Missili su Israele, mentre Gaza è al collasso umanitario
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L'attacco iraniano semina angoscia tra gli israeliani e mostra le prime crepe nel sistema di difesa. Intanto prosegue l’aggressione sulla Striscia, mediaticamente silenziata dall’estendersi del conflitto: chi non muore sotto le bombe, muore per fame.

Sbarrati i negozi e le attività commerciali, sia a Tel Aviv che ad Haifa. Chiusi anche gli uffici pubblici, comprese scuole e università. Vietati i raduni e le funzioni religiose. Chiuso anche l’aeroporto Ben Gurion. I missili che arrivano dall’Iran fanno paura e la “cupola di ferro”, il sistema di difesa antimissili che dovrebbe proteggere i cittadini dal lancio dei razzi inizia a mostrare le prime crepe.
L’elenco dei morti e dei feriti si allunga. Governo e forze armate rassicurano i cittadini, convincendoli che si tratta di un periodo transitorio. Gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere al loro fianco e la cosa li rincuora.
Sui loro volti, però, serpeggia un misto di angoscia, scoramento e impotenza. Nonostante il pericolo, si tenta di sdrammatizzare: le foto da inviare ad amici o parenti non mancano. Ci si fotografa anche quando si corre dentro i rifugi. E se anche i sistemi di difesa non sono impenetrabili, non si è disposti a gettare la spugna.
Ieri mattina, le sirene hanno suonato in tutto il Paese per circa mezz’ora. Almeno sei missili hanno “bucato” il sistema protettivo e sono entrati in territorio israeliano: tre sono stati abbattuti, gli altri sono caduti in varie località. Sono scoppiati incendi a Safed e in Galilea, così come ad Ashdod e Ashkelon, nel sud d’Israele. Uno degli impianti strategici della Israel Electric Corporation, in un distretto meridionale del Paese, è stato colpito, provocando l’interruzione nella fornitura di energia elettrica.
Haifa è una “sorvegliata speciale”. Sono numerose le postazioni e installazioni militari per vigilare il vicino Libano. A Ramat Aviv, un quartiere nordoccidentale dell’omonima città, due edifici sono stati colpiti. Nelle vicinanze ci sono gli uffici dei portavoce dell’Idf, l’esercito israeliano. Un missile sfuggito al sistema di difesa è caduto nelle vicinanze di un centro in cui vengono fatte delle ricerche a scopo militare. «Le case qui sono state colpite molto duramente», ha dichiarato il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai. «Chi si trovava nei rifugi è sano e salvo. I danni sono consistenti, ma in termini di vite umane, stiamo bene».
Il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu, naviga a gonfie vele. In particolare, lo stesso primo ministro, che secondo recenti sondaggi, era dato per spacciato dopo il 7 ottobre 2023, oggi gode del recupero di un consenso diffuso, davanti a Naftali Bennett (Nuova Destra), che da mesi era il suo incubo e che minacciava di strappargli i voti dell’area di centro-destra. Ora Israele è con lui. Non solo: tutti gli avversari, che per mesi l’hanno criticato mettendo sotto accusa qualsiasi sua scelta su Gaza, oggi, sono ridotti al silenzio.
In questo cupo scenario di allargamento della guerra, l’aggressione sulla Striscia continua senza sosta. Mediaticamente, però, viene ignorata. L’unica notizia apparsa ieri sui mezzi di comunicazione israeliani è quella del recupero dei corpi di tre ostaggi che erano stati uccisi il 7 ottobre. Nulla sulle tre persone uccise nel bombardamento di un edificio nel campo di Nuseirat e sui 22, feriti mentre attendevano un mezzo degli aiuti umanitari. Nelle ultime 24 ore sono arrivati nelle strutture sanitarie che fungono da ospedali nella Striscia, 39 persone uccise e 317 feriti. Il numero totale dei morti e feriti dal 18 marzo scorso, dopo la violazione dell’accordo di cessate il fuoco da parte di Israele, ha raggiunto quota 5.685 morti, mentre i feriti sono 19.518.
Gaza è ormai al collasso umanitario. Chi non muore sotto le bombe, muore per fame. «Israele ha trasformato i "centri di distribuzione degli aiuti" in "trappole mortali" e li sta usando per ricatti e umiliazioni», ha dichiarato il dott. Abd Rabbuh Al-Anzi, raggiunto telefonicamente. «Oltre due milioni di cittadini della Striscia stanno vivendo una catastrofe dalle molteplici sfaccettature. Una calamità che non ha precedenti e che si sta consumando davanti agli occhi di tutto il mondo. Ciò che sta accadendo a Gaza non è uno scontro tra due fazioni nemiche, piuttosto un progetto studiato e ben orchestrato», ha aggiunto Abd Rabbuh Al-Anzi, «per ammazzare il maggior numero di civili possibile e costringere quelli che rimangono in vita a fuggire per non ritornarvi più».
Ieri a Gerusalemme, per il secondo giorno consecutivo, l’esercito israeliano ha chiuso la moschea di Al-Aqsa. Un’iniziativa dai molti lati oscuri, anche perché, nel corso della serata, un gruppo di militari israeliani ha preso d’assalto la vecchia sala di preghiera della moschea saccheggiandone il contenuto, dopo aver forzato la cassaforte. Quattro guardie del luogo sacro ai musulmani sono state tratte in arresto. Fonti locali hanno riportato che lunedì scorso, le ruspe israeliane, sotto lo sguardo attento dei soldati, hanno demolito un muro nella città di Beit Hanina e hanno fatto irruzione nelle case del quartiere At-Tur di Gerusalemme.
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