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IL CASO

La strana battaglia di Avvenire contro la famiglia

Avvenire continua la sua battaglia di retroguardia contro l’identità sessuale e la famiglia naturale. Nell'inserto Noi in Famiglia una paginata che strizza l'occhio a fluidità di genere e "famiglie" arcobaleno. Ma così si nega che esista un progetto di Dio su ogni uomo. 

Educazione 01_03_2022

Avvenire continua la sua battaglia di retroguardia contro l’identità sessuale e la famiglia naturale; ieri, ad esempio, con una pagina intera dell’inserto Noi in Famiglia, dedicato all’educazione. Si parte da una recente ricerca secondo la quale, giocare con le bambole aiuta a sviluppare empatia. Campione, come al solito, ridicolo (33 bambini) e conclusioni banali: ovviamente il gioco con il simulacro di un essere umano sviluppa empatia, il gioco consiste appunto nella relazione con una persona immaginaria. Come potrebbe svilupparsi l’empatia giocando con un pallone contro il muro, o con delle macchinine? Misteri, ma che mi rendono sempre più convinto nel mio proposito non finanziare mai nessuna ricerca.

Si prosegue con l’intervento, in parte condivisibile, di una teologa che rifiuta l’idea secondo la quale «le femmine sarebbero per natura empatiche e sensibili e i maschi no». Sono d’accordo, dottoressa! Le porto la mia testimonianza di maschio accusato, fin dall’infanzia, delle peggiori nefandezze solo perché maschio. Ricordo una campagna pubblicitaria di Donna Moderna, in collaborazione con Oliviero Toscani, nella quale erano raffigurati un bambino e una bambina (2008). Sotto il bambino compare la didascalia che spiega: «carnefice»; sotto la bambina, invece: «vittima». Chi l’ha detto che il maschio è violento e prevaricatore? Chi lo dice che i maschi non abbiano una sensibilità, magari diversa da quella femminile? E siamo poi sicuri di tutta questa sensibilità femminile? Giusto, dottoressa: è ora di finirla attribuendo tutte le caratteristiche gradevoli alle femmine; e quelle sgradevoli ai maschi. Concordo anche quando la teologa auspica che nei contesti educativi ci vorrebbero più maschi: più maestri, più professori. È fondamentale che i bambini e i ragazzi (bambine e ragazze) abbiano anche a disposizione figure maschili, che mostrino loro una virilità positiva.

Stento un po', invece, a condividere altri punti dell’articolo. Ad esempio: «È ora di andare oltre quel pensiero innatista che è prevalso negli ultimi [tipo tremila?] anni, secondo il quale le caratteristiche e le competenze di una persona, già dalla tenera età, vanno catalogate in base al sesso». Il fatto che le donne hanno il seno e la vagina non ha nulla a che fare con la maternità e quindi con l’accudimento? Il fatto che gli uomini siano, in media, più alti, più pesanti, più forti, più veloci e abbiano più testosterone non ha nulla a che fare con il fatto che siano competitivi e propensi al combattimento? Il fatto che le ragazzine mostrino interesse per la moda e la cosmesi mentre i ragazzi per muscoli e sport non è legato a estrogeni e testosterone? E che dire delle differenze di comportamento tra i sessi negli animali? Anche quelle sono recenti costrutti sociali? Il fatto che sia il maschio a corteggiare e a difendere con la lotta, e la femmina a covare, è frutto della società occidentale moderna? Il fatto che i cani maschi facciano la pipì alzando la zampa e per segnare il territorio è frutto della mascolinità tossica dei proprietari?

Su, diciamola tutta. Questa storia per cui il fatto di nascere maschi o femmine non ha alcun riflesso sulla vita futura dell’individuo è… frutto di un costrutto sociale «prevalso negli ultimi anni», cioè l’idea che non esista alcuna natura, nessun progetto, nessun fine. Tutto sarebbe frutto del caso e della necessità, non di un provvidenziale progetto divino.

Newton ha inventato (scopiazzando Democrito) un universo dove i corpi celesti sono mossi senza senso da inerzia e gravità e non, come scrisse Dante, da «l’amor che move il sole e l’altre stelle», cioè Dio. Darwin ha inventato il meccanismo dell’evoluzione, alla base del quale non c’è alcun progetto divino ma la «lotta per la sopravvivenza». Popper ha dedicato quello che è forse il suo libro più importante, la società aperta e i suoi nemici, per combattere lo «storicismo», cioè l’idea che ci sia qualche ragione, qualche logica a guidare il destino del mondo. E che dire di Monod, e del suo Il caso e la necessità del 1971?

Insomma: tutta la modernità si è sgolata nel tentativo di convincerci che non esiste nessun progetto, nessun piano, nessuna provvidenza, nessun Dio. Non esiste nessun Logos, nessuna legge naturale a reggere e guidare il mondo. Credere che chi nasce maschio debba diventare uomo e chi nasce femmina debba diventare donna, che esista un maschile e un femminile, significa pensare che esista un «dover essere», un progetto, una natura; e quindi una morale (un bene e un male) che deriva da questo dover essere. Ma tutto questo è derubricato come anticaglia, una balzana idea funzionale a un presunto dominio maschile sulla donna.

Bacon l’avrebbe definito idola, gli illuministi superstizione; ora si chiama «costrutto sociale». Cosa ci sarà, poi, di male in un costrutto sociale, sinceramente, non lo capisco. In questo momento sto scrivendo utilizzando la tastiera di un computer; letteralmente un costrutto sociale. Dovrei scrivere a mano? E la scrittura non è forse anch’essa un costrutto sociale? Oppure i costrutti sociali vanno bene quando sono funzionali al rifiuto del Logos mentre quando ne affermano l’esistenza e la valenza sono una allegoria di Satana?

Chiude la pagina l’intervista con una mamma e giornalista, che dice così: «Non capisco le posizioni di chi, in un momento di profonda crisi della famiglia, si oppone a quelli che la famiglia la vogliono: le famiglie arcobaleno, quelle nate dall’unione di persone omosessuali e le famiglie allargate, nate acrobaticamente da divorzi e separazioni».

Il principale problema di chi si oppone a quelli che la famiglia la vogliono è che le famiglie che non sono fondate sul sacramento del matrimonio celebrato liberamente e volontariamente da un uomo e una donna si basano su una relazione contraria alla legge naturale.

Secondariamente, chiamare ogni relazione, di qualunque tipo, «matrimonio», è un cambiamento semantico di quelli che piacciono alla cultura moderna, ma nascondono sempre una pericolosa insidia per la filosofia eterna dell’essere. Ricordiamo cosa ha comportato, ad esempio, chiamare l’aborto «interruzione di gravidanza»; e la sua diffusione, «salute riproduttiva»? Quindi, per favore: continuiamo a chiamare «matrimonio» il matrimonio; e chiamiamo altrimenti le altre unioni. Per approfondimenti invito i gentili lettori e, ovviamente, la mamma e giornalista in questione, a leggere le catechesi di Giovanni Paolo II chiamate Teologia del Corpo.