Le sette piaghe del Sudan, tra guerra, fame e ora anche l'alluvione
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Appello alla pace nel Sudan da parte di papa Leone XIV. Il paese africano sta combattendo una guerra civile dall'aprile 2023, i combattimenti sono spietati, particolarmente nel Darfur dove al conflitto politico si somma quello etnico. Come se non bastasse è arrivata anche l'alluvione.

Papa Leone XIV durante l’udienza generale del 3 settembre ha rivolto un appello alla pace per il Sudan, il paese africano in guerra dall’aprile del 2023, scenario della più grave crisi umanitaria del mondo e degli ultimi decenni. Come ha ricordato il Pontefice, a causa del conflitto 14 milioni di sudanesi sono profughi sul totale di 50 milioni, in gran parte sfollati anche più volte, in condizioni sempre più critiche, mano a mano che i combattimenti si estendono e interessano regioni in precedenza sicure. «È tempo di avviare un dialogo serio – ha detto il Papa – sincero e inclusivo tra le parti per porre fine al conflitto e restituire al popolo del Sudan speranza, dignità e pace. Sono più che mai vicino alla popolazione sudanese, in particolare alle famiglie, ai bambini e agli sfollati. Prego per tutte le vittime. Anche nel mezzo di tali tragedie, non perdiamo mai la speranza nell’amore di Dio per noi».
La stima delle vittime è di 150mila, ma tra i civili quanti siano morti finora a causa della guerra non è dato sapere perché, oltre a quelli uccisi durante i combattimenti, colpiti da proiettili o dai bombardamenti, vanno considerati, e un calcolo esatto è impossibile, quelli morti di stenti e fame e di malattie e ferite non curate.
I raccolti perduti, la scarsità e i prezzi alle stelle dei generi alimentari hanno ridotto alla fame milioni di persone. Ci sono testimonianze di famiglie che tentano di sopravvivere mangiando erba, foglie e persino la terra. Inoltre i contendenti – il generale al Burhan, che guida l’esercito governativo, e il generale Dagalo, leader delle forze paramilitari RSF – hanno usato la fame come arma di guerra, più volte impedendo ai convogli umanitari di raggiungere i territori controllati dal nemico. Più di metà della popolazione – 26 milioni – ha bisogno di assistenza per sopravvivere. Una delle prime emergenze, inoltre, fin dall’inizio della guerra, è stata quella sanitaria. Gli scontri iniziati nella capitale Khartoum hanno danneggiato e costretto a chiudere parte degli ospedali cittadini e anche nel resto del paese i bombardamenti non hanno risparmiato i presidi sanitari. Dal 70 all’80% degli ospedali sono chiusi. Quelli rimasti agibili spesso hanno difficoltà a rifornirsi di medicinali, a rinnovare le attrezzature e risentono delle frequenti interruzioni dell’energia elettrica, a cui è sempre più difficile rimediare ricorrendo ai generatori, e della mancanza personale, anch’esso decimato o che non riesce a raggiungere regolarmente il posto di lavoro a causa dei combattimenti.
Il Darfur è uno degli Stati del paese più colpiti, dove si commettono le violazioni dei diritti umani più efferate. Alle ragioni del conflitto – il controllo del paese – si aggiunge nel Darfur il fattore etnico, lo scontro tra le tribù di origine araba dedite alla pastorizia e quelle agricole di origine africana che fu all’origine della guerra scoppiata nel 2003, terminata nel 2020 e che provocò circa 300mila morti e quasi tre milioni di profughi. È lì che si trova el-Fasher, la capitale del Nord Darfur, l’ultimo importante presidio dell’esercito governativo. La città, che conta circa 300mila abitanti, è assediata da oltre un anno dalle RSF che infieriscono sui civili, bombardano i mercati e altri luoghi pubblici affollati, colpiscono deliberatamente infrastrutture e ospedali. A gennaio hanno ripetutamente bombardato anche l’ultimo ospedale ancora funzionante, distruggendolo in parte. Uno dei bombardamenti ha danneggiato il generatore e la sala operatoria del reparto di maternità mentre si stava eseguendo un parto cesareo. I medici e gli infermieri lo hanno portato a termine tra detriti e polvere alla luce delle torce dei loro cellulari.
Lo scorso aprile le RSF, non contente, hanno attaccato e occupato anche Zamzam, il vicino campo profughi dove si erano rifugiati oltre 700mila civili. Hanno bombardato case, mercati, ambulatori uccidendo migliaia di persone. Centinaia di migliaia di profughi, già duramente provati dalla fame e dagli stenti, sono fuggiti, molti a piedi, cercando di mettersi in salvo e di raggiungere la città di Tawila distante 70 chilometri dove è ancora attivo un centro di Medici senza frontiere. Tanti sono morti per le ferite riportate, e per fame e sete, strada facendo.
Molti abitanti del Nord Darfur sono fuggiti nella remota regione delle montagne Marra sperando di essere al sicuro almeno lì. Sono stati risparmiati dai combattimenti, ma non da altri pericoli. Il 31 agosto, dopo giorni di forti piogge, una enorme frana ha sepolto gran parte di Tarseen, un’area in cui sorgevano cinque villaggi, uccidendo quasi tutti gli abitanti, forse mille persone inclusi circa 200 bambini. Nel villaggio più colpito, che è stato completamente sommerso, si è salvato solo un abitante. Senza macchinari e attrezzi, per giorni i sopravvissuti hanno scavato a mani nude per cercare di recuperare i corpi dei loro cari. Ne sono stati rivenuti 374 che sono stati sepolti in fosse comuni. I soccorritori, per raggiungere Tarseen dalla loro postazione più vicina distante meno di 22 chilometri, hanno viaggiato a dorso di mulo impiegando diverse ore, il solo modo per spostarsi sul terreno roccioso e fangoso.
Le piogge e le inondazioni nelle ultime settimane hanno colpito almeno 21 regioni. Sugli abitanti incombe anche l’ulteriore minaccia delle epidemie: colera, malaria, dengue e altre malattie. A causa dei danni alle infrastrutture idriche, il colera è già arrivato. Finora ne sono stati registrati oltre 100mila casi, con migliaia di decessi per mancanza di cure, in 13 dei 18 stati in cui è suddiviso il paese.