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La sentenza

Omicidio del consenziente, la Consulta dice no (almeno per ora)

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La Corte costituzionale “salva” l’art. 579 del Codice penale, dichiarando inammissibili le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Firenze. Ma la motivazione dei giudici, visto quanto già deciso sul suicidio assistito, appare fragile. L’impressione è che la Consulta aspetti solo il momento propizio per depenalizzare in parte anche l’omicidio del consenziente.

Vita e bioetica 26_07_2025

L’aiuto al suicidio è parente stretto dell’omicidio del consenziente. La sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale (qui un approfondimento) ha legittimato il suicidio assistito se ricorrono alcune condizioni. Dal permettere che qualcuno aiuti qualcun altro a togliersi la vita al permettere che qualcuno uccida qualcun altro con il suo consenso, il passo sarebbe parso breve. Ma non è stato così. La Corte costituzionale con la sentenza 132/2025, depositata ieri, ha dichiarato «inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 579 del codice penale sollevate […] dal Tribunale ordinario di Firenze». Dunque l’art. 580 Cp che punisce il suicidio assistito è stato reso inoffensivo per l’intervento della Consulta, invece l’art. 579 Cp che punisce l’omicidio del consenziente non è stato ancora toccato dai giudici romani.

La vicenda giuridica è la seguente. M.S. è persona affetta da sclerosi multipla con tetraparesi spastica e con definitiva compromissione di tutti e quattro gli arti. M.S. vuole morire, ma non può darsi la morte da sé proprio perché paralizzata dal collo in giù. Potrebbe ingerire un preparato letale, ma la disfagia di cui è affetta renderebbe complicata, penosa e pericolosa questa ingestione. Allora presenta al Tribunale di Firenze un «ricorso d’urgenza avente ad oggetto la somministrazione del farmaco letale per via endovenosa da parte di un soggetto terzo, individuato nel proprio medico di fiducia, non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all’attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca e gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia».

Il Tribunale, allora, solleva la seguente questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale: l’art. 579 Cp è incostituzionale laddove non prevede la non punibilità di chi uccide una persona con il suo consenso e la cui condizione rientri nei parametri già descritti dalla Consulta nel caso dell’aiuto al suicidio «quando la stessa persona, per impossibilità fisica e per l’assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente procedervi [a togliersi la vita] in autonomia, o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi irragionevole». In parole povere, il Tribunale pone questa domanda: se Tizio può essere aiutato a morire, posto che siano soddisfatti i criteri indicati dalla Consulta, perché Caio, impossibilitato materialmente a togliersi la vita, non può essere ucciso da un medico quando fossero presenti i medesimi criteri? Cosa cambia? Sarebbe discriminatorio e quindi contrario all’art. 3 della Costituzione permettere di morire tramite suicidio assistito e non permettere di morire tramite l’omicidio del consenziente quando le condizioni del paziente, in un caso come nell’altro, fossero identiche. Il Tribunale di Firenze quindi chiede alla Consulta di porre fine a questa irragionevole disparità di trattamento; oltre a ciò, sarebbe lesivo della libertà personale non poter scegliere di essere ucciso, avendo come unica opzione il suicidio assistito.

Come accennato, la Corte ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze. Per quale motivo? Perché il Tribunale non si è dato abbastanza da fare per trovare questa pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca e gli occhi oppure un altro macchinario utile allo scopo. Così la Corte: «Il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente. […] il Tribunale di Firenze sembra essersi arrestato al piano dell’azione di un ente locale di committenza, non andando oltre la presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale». Il Tribunale, invece, avrebbe dovuto rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale.

Ma può la Corte considerare costituzionalmente irrilevanti le questioni sollevate dal Tribunale solo per un mero accadimento fattuale, ossia per l’inerzia del Tribunale stesso nel soddisfare i desiderata della paziente tetraplegica? Difficile dare una risposta netta, ma ci pare che i giudici avrebbero potuto anche entrare nel merito della vicenda, argomentando così: stante la colpevole inerzia del Tribunale nell’individuare l’adeguata strumentazione per praticare il suicidio assistito in favore della paziente, riteniamo ugualmente di analizzare le questioni sollevate dal Tribunale. Insomma, il fatto di non aver trovato i macchinari adatti non era ostativo ad un giudizio nel merito. Anzi, questo fatto poteva mettere in luce pregi o difetti dell’art. 579 Cp, così com’è la stessa Corte ad ammettere: «La natura fattuale della ritenuta indisponibilità di una strumentazione idonea all’autosomministrazione del farmaco nel caso in esame, o in casi analoghi, non è di per sé ostativa all’accesso al merito delle questioni, poiché il fatto che paralizza l’esercizio di un diritto esibisce un’innegabile giuridicità, divenendo parte costitutiva di una fattispecie giuridica». Tra parentesi ma non troppo: in questo passaggio la Corte qualifica espressamente il suicidio assistito come diritto, andando dunque oltre la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio.

Riteniamo che i giudici della Corte erano ben consci che il comportamento omissivo del Tribunale di Firenze non pregiudicava un’analisi delle questioni di legittimità e lo crediamo perché la motivazione di fondo per cui hanno rigettato le richieste del Tribunale suona troppo fragile: «L’incompletezza dei riferimenti circa l’esistenza di idonei dispositivi di autosomministrazione […] rende perplessa la descrizione della fattispecie, il che ridonda in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione». Di contro noi domandiamo: il fatto descritto non è oscuro e dunque perché non andare ad indagare la legittimità dei principi sottesi?

L’impressione che se ne ricava è dunque la seguente: i giudici non volevano spingersi a decidere se l’omicidio del consenziente potesse o non potesse essere permesso. Se si fossero pronunciati sull’intoccabilità dell’art. 579 Cp, riproducendo in sostanza le motivazioni addotte nel 2022 quando rigettarono il referendum per abrogare questo articolo, tutti avrebbero gridato all’incoerenza: permettete l’aiuto al suicidio, ma non l’omicidio del consenziente. Se invece si fossero pronunciati per la sua depenalizzazione avrebbero rischiato di fare il passo più lungo della gamba: forse a loro giudizio la sensibilità odierna non è ancora pronta per accettare l’idea che qualcuno possa uccidere qualcun altro, anche se consenziente. Dunque, strategicamente e prudentemente si sono arrestati prima, prima di entrare nel merito.

Però, è solo questione di tempo. Infatti l’omicidio del consenziente è già legittimato dalla legge 219/2017 laddove permette l’interruzione di presidi vitali quali alimentazione, idratazione e ventilazione assistita. La morte in questi casi è provocata dal medico che stacca i mezzi di sostentamento vitale. Trattasi di omicidio del consenziente. Ciò è confermato dall’art. 1 comma 6 laddove si specifica che il medico in questi casi non può subire nessuna conseguenza penale per i suoi atti omicidi. Dunque, se c’è già una legge che legittima l’omicidio del consenziente è prevedibile che la Consulta, più prima che poi, dichiarerà parzialmente incostituzionale il reato ex art. 579 Cp.



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