e dà rifugio agli haitiani in difficoltà, in particolare ai bambini, distribuisce cibo, abiti e medicinali, contribuisce a finanziare l’istruzione dei bambini, aiuta anziani, vedove e disabili, partecipa alla ricostruzione delle case distrutte o danneggiate dai terremoti (l’ultimo si è verificato ad agosto e ha fatto circa 2mila morti, ma il peggiore, dal quale il paese non si è mai ripreso, risale al 2010 e ha causato 230mila morti). Nel comunicato diffuso dopo il ritorno a casa dei 12 missionari rapiti dalla 400 Mazowo, i responsabili della onlus dichiarano di perdonare i rapitori sull’esempio di Gesù: “Crediamo che la violenza e l’oppressione inflitte agli altri non possano mai essere giustificate. Ma Gesù ci ha insegnato con le parole e con l’esempio che il potere dell’amore che perdona è più forte dell’odio della forza violenta”. E, a proposito dei loro colleghi rapiti, “sapevano che Haiti è pericolosa? – dicono – si, lo sapevano, ma noi andiamo in luoghi pericolosi in molte parti del mondo. Perché? Perchè di norma sono anche i luoghi in cui c’è più bisogno. Ed è quello che Christian Aid Ministries fa da decenni. Se fossimo andati soltanto dove è sicuro, allora saremmo rimasti a casa. Prendiamo delle precauzioni per la nostra sicurezza, ma apprezziamo la volontà dei nostri collaboratori di operare anche in luoghi pericolosi”.

È lo stesso spirito che anima migliaia di missionari che in tutto il mondo portano una testimonianza evangelica di misericordia, prossimità e fraternità, come segno di speranza cristiana, disposti a mettere a rischio la vita con la scelta di condividere disagi e insidie di chi vive in situazioni di degrado materiale e morale, consapevoli di poter essere vittime persino delle stesse persone di cui si prendono cura. Nel 2020 questa scelta è costata la vita a otto sacerdoti, un religioso, tre religiose, due seminaristi e sei laici.