Le manifestazioni del Risorto – Il testo del video
Perché Cristo risorto si è manifestato solo ad alcuni e non a tutti? La trasmissione dei misteri divini e la legge stabilita da Dio. Le donne prime testimoni del Risorto: dalla colpa originale al riscatto. L’ordine della gloria futura: dato dalla carità.

Iniziamo oggi la nostra 173^ Ora di dottrina, affrontando la quæstio 55 della Summa, che parla della manifestazione della risurrezione, cioè le manifestazioni di Cristo risorto.
Prima di entrare nell’analisi di questa questione, faccio una brevissima premessa relativamente al modo con cui san Tommaso procede nell’indagine delle ragioni di convenienza. Ricordate questo concetto importante della “convenienza”, che ci permette di scoprire le ragioni per cui Dio ha fatto una certa cosa e non un’altra: Dio è sapienza infinita, non fa nulla senza ragione, non fa nulla per caso o per assurdo. E questo permette a noi di scoprire, di indagare queste ragioni. Tuttavia, dobbiamo fare molta attenzione a un errore. La modalità di procedere di san Tommaso, cioè la corretta modalità di procedere in questo ambito, qual è? È quella di vedere quello che Dio ha effettivamente operato nella storia della salvezza, a molti livelli, e scoprirne le ragioni di convenienza. Quindi, si parte dai fatti che ci vengono resi noti tramite la Rivelazione e si arriva alle ragioni che hanno portato Dio a compiere certi atti, perché Dio agisce sempre secondo la sua sapienza, quindi, potremmo dire, secondo ragione: una ragione divina, che non contraddice la ragione umana. La supera, ma non la contraddice.
Dobbiamo guardarci da un altro procedimento molto pericoloso, che potremmo sintetizzare in questo modo: “Quello che a me sembra ragionevole, il Signore deve per forza averlo compiuto o deve per forza compierlo, altrimenti è un Dio assurdo”. Questo ragionamento, che potrebbe sembrare lecito, è in realtà sbagliato, perché? Perché Dio agisce secondo una ragione superiore alla nostra, ma che è pur sempre una ragione: questo permette a noi di indagare le ragioni per cui Egli ha fatto una cosa piuttosto che un’altra; ma quello che Lui ha compiuto è il dato di partenza, noi non dobbiamo discutere quello che Dio ha dovuto o avrebbe dovuto fare: lo accogliamo, indaghiamo umilmente con la nostra ragione, con la ragione che Dio stesso ci ha dato, perché il Signore può aver scelto questo e non quest’altro.
L’altro approccio invece è pericoloso perché tende ad attribuire a Dio quella che invece è la nostra modalità di comprendere, la nostra misura razionale, il nostro modo di pensare a come sarebbe stato meglio. E questo è pericoloso, è un passaggio indebito. Io non posso dire: “Quello che per me è ragionevole, allora Dio lo deve aver fatto o lo deve fare”. Questo tipo di ragionamento è alla base di moltissime obiezioni contro la fede che non partono dal dato della Rivelazione, ma partono dalla misura della ragione umana a prescindere dalla Rivelazione.
Facciamo un esempio. Quante volte abbiamo sentito dire: “Se Dio fosse buono non ci sarebbe l’Inferno”? Oppure: “Se Dio fosse veramente buono, non ci sarebbero le guerre”. Sono i classici discorsi che si sentono dire. Qual è il problema di questo tipo di ragionamento? È che io sto attribuendo a Dio la mia misura di bene, quel che io intendo sia il bene e dunque Dio deve agire secondo il mio criterio. Ma questo è esattamente l’opposto di quel che fa san Tommaso ed è un approccio insidiosissimo, pericolosissimo, che ci porta lontani dall’approccio della fede, perché la fede riconosce che Dio è sapiente e quindi che, quando Dio agisce, agisce secondo bontà e sapienza. Siamo noi che spesso non la vediamo questa sapienza e questa bontà e, anzi, riteniamo il contrario. E dunque invertiamo i ruoli: noi dettiamo a Dio ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e sbagliato, ciò che è ragionevole e irragionevole. Così “ingabbiamo” il Signore nella nostra prospettiva, nei nostri desideri, nelle nostre aspettative e facciamo un pastrocchio notevole.
Fatta questa premessa, andiamo a vedere la questione, in cui san Tommaso – secondo il suo metodo che vediamo da alcune domeniche – si chiede proprio perché il Signore ha scelto certe cose e non altre. In questo caso, le manifestazioni della risurrezione. L’art. 1 si chiede perché il Signore risorto ha scelto di manifestarsi ad alcuni e non a tutti. Perché si è manifestato ad alcune donne, ad alcuni discepoli, ma non a tutto il mondo? Vedete il punto di partenza: il Signore ha scelto questo; san Tommaso non dice cosa avrebbe dovuto scegliere il Signore.
Anzi, il ragionamento che pretende di indagare cosa avrebbe dovuto fare il Signore sta proprio nell’obiezione che poi san Tommaso confuta. Per esempio, se leggiamo le tre obiezioni che san Tommaso presenta nell’art. 1, noi troviamo fondamentalmente questo ragionamento: se il Signore, nella sua passione, si è manifestato a tutti, perché non doveva manifestarsi a tutti nella sua risurrezione? O ancora: perché un punto così fondamentale per la salvezza degli uomini, come la risurrezione, non doveva essere manifestato a tutti? Cioè, noi ragioneremmo così. Ma la ragione teologica non funziona in questo modo, bensì sulla base della fede: e la fede, tramite la Rivelazione, ci dice che Dio si è rivelato ad alcuni, ma non a tutti. Ora, la teologia va ad indagare quali sono le ragioni di convenienza di questa scelta.
Andiamo dunque a vedere, nel corpo dell’art. 1, il principio fondamentale che san Tommaso chiama addirittura «legge stabilita da Dio»; il suo riferimento fondamentale è lo Pseudo-Dionigi, in particolare l’opera La Gerarchia celeste. Per san Tommaso, la trasmissione dei misteri divini è una legge che Dio ha posto all’interno della creazione, delle realtà create, delle nature intelligenti. I misteri divini, i misteri nascosti in Dio, indicano ciò che è al di sopra della capacità propria della natura creata di cogliere il vero. E qual è questa legge? «(…) che esse [le cose che si conoscono per un dono speciale della grazia] vengano rivelate immediatamente da Dio agli esseri superiori, e mediante il loro ministero a quelli inferiori, come risulta evidente nell’ordinamento degli spiriti celesti» (III, q. 55, a. 1).
Quando abbiamo dedicato una serie di catechesi agli angeli, abbiamo sottolineato fortemente questo principio. Ricordate che abbiamo parlato delle gerarchie, degli ordini celesti, dai più elevati – i serafini – a quelli più vicini a noi – gli angeli. Ma i misteri divini come si comunicano all’interno di questa gerarchia? È Dio che direttamente rivela questi misteri a ciascun angelo di ciascuna gerarchia celeste? No. La rivelazione immediata spetta solo ai cori superiori, i quali poi, attraverso quella che abbiamo definito una sorta di “cascata di luce”, annunciano giù giù per tutti i cori angelici queste verità che sorpassano la loro conoscenza angelica. E questo è uno dei sensi del famoso Salmo in cui è scritto «i cieli narrano la gloria di Dio» (Sal 19, 1). Non è solamente la bellezza della creazione: qui si sta parlando dei cieli dei cieli, cioè delle schiere celesti che narrano la gloria di Dio, che si raccontano in questa gerarchia i misteri che Dio rivela alle prime schiere angeliche.
Scrive Tommaso: «Poiché Cristo è risorto con una risurrezione gloriosa, questa doveva essere manifestata non a tutto il popolo, ma ad alcuni attraverso la cui testimonianza giungesse a tutti gli altri» (ibidem). Come in cielo così in terra. Anche nella Chiesa terrena, la Chiesa degli uomini, Dio conserva la stessa legge: ad alcuni si rivela in modo diretto, ad altri in modo mediato. Anche se in realtà, come vedremo tra poco, anche qui in fondo sono gli angeli ad annunciare: il passaggio tra il mondo celeste e il mondo umano avviene tramite l’ultimo coro degli angeli, che annunciano la risurrezione di Gesù, rispettando questa legge. Cosa ci dice questa legge? Ci dice che Dio non è un monarca, un tiranno che fa tutto da solo, ma che coinvolge le sue creature in ogni sua opera, tranne evidentemente in quello che è l’attributo propriamente divino.
E dunque san Tommaso rispiega questo principio nella risposta alla seconda obiezione: «Essendo la risurrezione di Cristo preordinata alla salvezza di tutti, essa giunse alla conoscenza di tutti, però non in modo da essere manifestata immediatamente a tutti; ma ad alcuni che con la loro testimonianza l’avrebbero poi comunicata a tutti» (III, q. 55, a. 1, ad 2). Stesso principio, con una sottolineatura un po’ diversa: che Dio scelga alcuni non significa che è il loro privilegio personale, ma significa che questi alcuni sono destinati per tutti. Pensiamo anche al senso del popolo eletto, del popolo di Israele: qual era? Non quello di tenersi la rivelazione dell’unico Dio o della legge del Sinai per sé e basta; il senso era che attraverso di sé questa rivelazione di Dio potesse giungere a tutti gli uomini, a tutto il popolo. E qui abbiamo lo stesso concetto: certamente, la risurrezione di Cristo, l’annuncio di Cristo risorto deve arrivare a tutti, ma non immediatamente da Dio a tutti, ma tramite alcuni testimoni scelti, che con la loro testimonianza comunicano questo annuncio a tutti gli altri. Questo è un principio importantissimo che san Tommaso sottolinea essere una legge che Dio stabilisce nella comunicazione della sua vita e dei suoi disegni, che sorpassano la normale conoscenza delle creature. Per conoscere ciò che è commisurato alla nostra intelligenza naturale non abbiamo bisogno evidentemente di una rivelazione dall’alto.
Nella risposta alla terza obiezione dell’art. 1, c’è una riflessione interessante sulla questione dell’apparizione di Gesù alle donne. San Tommaso in sostanza si chiede: perché il Signore ha scelto di rivelarsi primariamente a delle donne? E perché ha scelto che fossero poi le donne a comunicare ai discepoli la risurrezione di Cristo, e questi a tutto il mondo? Ci sono alcune ragioni di convenienza. Dice Tommaso: «Cristo volle apparire per primo alle donne perché, come la donna era stata la prima a portare all’uomo il germe della morte, così fosse anche la prima ad annunciare gli albori della gloria del Cristo risorto. Di qui le parole di san Cirillo: “La donna, che un tempo era stata quasi lo strumento della morte, fu la prima a constatare e annunziare il mistero della santa risurrezione. E così il sesso femminile fu redento dall’infamia e dalla maledizione”» (III, q. 55, a. 1, ad 3).
Cristo ha voluto sanare alla radice ciò che era accaduto nella colpa originale. Nella colpa originale, sappiamo che a istigare l’uomo a disobbedire al comandamento divino certamente era stato il serpente, ma tramite la donna. Il Signore ha voluto restaurare l’ordine ribaltandolo: da Dio all’uomo, tramite la donna, ma questa volta nell’annuncio della vita, nell’annuncio della risurrezione. Vedete queste meraviglie con cui Dio restaura, rinnova la natura, rovesciando le sorti originali. Pensiamo qui anche a tutto il discorso sulla figura della Santissima Vergine come la nuova Eva: ne abbiamo già parlato e ne parleremo anche più avanti. Intanto ci basti capire questo senso armonico. Nell’ottica cristiana (qui siamo in pieno Medioevo) non esiste assolutamente l’idea della misoginia, della “misoginia cristiana”, come molti dicono: “Siccome la donna aveva traviato Adamo, allora l’onta di rimanere tentatrice rimarrà nei secoli dei secoli”… In realtà c’è anche il rovesciamento e il risanamento di questa situazione, come vediamo nella Vergine Maria e come vediamo anche nell’annuncio che gli angeli fanno alle donne, prima che ai discepoli, che ricevono l’annuncio della risurrezione tramite le donne: è il ristabilimento di un ordine e ciò rappresenta il vero, autentico riscatto della donna.
E san Tommaso aggiunge un’altra osservazione: «Ciò serve anche a dimostrare che nello stato della gloria futura le donne non avranno alcuna minorazione dal loro sesso, ma se saranno più ferventi nella carità godranno anche di una gloria superiore nella visione di Dio: e questo perché le donne, che avevano amato il Signore più ardentemente, al punto di non abbandonare il sepolcro mentre i discepoli lo abbandonavano, videro per prime il Signore risorto nella gloria» (ibidem). San Tommaso qui sta dicendo: attenzione, sia quel sia nell’ambito temporale – e si può discutere se sia giusto o sbagliato, migliore o peggiore in una società o in un’altra ancora –, nella gloria futura non esiste alcuna minorazione legata al sesso femminile. Quindi, qual è l’ordine che si seguirà nella vita della gloria? È legato all’essere maschio o femmina? È legato all’essere proveniente dal popolo eletto o no? Sappiamo cosa dice san Paolo: non c’è più uomo né donna, non c’è più schiavo né libero, eccetera (cf. Gal 3, 28). Il che non vuol dire disordine sociale. Vuol dire che l’ordine della gloria futura è dato dalla carità, dal fervore della carità, dalla vita di Dio che entra e che cambia l’animo umano, lo purifica, lo eleva, lo espande. Vedete la densità di questo primo articolo della quæstio 55.
Adesso vediamo l’art. 2, che – attenzione – è comprensibile alla luce di quanto abbiamo affermato finora, cioè alla luce della legge di cui san Tommaso parla riguardo alla comunicazione delle realtà divine. Nell’art. 2, san Tommaso si domanda se fosse conveniente che nessuno vedesse la risurrezione di Cristo. Cioè, noi dai Vangeli sappiamo che alcuni hanno visto Cristo risorto, ma nessuno è stato testimone della risurrezione di Cristo, cioè del momento preciso in cui l’anima e il corpo del Signore si sono ricongiunti tra di loro. Nessuno è stato testimone di questo fatto, mentre le donne e i discepoli sono stati testimoni nel vederlo risorto, già risorto.
Allora, san Tommaso ci dice: «L’ordine istituito da Dio è che quanto è al di sopra dell’uomo venga rivelato agli uomini attraverso gli angeli» (III, q. 55, a. 2). Come negli angeli c’è una gerarchia, così il passaggio dei misteri di Dio all’uomo avviene tramite gli angeli. Quindi, c’è una gerarchia interna al mondo angelico, una gerarchia interna al mondo umano e poi c’è una gerarchia tra l’ordine angelico e l’ordine umano: ciò che arriva all’uomo, arriva tramite il ministero angelico. «Ora, nel risorgere Cristo non tornò alla vita ordinaria degli uomini, ma a una vita immortale e conforme a quella di Dio» (ibidem). Quindi stiamo parlando effettivamente di quei misteri che sono al di sopra della ragione umana e che entrano in questa legge di comunicazione gerarchica, chiamiamola così. Conclude Tommaso: «Perciò, la risurrezione di Cristo non doveva essere vista dagli uomini immediatamente, ma essere loro annunziata dagli angeli. Da qui le parole di sant’Ilario: “L’angelo fu il primo annunziatore della risurrezione, perché questa fosse annunziata attraverso i ministri della volontà del Padre”» (ibidem). Vedete di nuovo questo tema, che è bellissimo; noi non abbiamo sufficientemente contezza della presenza angelica: è un po’ sparita dal nostro orizzonte, a parte forse l’angelo custode. Ma non ci rendiamo conto come in realtà tutto il mondo angelico entra nel piano della creazione, della rivelazione e della redenzione divina.
Quindi, questa è la ragione per cui non era conveniente che qualcuno degli uomini vedesse il momento della risurrezione di Cristo. Non sappiamo se l’abbiano visto gli angeli, però sappiamo che agli uomini – in primis alle donne – la notizia arriva tramite l’annuncio angelico. Dagli angeli alle donne, dalle donne ai discepoli: questo è stato l’ordine che il Signore ha scelto; e le ragioni sono quelle spiegate da san Tommaso.
Nella risposta alla prima obiezione dell’art. 2, emerge tutta la logica della fede. Qual era l’obiezione? L’obiezione partiva dal fatto che la testimonianza più certa tra gli uomini è quella oculare e dunque sarebbe stato più conveniente che i discepoli fossero testimoni oculari del momento della risurrezione, non semplicemente di Gesù già risorto. Vedete la logica rovesciata. Nelle obiezioni si rende così: siccome la testimonianza più certa è quella oculare, allora Dio che è sapiente avrebbe dovuto fare così. Ma Dio non ha fatto così. Quindi vuol dire che c’è qualcosa che non quadra nel ragionamento e noi prendiamo atto che Dio è quello sapiente, non noi. Quindi, quelle che a noi sembrano ragioni potrebbero sembrare agli occhi di Dio non delle assurdità, perché Dio non cambia il vero con il falso, l’assurdo con il plausibile, ma può cambiare quello che a noi sembra in un modo, in un altro modo, perché Dio vede più in là rispetto a quello che vede l’uomo.
Dunque, «gli apostoli potevano presentarsi come testimoni oculari della risurrezione. Infatti dopo la risurrezione videro con i loro occhi il Cristo vivo, dopo averne constatato la morte. Ma come si giunge alla visione beatifica attraverso l’ascolto della fede, così gli uomini giunsero alla visione di Cristo risorto partendo da ciò che avevano prima ascoltato dagli angeli» (III, q. 55, a. 2, ad 1). Bellissimo. Qui capiamo perché il Signore non ha voluto che i discepoli fossero testimoni diretti della sua risurrezione e tuttavia che fossero testimoni di Lui risorto. Il Signore non ha scelto di farli testimoni diretti della risurrezione, ma neanche di lasciarli senza la testimonianza diretta del suo essere risorto. In questo testo Tommaso dice che è vero che la testimonianza oculare è quella più evidente per gli uomini, ma non è che non ci sia stata in assoluto, perché i discepoli hanno visto il Cristo vivo, risorto: lo hanno visto morto e poi lo hanno visto vivo. Non hanno visto il passaggio, ma c’è pur sempre una testimonianza oculare. Tuttavia, dice Tommaso, il mistero vero e proprio della risurrezione, che è un mistero che oltrepassa la nostra conoscenza, è analogo a quello della visione beatifica.
Cioè, che cos’è la visione beatifica? Come arriveremo alla visione beatifica? Ci arriveremo attraverso l’ascolto della fede, l’obbedienza della fede, fides ex auditu (cf. Rm 10, 17), attraverso l’annuncio: non vediamo, ma ascoltiamo e crediamo sulla base dell’ascolto. Ora, anche coloro che sono chiamati ad essere i testimoni oculari del suo essere risorto dovevano tuttavia ricevere l’annuncio da una predicazione. E da quale predicazione se gli uomini non avevano potuto vedere la risurrezione in sé? Da quella degli angeli. Quindi anche coloro che lo hanno visto risorto hanno dovuto partire dalla visione della fede tramite l’ascolto. Questa è quella che potremmo chiamare la seconda legge, profondamente collegata alla prima: alla visione si giunge tramite l’ascolto. Questo noi fatichiamo molto a comprenderlo, perché noi in generale in questa vita vorremmo vedere prima di prestare fede sulla base della Parola di Dio, sulla base dell’annuncio della Chiesa. Noi vorremmo vedere, ma questo è il tempo dell’ascolto, non della visione: e da questo passaggio sono dovuti passare anche i discepoli, che prima di vedere il Risorto hanno dovuto udire l’annuncio degli angeli e delle donne.
Nell’art. 3, san Tommaso si fa una domanda curiosa. Noi sappiamo dai Vangeli che il Signore è apparso più volte ai discepoli e tuttavia non era tornato a vivere con loro come prima della risurrezione. Come lo sappiamo? Basta pensare alla prima settimana dopo la risurrezione: Cristo appare più volte il giorno di Pasqua, poi sappiamo che per otto giorni non è più apparso; è riapparso all’ottavo giorno, nel Cenacolo, alla presenza anche dell’apostolo Tommaso. Quindi non torna a convivere con i suoi discepoli come viveva prima della risurrezione. San Tommaso si chiede: perché? Non era più conveniente che stesse sempre con loro dopo la risurrezione, nei quaranta giorni tra la risurrezione e l’ascensione, garantendo una presenza continua, facendo discorsi per fortificare la loro fede? Di nuovo san Tommaso dice: attenzione, perché ciò che appare, sembra sapienza agli occhi degli uomini, non sempre lo è anche agli occhi di Dio. Anzi, non lo è quasi mai.
Perché il Signore ha scelto diversamente? Per rivelazione noi sappiamo che ha scelto diversamente, riapparendo all’ottavo giorno. San Tommaso spiega molto bene: «A proposito della risurrezione, dovevano essere chiarite ai discepoli due cose: la realtà della risurrezione di Cristo e la gloria del Risorto» (III, q. 55, a. 3). Ricordiamoci questi due aspetti importanti: la risurrezione di Cristo e la sua gloria. Perché la risurrezione di Cristo, come abbiamo visto fin dalle prime questioni dedicate all’argomento, non è stata un semplice ritorno alla vita come quella di Lazzaro, ma è stata una risurrezione gloriosa, a una vita gloriosa che non può più venir meno. Dunque, due cose: il fatto della risurrezione e la gloria del Risorto. Ora, prosegue Tommaso: «Per mostrare la realtà della risurrezione, bastava che egli apparisse loro più volte, parlasse, mangiasse e bevesse con loro familiarmente, invitandoli a toccarlo» (ibidem). Dunque, la realtà della risurrezione è stata confermata da queste diverse apparizioni, ma non da una presenza fisica permanente: è stato sufficiente che alcuni lo vedessero, altri lo toccassero, altri mangiassero e conversassero con Lui, testificando la sua reale risurrezione nella carne, con un corpo vero, integro.
Ora, attenzione: «Al fine di mostrare la gloria della risurrezione, egli non volle convivere continuamente con essi, come faceva prima, perché non pensassero che fosse risorto al medesimo genere di vita» (ibidem). Cioè, la convivenza continua, esattamente com’era prima della passione di Gesù, avrebbe potuto portare i discepoli a un errore, cioè a pensare che davanti a loro avevano sì il Signore veramente risorto, ma non con una risurrezione gloriosa, bensì con una risurrezione, potremmo dire, analoga a quella di Lazzaro, che avevano già visto tornare in vita e che aveva continuato a vivere a Betania con le sue sorelle, ospitando il Signore e i discepoli ogni volta che passavano da lì. Ecco, se Cristo fosse rimasto con loro, i discepoli avrebbero potuto ingannarsi pensando che Cristo fosse tornato a vivere con loro come prima e quindi la loro fede nella risurrezione gloriosa sarebbe venuta a mancare; sarebbe cioè mancata la fede in un nuovo tipo di vita, una vita diversa da quella precedente: lo stesso corpo, ma in una modalità di vita diversa, immortale, incorruttibile, gloriosa.
La quæstio va avanti con altri tre articoli. La prossima volta continuiamo con questo tema della manifestazione della risurrezione e se ci sarà tempo inizieremo la quæstio 56, l’ultima dedicata alla risurrezione di Cristo, in particolare alla sua causalità. Per il mese di agosto, come di consueto, l’Ora di dottrina sarà sospesa. Riprenderà, a Dio piacendo, la prima domenica di settembre.
Le manifestazioni del Risorto
Perché Cristo risorto si è manifestato solo ad alcuni e non a tutti? La trasmissione dei misteri divini e la legge stabilita da Dio. Le donne prime testimoni del Risorto: dalla colpa originale al riscatto. L’ordine della gloria futura: dato dalla carità.
Il Cristo risorto – Il testo del video
Che differenza c’è tra il corpo di Gesù prima e dopo la risurrezione? La gloria. Il corpo glorioso: reale, tangibile, agile, totalmente soggetto allo spirito. Come interpretare certi dettagli dei Vangeli? Scopriamolo con san Tommaso d’Aquino.