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IL VIAGGIO IN UNGHERIA

La crisi russo-ucraina avvicina il Papa a Orban

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La visita di papa Francesco ha di fatto rotto l'isolamento internazionale dell'Ungheria. La causa della pace e l'atteggiamento verso la guerra in Ucraina sono stati al centro della visita e la base della sintonia trovata. Il che non impedisce un nuovo appello all'accoglienza degli immigrati. 

Esteri 01_05_2023
Papa Francesco con il presidente ungherese Viktor Orban

Quello in Ungheria è un viaggio che verrà ricordato. Il Papa ieri sera è tornato a Roma dopo tre giorni che hanno rotto l'isolamento internazionale di Budapest. Non si può parlare di un endorsement al governo di Orban a cui, al contrario, Francesco ha rimarcato nell'occasione più solenne - l'omelia per la Messa di ieri piazza Kossuth Lajos - che "è triste e fa male vedere porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante".
Ma la sua visita e i pubblici elogi a determinate politiche dell'esecutivo più odiato da Bruxelles - dalla natalità al sostegno dei cristiani in Siria e Libano, dalla cura ecologica alla promozione delle opere caritative ed educative ispirate ai valori cristiani - segnano un'indiscutibile bocciatura del tentativo di emarginare Budapest nei consessi internazionali. E dunque un assist indiretto per Orban, soprattutto per la sua posizione neutralista sulla guerra in Ucraina che tante critiche gli è costata in Europa.

Già prima di questo viaggio era evidente a tutti che Bergoglio si trovasse più in sintonia con il leader magiaro che con gli altri governanti occidentali. Nei tre giorni a Budapest, parlando ripetutamente di pace, lo ha confermato. Ieri, ad esempio, rivolgendo una supplica alla Madonna ha detto: "Da questo nobile Paese vorrei riporre nel Suo cuore la fede e il futuro dell’intero continente europeo, a cui ho pensato in questi giorni, e in modo particolare la causa della pace”. L'Ungheria, delegittimata a Bruxelles proprio per l'approccio alla questione russo-ucraina, è ritenuta dal Papa il luogo privilegiato da cui formulare il suo appello per la pace. Proprio a pochi km dallo scenario bellico.

Sempre nella supplica alla Vergine pronunciata ieri prima del Regina Caeli, Bergoglio ha chiesto di guardare ai popoli che più soffrono riferendosi soprattutto al "vicino martoriato popolo ucraino e al popolo russo". Messi sullo stesso piano, dunque, così come è accaduto nelle ultime due Via Crucis, scatenando le polemiche di Kiev. Ma il viaggio papale non è stato incentrato solo sulla guerra.

Nell'ultimo appuntamento prima della cerimonia di congedo, Francesco ha incontrato i rappresentanti del mondo universitario e della cultura nella facoltà di informatica e scienze bioniche dell'Università cattolica “Péter Pázmány”. A loro ha rivolto un discorso molto ratzingeriano, ricordando che mentre "il pensiero tecnocratico insegue un progresso che non ammette limiti, l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio". Come aveva già fatto in passato, Francesco ha citato il libro "Il padrone del mondo" di Robert Hugh Benson, ex ministro anglicano convertito al cattolicesimo, che ha definito "profetico" per aver immaginato "un futuro dominato dalla tecnica e nel quale tutto, in nome del progresso, viene uniformato" dove dunque si predica "un nuovo umanitarismo che annulla le differenze, azzerando le vite dei popoli e abolendo le religioni".

L'abolizione delle differenze porta ad una "omologazione che colonizza ideologicamente", ha detto il Papa, definendolo "il dramma" riferendosi alla colonizzazione ideologica a causa della quale "l’uomo, a contatto con le macchine, si appiattisce sempre di più, mentre il vivere comune diventa triste e rarefatto". Mentre il dibattito sull'intelligenza artificiale è di grande attualità, Francesco ha usato parole chiare scagliandosi contro le "consolazioni della tecnica" che il "paradigma tecnocratico esaspera, con un certo uso degli algoritmi che può rappresentare un ulteriore rischio di destabilizzazione dell’umano".

Il Papa ha inoltre ricordato come l’Ungheria abbia visto il "susseguirsi di ideologie che si imponevano come verità, ma non davano libertà", ammonendo sul fatto che il rischio non è scomparso con il "passaggio dal comunismo al consumismo". Ad accomunarli, ha detto Bergoglio, c’è "una falsa idea di libertà" che rende "facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo". Contro queste derive, c'è solo una vita ed è quella del Vangelo: "Gesù - ha detto il Papa - invece offre una via d’uscita, dicendo che è vero ciò che libera, quello che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure".

In Ungheria le parole pronunciate dal Papa in questi tre giorni sono state accolte con grande entusiasmo. Negli ultimi tempi non è più consuetudine ascoltare lodi così esplicite al Paese e a determinate politiche del governo da parte di leader internazionali. In questo caso, gli elogi fanno doppiamente piacere perché arrivano da un'autorità morale e religiosa come il Papa. Nell'opinione pubblica magiara, i richiami ai ponti e contro le porte chiuse non vengono interpretati come una bordata contro Budapest perché nei tre giorni di permanenza, Francesco ha voluto visitare poveri e migranti, quasi a dimostrazione che c'è un'altra realtà rispetto alla narrativa internazionale relativa all'accoglienza in Ungheria.

Meno tenero, forse, è stato con vescovi e clero ungherese ai quali ha chiesto di non rispondere al secolarismo con "un atteggiamento da combattenti”, oltre ad ammonirli come ormai d'abitudine sui pericoli del "chiacchiericcio" e della "mondanità". Ma questi sono argomenti ormai ricorrenti nell'attività pubblica del Papa rivolta ai religiosi, che non dipendono quindi dalla nazionalità di provenienza. Il ricordo di questo viaggio apostolico, quindi, non può che essere positivo per la Chiesa d'Ungheria, per le autorità civili e per il popolo ungherese tutto.