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udienza generale

Leone XIV: la morte maestra di vita, ma oggi è diventata tabù

Nella catechesi del mercoledì il Papa ha parlato dell'«evento più naturale e allo stesso tempo più innaturale», che ha sempre interrogato i popoli, ma che la società odierna rimuove imponendo il silenzio o tentando fughe illusorie. Un mistero che solo la luce della Pasqua può illuminare.

Borgo Pio 11_12_2025
Foto Vatican Media/LaPresse

Se Francesco d'Assisi chiamava la morte "sorella", oggi non la si può più nemmeno nominare. "Spenta" la luce della fede, la società odierna reagisce con la rimozione o con fughe illusorie, facendone un nuovo tabù, come osservava anni fa Vittorio Messori in Scommessa sulla morte (riedito da Ares nel 2021) e come ha ripetuto Leone XIV nell'udienza generale di mercoledì 10 dicembre. Il Papa ha dedicato la sua catechesi all'«evento più naturale e allo stesso tempo più innaturale che esista», di fronte al quale «molti popoli antichi hanno sviluppato riti e usanze legate al culto dei morti» ma che «oggi appare una specie di tabù, un evento da tenere lontano; qualcosa di cui parlare sottovoce, per evitare di turbare la nostra sensibilità e tranquillità. Spesso per questo si evita anche di visitare i cimiteri, dove chi ci ha preceduto riposa in attesa della risurrezione».

Un mistero che coinvolge ogni creatura ma di cui solo l'uomo è consapevole, «perché lui solo sa di dover morire», mentre gli animali «si rendono conto che la morte è prossima, ma non sanno che la morte fa parte del loro destino». Questa singolarità ci rende «creature paradossali» che si scoprono «consapevoli e allo stesso tempo impotenti. Probabilmente da qui provengono le frequenti rimozioni, le fughe esistenziali davanti alla questione della morte», cercando una improbabile immortalità transumana: «molte visioni antropologiche attuali promettono immortalità immanenti, teorizzano il prolungamento della vita terrena mediante la tecnologia». Ma la scienza non può garantirci di sconfiggere la morte e nemmeno «che una vita senza morire sia anche una vita felice». 

La sapienza cristiana invece non nega la morte ma guarda a essa come a una «maestra di vita» – al riguardo Leone XIV menziona l'Apparecchio alla morte di sant'Alfonso Maria de' Liguori – che «ci insegna a scegliere cosa davvero fare della nostra esistenza», lasciando andare il superfluo «per vivere in modo autentico, nella consapevolezza che il passaggio sulla terra ci prepara all’eternità». Questa prospettiva non è una teoria, ma scaturisce da un fatto, da un evento: «L’evento della Risurrezione di Cristo ci rivela che la morte non si oppone alla vita, ma ne è parte costitutiva come passaggio alla vita eterna» e «ci fa pre-gustare, in questo tempo colmo ancora di sofferenze e di prove, la pienezza di ciò che accadrà dopo la morte».

Una sola luce è in grado di illuminare il buio della morte: in quelle prime «luci del sabato» colte dall'evangelista Luca «alla fine di quel pomeriggio in cui le tenebre avevano avvolto il Calvario» vi è un presagio dell'«alba del giorno dopo il sabato: la luce nuova della Risurrezione», la sola «capace di illuminare fino in fondo il mistero della morte» e di realizzare «quello che il nostro cuore desidera e spera: che cioè la morte non sia la fine, ma il passaggio verso la luce piena, verso un’eternità felice».