Leone XIV: la morte maestra di vita, ma oggi è diventata tabù
Nella catechesi del mercoledì il Papa ha parlato dell'«evento più naturale e allo stesso tempo più innaturale», che ha sempre interrogato i popoli, ma che la società odierna rimuove imponendo il silenzio o tentando fughe illusorie. Un mistero che solo la luce della Pasqua può illuminare.
Se Francesco d'Assisi chiamava la morte "sorella", oggi non la si può più nemmeno nominare. "Spenta" la luce della fede, la società odierna reagisce con la rimozione o con fughe illusorie, facendone un nuovo tabù, come osservava anni fa Vittorio Messori in Scommessa sulla morte (riedito da Ares nel 2021) e come ha ripetuto Leone XIV nell'udienza generale di mercoledì 10 dicembre. Il Papa ha dedicato la sua catechesi all'«evento più naturale e allo stesso tempo più innaturale che esista», di fronte al quale «molti popoli antichi hanno sviluppato riti e usanze legate al culto dei morti» ma che «oggi appare una specie di tabù, un evento da tenere lontano; qualcosa di cui parlare sottovoce, per evitare di turbare la nostra sensibilità e tranquillità. Spesso per questo si evita anche di visitare i cimiteri, dove chi ci ha preceduto riposa in attesa della risurrezione».
Un mistero che coinvolge ogni creatura ma di cui solo l'uomo è consapevole, «perché lui solo sa di dover morire», mentre gli animali «si rendono conto che la morte è prossima, ma non sanno che la morte fa parte del loro destino». Questa singolarità ci rende «creature paradossali» che si scoprono «consapevoli e allo stesso tempo impotenti. Probabilmente da qui provengono le frequenti rimozioni, le fughe esistenziali davanti alla questione della morte», cercando una improbabile immortalità transumana: «molte visioni antropologiche attuali promettono immortalità immanenti, teorizzano il prolungamento della vita terrena mediante la tecnologia». Ma la scienza non può garantirci di sconfiggere la morte e nemmeno «che una vita senza morire sia anche una vita felice».
La sapienza cristiana invece non nega la morte ma guarda a essa come a una «maestra di vita» – al riguardo Leone XIV menziona l'Apparecchio alla morte di sant'Alfonso Maria de' Liguori – che «ci insegna a scegliere cosa davvero fare della nostra esistenza», lasciando andare il superfluo «per vivere in modo autentico, nella consapevolezza che il passaggio sulla terra ci prepara all’eternità». Questa prospettiva non è una teoria, ma scaturisce da un fatto, da un evento: «L’evento della Risurrezione di Cristo ci rivela che la morte non si oppone alla vita, ma ne è parte costitutiva come passaggio alla vita eterna» e «ci fa pre-gustare, in questo tempo colmo ancora di sofferenze e di prove, la pienezza di ciò che accadrà dopo la morte».
Una sola luce è in grado di illuminare il buio della morte: in quelle prime «luci del sabato» colte dall'evangelista Luca «alla fine di quel pomeriggio in cui le tenebre avevano avvolto il Calvario» vi è un presagio dell'«alba del giorno dopo il sabato: la luce nuova della Risurrezione», la sola «capace di illuminare fino in fondo il mistero della morte» e di realizzare «quello che il nostro cuore desidera e spera: che cioè la morte non sia la fine, ma il passaggio verso la luce piena, verso un’eternità felice».


