L’ipocrisia della sinistra sui referendum
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Invitare all'astensione per il prossimo referendum è una pratica anti-democratica? Questa è l'accusa che l'opposizione rivolge al centrodestra. Ma nella sua storia la sinistra ha sempre promosso l'astensionismo, quando era contraria a un referendum.

In vista dei cinque referendum dell’8 e 9 giugno, si è aperto un acceso scontro politico che coinvolge l’intero panorama parlamentare, ma anche la società civile, i sindacati e i mezzi di comunicazione. Al centro della contesa vi è la scelta, da parte della quasi totalità del centrodestra, di invitare i propri elettori all’astensione. Un invito esplicito a non recarsi alle urne che ha sollevato la reazione sdegnata del centrosinistra, il quale ha denunciato un atteggiamento “illiberale” e “irrispettoso della democrazia”.
Tuttavia, come spesso accade nella politica italiana, le accuse di scorrettezza democratica si scontrano con una lunga serie di precedenti che mostrano come il ricorso all’astensionismo strategico non sia affatto un’esclusiva della destra, ma anzi uno strumento largamente impiegato anche dal centrosinistra, quando a trovarsi in difficoltà erano i propri interessi politici.
I quesiti in votazione sono cinque: uno riguarda la cittadinanza e gli altri quattro toccano temi del lavoro, promossi in particolare dalla Cgil e sostenuti apertamente da partiti del centrosinistra come il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. La scelta della maggioranza di centrodestra – con l’eccezione di Noi Moderati di Maurizio Lupi, che ha annunciato il voto contrario a tutti i quesiti – è quella di disertare le urne. L’obiettivo, neanche troppo velato, è di far mancare il quorum, ovvero la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto, condizione necessaria affinché i referendum abrogativi siano validi.
Le reazioni del fronte progressista sono state immediate e durissime. Riccardo Magi di +Europa ha parlato di un atteggiamento “vergognoso”, mentre Elly Schlein ha rilanciato la parola d’ordine della “partecipazione”, affiancata da Giuseppe Conte, che ha fatto sapere che voterà quattro sì “per il lavoro”. Per Nicola Fratoianni si tratta di una “destra irrispettosa della democrazia”, e Maurizio Landini, leader della Cgil e promotore dei quesiti sui diritti dei lavoratori, ha definito “grave e pericoloso” che il partito della presidente del Consiglio inviti i cittadini a disertare le urne.
Ma a ben guardare l’indignazione della sinistra presenta tratti di evidente doppia morale. La pratica dell’astensione come strumento per boicottare referendum è infatti una costante della politica italiana, e negli ultimi decenni anche il centrosinistra ne ha fatto uso sistematico. Già ai tempi di Bettino Craxi e del Partito Socialista si ricorreva alla retorica del “mare” come alternativa alle urne, suggerendo agli italiani di approfittare della domenica referendaria per una gita fuori porta. Una prassi che, pur non codificata, si è poi ripetuta più volte.
Nel giugno del 2003, per esempio, il referendum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori fu oggetto di una campagna di astensione da parte dei Democratici di Sinistra, con l’allora segretario Piero Fassino che affermava apertamente: «Noi siamo contrari ad andare a votare». La sinistra temeva che una vittoria del sì potesse rappresentare un colpo al proprio equilibrio interno e alle mediazioni sociali raggiunte con i sindacati confederali, e così preferì disertare il voto. Nel 2009, per i referendum sul sistema elettorale, Rifondazione Comunista e Sinistra e Libertà dichiararono apertamente di voler far fallire il quorum, invitando esplicitamente i cittadini a non ritirare la scheda. In quel caso, l’obiettivo era contrastare una riforma che avrebbe avvantaggiato i grandi partiti, penalizzando i piccoli.
Ancora più eclatante fu il caso del referendum sulle trivelle del 2016. L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, leader del Partito Democratico, si schierò senza esitazione per l’astensione. «La posizione dell’astensione a un referendum che ha il quorum è sacrosanta e legittima», dichiarò pubblicamente, suscitando l’indignazione di ambientalisti e movimenti civici. E sebbene nel 2022, in occasione dei referendum sulla giustizia, i Dem non arrivarono a dichiarare ufficialmente l’astensione, di fatto adottarono una linea ambigua, ostacolando la campagna referendaria senza mai schierarsi con convinzione. Anche in quel caso, insomma, si trattò di un sabotaggio silenzioso ma efficace, che contribuì al fallimento della consultazione.
Di fronte a questa lunga serie di precedenti, appare dunque evidente che l’attuale polemica tra centrodestra e centrosinistra sia l’ennesima rappresentazione di una doppia morale che attraversa trasversalmente l’intera classe politica. Oggi, quando a promuovere i referendum sono le opposizioni, la maggioranza li boicotta; ieri, quando le parti erano invertite, accadeva esattamente lo stesso. In questo senso, l’uscita del vicepremier Antonio Tajani appare perfettamente in linea con questa logica: «È un astensionismo politico», ha detto, citando Giorgio Napolitano, che parlava della non partecipazione come «un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa».
Nel contesto attuale, l’invito all’astensione del centrodestra si inserisce dunque in una tradizione politica ormai consolidata, che vede l’arma del non voto come una delle più efficaci nei confronti dei referendum abrogativi. Non si tratta necessariamente di una forzatura antidemocratica, ma di una strategia legittima, seppur controversa, che ciascuna parte politica ha usato quando si è trovata nella posizione di poterlo fare. Ecco perché le accuse di “boicottaggio” lanciate oggi dal centrosinistra appaiono poco credibili, se non del tutto ipocrite. Chi oggi si straccia le vesti per l’astensione dovrebbe ricordare che in passato ha fatto esattamente lo stesso, spesso con la stessa determinazione e senza troppi scrupoli.
In conclusione, la battaglia politica sui referendum dell’8 e 9 giugno è lo specchio di un Paese in cui la coerenza è merce rara e dove le regole del gioco cambiano a seconda della convenienza del momento. Che a denunciare la destra siano proprio coloro che ieri ne imitavano i comportamenti, non fa altro che alimentare il cinismo dell’elettorato e l’erosione della partecipazione democratica. Forse è proprio questo il punto su cui riflettere: non tanto l’uso dell’astensione in sé, quanto la sistematica strumentalizzazione del referendum come strumento tattico e non come occasione reale di confronto popolare.