Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Atanasio a cura di Ermes Dovico
CENTRODESTRA

Liti, vendette e tradimenti, Forza Italia allo sbando

Le voci di una nuova diaspora di parlamentari da Forza Italia si rincorrono in modo insistente. Forse proprio per queste ragioni ieri i due capigruppo azzurri alla Camera, Renato Brunetta, e al Senato, Paolo Romani si sono affrettati a diffondere una nota congiunta con un rinnovato appello all’unità interna.

Politica 22_12_2015
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera

Le voci di una nuova diaspora di parlamentari da Forza Italia si rincorrono in modo insistente. Forse proprio per queste ragioni ieri i due capigruppo azzurri alla Camera, Renato Brunetta, e al Senato, Paolo Romani si sono affrettati a diffondere una nota congiunta con un rinnovato appello all’unità interna. Appaiono ancora evidenti le cicatrici provocate dall’accordo tra Pd e Movimento Cinque Stelle sulla nomina dei tre giudici costituzionali e dall’atteggiamento “pilatesco” del partito in occasione della votazione sulla mozione di sfiducia individuale alla ministra Maria Elena Boschi.

Il disagio a Montecitorio e a Palazzo Madama serpeggia in modo vistoso. Si fa fatica a decifrare l’atteggiamento ondivago di Berlusconi, che a parole grida al regime renziano, ma si astiene dall’infierire contro il governo tutte le volte in cui ne ha la possibilità. Nel “salvataggio” della ministra le truppe azzurre non sono state determinanti, ma è evidente che un voto contrario di Forza Italia avrebbe contribuito a consolidare l’asse con la Lega, che, non a caso, ha parlato di alleanza a rischio se i berlusconiani dovessero continuare a fornire paracaduti al governo. L’aria che si respira è da “cupio dissolvi”. L’ex Cavaliere pare disinteressato ormai alle sorti del suo partito e, al di là dei proclami ufficiali, si rende ben conto che questo centrodestra, così com’è, non può più vincere.

Fino alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi, nel 2011, chi si staccava da Forza Italia si condannava a un rapido declino politico e all’irrilevanza numerica e sostanziale. A distanza di quattro anni, la situazione si è ribaltata: l’unico modo per sopravvivere all’incombente dissoluzione del centrodestra sembra essere diventato quello di uscire da Forza Italia. Lo ha capito nel 2013 Angelino Alfano, dando vita a un partito che, pur non raggiungendo percentuali a due cifre, si è reso indispensabile come forza di governo. Lo ha compreso, quest’anno, Raffaele Fitto, creando “Conservatori e riformisti”, una formazione che guarda al bipolarismo inglese. Ultima emorragia, in ordine di tempo, quella ispirata da Denis Verdini, che si appresta, a quanto è dato sapere, ad accogliere nuovi parlamentari in uscita da Forza Italia.

Alfano, Fitto e Verdini sono accomunati dal rifiuto di un centrodestra a trazione leghista, ma al momento non sono destinati a compattarsi né a federarsi. Le elezioni politiche sono lontane e non avrebbe senso oggi ragionare su un nuovo cartello di forze moderate. Tanto più che le divisioni tra i tre sono ancora profonde. Mentre Alfano fa parte organicamente del governo e i  suoi circa settanta parlamentari appoggiano la linea di Palazzo Chigi, Verdini ha giustificato la sua uscita da Forza Italia con la volontà di appoggiare le riforme istituzionali e costituzionali che, inizialmente, con il (defunto?) Patto del Nazareno, anche Silvio Berlusconi e i suoi fedelissimi, avevano sostenuto. Fitto, invece, formalmente mantiene una linea antigovernativa, ma scissa dalla condotta di Forza Italia, della Lega e di Fratelli d’Italia, e può contare su una discreta presenza di truppe parlamentari e di amministratori locali più o meno confinati al centro-sud.

A gennaio potrebbero verificarsi nuovi strappi da Forza Italia. Renata Polverini ha già dichiarato di essere in contatto con i verdiniani, il che prelude all’annuncio ufficiale del suo passaggio. Con lei potrebbero trasferirsi presso i lidi “filo-renziani” altri dieci-dodici parlamentari berlusconiani. Si tratta di deputati e senatori certissimi di non essere ricandidati alle politiche del 2018 e quindi smaniosi di ricollocarsi con l’obiettivo di guadagnarsi un “posto al sole” anche nella prossima legislatura. Con Forza Italia in caduta libera nei sondaggi e sulla via della disgregazione, è scattata la sindrome del “si salvi chi può”, mascherata da evoluzione politica e da convergenza su taluni provvedimenti del governo. 

Ma la verità è un’altra: il trasformismo trionfa in mancanza di progetti politici chiari e di leadership definite. Il centrodestra, in questo momento, non ha un progetto unitario né una leadership condivisa. Un cerchio magico può bastare forse a preservare taluni interessi particolari ma non è sufficiente ad attrarre un elettorato sfiduciato e da tempo sensibile alle sirene di altre opzioni politiche, anche di quella renziana.